Giorgio Palmisani
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CURIOSITÀ: Un fenomeno malavitoso,
Il brigantaggio è fenomeno caratteristico di paesi instabili socialmente e
politicamente ed ha radici molto remote.
Si manifesta nella tarda repubblica romana, sotto Ottaviano; lungo le strade maestre
appaiono all'improvviso sequestratori di viandanti, che li trascinano negli "ergastula",
dormitori di schiavi assegnati al lavoro forzato.
Il banditismo è fiorente sotto Tiberio, soprattutto nella Puglia, la "classica
terra delle grandi rivolte schiavili". Dopo i nomi di Tito Curtisio, Geta,
emblematiche sono le gesta del bandito Felix Bulla che opera lungo la via Appia.
La criminalità assume, tuttavia, proporzioni preoccupanti fino al IV secolo;
in "Apulia et Calabria" , la "regio II", l'imperatore Valentiniano emana una
costituzione per arginare la recrudescenza.
La piaga del brigantaggio diviene endemica durante gli sconvolgimenti della Repubblica
Partenopea nel 1799 ed al cambio dei Governi costituzionali del 1820-21 e 1848.
Caduti i Borboni, gli odii ed i sospetti dividono la borghesia dal popolo e se il 1860
segna la rivoluzione politica della borghesia, il brigantaggio è la reazione sociale della
povera gente.
La presenza delle comitive banditesche è in stretto collegamento con la disgregazione
del tessuto sociale ed anche l'arretratezza e la miseria segnano ormai da tempo le
campagne del Meridione.
Il brigantaggio diviene gravissimo ed assume i connotati della criminalità dopo il
periodo post-unitario; esso verrà distrutto con la legge Pica.
Sono tante le bande che infestano la Puglia e la Basilicata, tutte guidate da
criminali, noti agli studiosi del fenomeno ed anche perché a loro carico, si
rinvengono negli archivi fascicoli che racchiudono i loro delitti.
Basterà ricordare, per citare alcuni, Giovanni Battista Rodio, Michele Pezza, detto
Fra' Diavolo, Carmine Donatelli Crocco, Nicola Summa, alias Ninco Nanco, Luigi Alonzi,
apostrofato Chiavone, Rocco Chirichigno, conosciuto come Coppolone, Giuseppe Caro, appellato
Orso fatuo, Cosimo Mazzeo, soprannominato Pizzichicchio e, poi, il sergente Pasquale Romano...
Quando la banda Romano viene falcidiata dai Cavalleggeri di Saluzzo, agli ordini del capitano
Bollasco il 5 gennaio 1863, tra gli sbandati vi è l'alberobellese Giorgio Palmisani di anni
ventisette, che si renderà capo di una combriccola e verrà definito "immane belva".
Infatti, il malavitoso punisce i malcapitati catapultandoli vivi in un inghiottitoio
profondo prima venti metri e poi, dopo un breve piano, altri sessanta, in contrada
Cervarulo.
Agli infelici, per impedire la risalita, il feroce brigante spezza le falangi.
Ad un monaco, che ha osato riferire uno dei tanti furti da lui commessi, gli amputa
le dita con l'accetta, prima di scaraventarlo nella voragine.
A pochi passi dall'imbocco vi è una quercia, sul cui tronco sono scarnificate tre croci,
forse ad indicare la tragica fine di tre tribolati individui o le tre invocazioni del monaco.
Nelle campagne il Palmisani semina il terrore, compie altri omicidi, ma giunge per lui
il momento della cattura, sebbene si sappia nascondere.
Un contadino, allettato dalla taglia di duecento ducati, è pronto a condurre la
Guardia Nazionale di Alberobello sul luogo.
È domenica, piove a dirotto, il capitano Costantino Agrusti comprende che è il momento
di catturare il bandito e con quindici amici, tra i più coraggiosi, si avvia, guidato dal
contadino, travestito anch'egli da soldato, per sorprendere Giorgio.
Appena la guida indica il trullo, il Capitano fa circondare il casolare ed intima al
vile e tristo personaggio di venir fuori.
Il malvivente, subitamente, tenta la fuga dalla finestra collocata sul retro, ma una
baionetta e due pistole puntate lo fanno desistere.
Un componente della compagnia viene spedito in tutta fretta per annunciare alla
popolazione di Alberohello la cattura.
Una folla strabocchevole, appena il malcapitato giunge in paese, mescola insulti ad
ingiurie, rompe più volte con resse e spinte il cordone delle guardie, lo pesta con
botte da orbi, pugni e calci a cui accompagnano anche colpi di pietra.
Dopo il processo, durante il quale nega tutto, lo attende la pena capitale; sconterà,
invece, la condanna all'ergastolo.
Angelo Mortellotta
Per approfondimenti:
A. Martellotta (a cura di), V. Agrusti, Schizzo generale del brigantaggio
nella Murgia dei Trulli, Schena Ed., Fasano, 1990
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