San Giovanni XXIII (in latino: Ioannes PP. XXIII, nato Giuseppe Angelo Roncalli; Sotto il Monte, 25 novembre 1881 – Città del Vaticano,
3 giugno 1963) è stato il 261º vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica (il 260º successore di Pietro), primate d'Italia e 3º sovrano
dello Stato della Città del Vaticano (accanto agli altri titoli connessi al suo ruolo).
Fu eletto papa il 28 ottobre 1958 e in meno di cinque anni di pontificato riuscì ad avviare il rinnovato impulso evangelizzatore della Chiesa
Universale. È ricordato con l'appellativo di "Papa buono". Fu terziario francescano ed è stato beatificato da papa Giovanni Paolo II il 3 settembre 2000;
è stato canonizzato il 27 aprile 2014 da papa Francesco insieme a Giovanni Paolo II.
Nato in via Brusicco a Sotto il Monte, un piccolo paese della provincia di Bergamo, il 25 novembre 1881, da Giovanni Battista Roncalli e da Marianna
Mazzola, quarto di tredici fratelli, veniva — a differenza del suo predecessore, Eugenio Pacelli, che era di stirpe nobile — da una famiglia di umili
origini: i suoi parenti infatti lavoravano come mezzadri. Ricevette il sacramento della cresima il 13 febbraio 1889 dal vescovo di Bergamo monsignor
Gaetano Guindani. Grazie all'aiuto economico di suo zio Zaverio, studiò presso il seminario minore di Bergamo, vinse una borsa di studio e si trasferì
al seminario dell'Apollinare di Roma, l'attuale Pontificio Seminario Romano Maggiore, dove completò brillantemente gli studi e fu ordinato prete nella
chiesa di Santa Maria in Montesanto, in Piazza del Popolo, il 10 agosto 1904.
Durante la permanenza a Roma, partecipando nel 1903 ai funerali del cardinal Lucido Maria Parocchi, ebbe a scrivere: "Se io possedessi la scienza e la
virtù sua, io potrei ben chiamarmi soddisfatto". Da ragazzo, e durante il seminario, manifestò la venerazione per la Vergine con numerosi pellegrinaggi
al Santuario della Madonna del Bosco a Imbersago[6]. Nel 1901 era stato coscritto e arruolato nel 73º Reggimento fanteria, brigata Lombardia, di stanza a Bergamo.
Venne ordinato sacerdote il 10 agosto 1904 dall'arcivescovo Giuseppe Ceppetelli.
Nel 1905 monsignor Giacomo Radini-Tedeschi, allora nuovo vescovo di Bergamo lo nominò suo segretario personale. Roncalli si segnalò per la dedizione,
la discrezione e l'efficienza. A sua volta Radini-Tedeschi rimarrà sempre guida ed esempio per Angelo Roncalli. La personalità di questo vescovo, riuscirà
a sensibilizzare Roncalli a nuove idee e movimenti della Chiesa del tempo, rendendolo sensibile alla questione sociale, in un'epoca in cui valeva ancora
il "non expedit" che, dopo il 1861, impediva ai cattolici di impegnarsi in politica. In particolare Radini-Tedeschi e Roncalli saranno figure fondamentali
nello sciopero di Ranica (BG) tanto che saranno anche messi sotto accusa dal Sant'Uffizio, salvo poi uscirne indenni. Roncalli restò al fianco di
Radini-Tedeschi fino alla morte di questi, il 22 agosto 1914, durante questo periodo si dedicò altresì all'insegnamento della storia della Chiesa presso
il seminario di Bergamo. Si contraddistinse anche nel lavoro di ricerca storica sulla diocesi, lavorando sull'edizione critica degli atti della visita
apostolica a Bergamo di San Carlo Borromeo.
Fu richiamato nel 1915, a guerra iniziata, nella sanità militare e ne fu poi congedato col grado di tenente cappellano. L'affermazione, nel 1919,
del Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, fu vista da Roncalli come "una vittoria del pensiero cristiano".
Nel 1921 papa Benedetto XV lo nominò prelato domestico (che gli valeva l'appellativo di monsignore) e presidente del Consiglio Nazionale Italiano
dell'Opera della Propagazione della Fede. In tale ambito egli si occupò fra l'altro della redazione del motu proprio del nuovo papa Pio XI Romanorum
pontificum, che divenne la magna charta della cooperazione missionaria.
L'avvento del fascismo non trovò monsignor Roncalli particolarmente favorevole al nuovo regime: alle ultime elezioni che si tennero con liste contrapposte
(1924), dichiarò alla famiglia di restar fedele al Partito Popolare, nonostante la politica filo-fascista dell'Azione Cattolica[10]. Il suo giudizio su
Mussolini è abbastanza negativo, pur nella consueta moderazione dei toni: "la salute dell'Italia non può venire neanche da Mussolini, per quanto sia
un uomo d'ingegno. I suoi fini sono forse buoni e retti, ma i mezzi sono iniqui e contrari alla legge del Vangelo".
Nel 1953, oltre a essere creato cardinale da papa Pio XII nel concistoro del 12 gennaio di quell'anno, fu nominato patriarca di Venezia, dove poté
finalmente esercitare quel lavoro pastorale immediato, a stretto contatto con i sacerdoti e il popolo che aveva sempre desiderato fin dal giorno della
sua ordinazione sacerdotale.
Il nuovo Patriarca condusse una vita modesta, evitando barriere formali con fedeli e sconosciuti; faceva spesso lunghe passeggiate per le strade e i
campielli, accompagnato solo dal nuovo segretario don Loris Francesco Capovilla, fermandosi a conversare in dialetto anche con i gondolieri. Chiunque
poteva andare a trovarlo nella dimora patriarcale perché — fece sapere — "chiunque può aver bisogno di confessarsi e non potrei rifiutare le confidenze
di un'anima in pena". Secondo un'espressione testuale attribuita da un giornale ad un veneziano, "riceveva senza tante storie anche l'ultimo degli straccioni".
Inoltre durante questo periodo si segnalò per alcuni gesti di apertura: fra i tanti va ricordato il messaggio che inviò al Congresso del PSI, quando
il 6 febbraio 1957 i socialisti si riunirono nella città lagunare. Ciò nonostante, non rinnegò mai la continuità con le posizioni storiche della Chiesa
nei confronti delle sfide quotidiane: Jean Guitton, accademico di Francia e osservatore laico al Concilio Vaticano II, ricorda che, come riportato in
una rivista del 2 gennaio 1957, Angelo Roncalli individuava le «cinque piaghe d'oggi del Crocifisso» nell'imperialismo, nel marxismo, nella democrazia
progressista, nella massoneria e nel laicismo.
A Venezia, Roncalli non abbandonò l'impegno apostolare ecumenico già esercitato nelle sue missioni in Oriente: proseguirono, infatti i suoi contatti
con i "fratelli separati" e partecipò ogni anno all'Ottava per l'Unità delle Chiese con omelie e conferenze.
Alla sua partenza per il Conclave del 1958, per la morte di Pio XII, una grande folla l'accompagnò alla stazione facendogli a gran voce gli auguri
di buon viaggio e di buon lavoro.
Il 28 ottobre 1958, con grande sorpresa della maggior parte dei fedeli, Roncalli fu eletto papa e il 4 novembre dello stesso anno fu incoronato,
divenendo così il 261º Sommo pontefice. Secondo alcuni analisti sarebbe stato scelto principalmente per un'unica ragione: la sua età. Dopo il lungo
pontificato del suo predecessore, i cardinali avrebbero perciò scelto un uomo che presumevano, per via della sua età avanzata e della modestia personale,
sarebbe stato un papa di «transizione»[21]. Ciò che giunse inaspettato fu il fatto che il calore umano, il buon umore e la gentilezza di Giovanni XXIII,
oltre alla sua esperienza diplomatica, conquistarono l'affetto di tutto il mondo cattolico e la stima dei non cattolici.
Quando il cardinale Angelo Giuseppe Roncalli fu eletto e divenne papa Giovanni, ci fu una piccola controversia per decidere se lui doveva essere chiamato
Giovanni XXIII oppure Giovanni XXIV; lui stesso dichiarò che il suo nome pontificale era Giovanni XXIII chiudendo la questione.
Già nel dicembre 1958 papa Giovanni XXIII provvide a integrare il Collegio cardinalizio, che a causa dei rari concistori di Pio XII era ormai numericamente
assai ridotto. In quattro anni e mezzo creò cinquantadue nuovi cardinali, superando il tetto massimo di settanta, fissato nel XVI secolo da papa Sisto V.
Nel concistoro del 28 marzo 1960 nominò il primo cardinale di colore, l'africano Laurean Rugambwa, il primo cardinale giapponese, Peter Tatsuo Doi, e il
primo cardinale filippino, Rufino Jiao Santos. Il 6 maggio 1962, elevò agli altari anche il primo santo di colore, Martín de Porres, il cui iter canonico
era iniziato nel 1660 e poi interrotto.
Il suo pontificato fu segnato da episodi registrati dalla memoria popolare, oltre che da una vasta e celebre aneddotica. I suoi «fuori programma»,
talvolta coinvolgenti, riempirono quel vuoto di contatto con il popolo che le precedenti figure pontificie avevano preservato come modo di comunicazione
distante e immanentista del «Vicario di Cristo in Terra», quale è il ruolo dogmatico del pontefice. Per il primo Natale da papa visitò i bambini malati
dell'ospedale romano Bambin Gesù, ove benedisse i piccoli, alcuni dei quali lo avevano scambiato per Babbo Natale.
Il giorno di santo Stefano, sempre del suo primo anno di pontificato, visitò i carcerati nella prigione romana di Regina Coeli, dicendo loro:
«Non potete venire da me, così io vengo da voi... Dunque eccomi qua, sono venuto, m'avete visto; io ho fissato i miei occhi nei vostri, ho messo il
cuor mio vicino al vostro cuore... La prima lettera che scriverete a casa deve portare la notizia che il papa è stato da voi e si impegna a pregare
per i vostri familiari». Accarezzò quindi il capo di un recluso, che gli si buttò ai piedi domandandogli se «le parole di speranza che lei ha pronunciato
valgono anche per me».
Il radicalismo di papa Giovanni XXIII non si fermò all'informalità. Fra lo stupore dei suoi consiglieri e vincendo le remore e le resistenze della parte
conservatrice della Curia, indisse un concilio ecumenico, meno di novant'anni dopo il Concilio Vaticano I; mentre i suoi consiglieri pensavano a tempi
lunghi (almeno un decennio) per i preparativi, Giovanni XXIII lo programmò e lo organizzò in pochi mesi. Il 25 dicembre 1961 nella Bolla d'Indizione
“Humanae Salutis”, Giovanni XXIII indicò la finalità del Concilio nella ricerca dell'unità e nella pace del mondo.
Giovanni XXIII ebbe rapporti fraterni con i rappresentanti di diverse confessioni cristiane e non cristiane, in particolar modo con il pastore
David J. Du Plessis, ministro pentecostale della Chiesa Cristiana Evangelica delle Assemblee di Dio. Il venerdì Santo del 1959, senza alcun preavviso,
diede ordine di “cancellare” dalla preghiera “Pro Judaeis”, che veniva recitata in quel giorno durante la liturgia solenne, il penoso aggettivo che
qualificava “perfidi” gli Ebrei. Questo gesto fu considerato un primo passo verso il riavvicinamento tra le due religioni monoteiste e indusse
Jules Isaac, direttore dell'Associazione “Amicizia ebraico-cristiana” a chiedere un'udienza al Papa, che venne accordata il 13 giugno 1960.
Il 2 dicembre 1960 Giovanni XXIII incontrò in Vaticano, per circa un'ora, Geoffrey Francis Fisher, arcivescovo di Canterbury. Fu la prima volta
in oltre 400 anni che un capo della Chiesa Anglicana visitava il Papa.
Il 17 ottobre 1961, in occasione dell'anniversario del rastrellamento del ghetto di Roma, papa Giovanni XXIII ricevette in Vaticano un gruppo
di centotrenta ebrei provenienti dagli Stati Uniti per ringraziarlo per la sua opera a favore del popolo ebraico, prima e dopo il secondo conflitto
mondiale, e li accolse con le parole bibliche: “Io sono Giuseppe, vostro fratello”, in riferimento (oltre che al proprio nome di battesimo)
all'incontro in Egitto e alla riconciliazione tra il patriarca Giuseppe e i suoi undici fratelli che, in gioventù, lo avevano perseguitato.
Il 3 gennaio 1962 si diffuse la notizia che papa Giovanni XXIII avesse scomunicato Fidel Castro dando seguito al decreto del 1949 di papa Pio XII
che vietava ai cattolici di appoggiare i governi comunisti. A parlare di scomunica fu l'arcivescovo Dino Staffa, in quel momento segretario della
Congregazione per i seminari, che in base ai suoi studi di diritto canonico la considerava già operata de facto se non di diritto; inoltre altri
importanti esponenti della curia volevano con questa mossa lanciare un segnale ostile al centrosinistra nascente in Italia. L'autorevolezza di
tali voci fece in modo che la leggenda della scomunica non venisse smentita dal Papa (che però ci rimase molto male) e che fosse creduta da tutti,
anche dallo stesso Castro, che aveva precedentemente abbandonato la fede cattolica e che dunque lo considerò un evento di scarse conseguenze poiché per
sua stessa ammissione non è mai stato credente.
In realtà tale atto non è stato mai effettuato dal Pontefice, come ha rivelato il 28 marzo 2012 l'allora segretario di Angelo Giuseppe Roncalli,
monsignor Loris Capovilla, secondo cui la parola "scomunica" non faceva parte del vocabolario del Papa buono[35]. A testimonianza di quanto dichiarato,
basti leggere il diario di Giovanni XXIII in cui egli non accenna al provvedimento né il 3 gennaio 1962 (data in cui parla solamente delle sue udienze)
né in altre date.
Nello stesso 1962, il Sant'Uffizio nella figura del cardinale Alfredo Ottaviani redasse il Crimen sollicitationis, con l'avallo di papa Giovanni:
un documento diretto a tutti i vescovi del globo, che stabilisce le pene da comminare secondo il diritto canonico nelle cause di sollicitatio
ad turpia (latino, «provocazione a cose turpi»), cioè quando un chierico (presbitero o vescovo) veniva accusato di usare il sacramento della
confessione per fare avances sessuali ai penitenti. In esso fu prevista, per gli episodi più gravi, la scomunica per coloro che non vi si fossero attenuti.
Il 4 ottobre 1962, ad una settimana dall'inizio del Concilio Vaticano II, Giovanni XXIII si recò in pellegrinaggio a Loreto e Assisi per affidare
le sorti dell'imminente Concilio alla Madonna e a San Francesco (Roncalli era dall'età di 14 anni terziario francescano). Per la prima volta dall'unità
d'Italia un papa uscì dai confini di Roma e dintorni. Il breve tragitto costituì l'esempio di papa pellegrino che fu poi seguito dai suoi successori
(Paolo VI, Giovanni Paolo II, ecc.). La gente accolse l'iniziativa affollando a dismisura le varie stazioni dove sostò il treno papale e i due santuari
meta del tragitto (ad Assisi persino i frati salirono sui tetti antistanti la basilica).
Uno dei più celebri discorsi di papa Giovanni, forse una delle allocuzioni in assoluto più celebri della storia della Chiesa, è quello che ormai
si conosce come «Il discorso della luna». L'11 ottobre 1962, in occasione della serata di apertura del Concilio, piazza San Pietro era gremita di fedeli.
Chiamato a gran voce, Roncalli decise di affacciarsi, per limitarsi a benedire i presenti. Poi si convinse a pronunciare, a braccio, un discorso semplice,
dolce e poetico, con un richiamo straordinario alla luna, pur tuttavia contenente elementi del tutto innovativi:
« Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una voce sola, ma riassume la voce del mondo intero. Qui tutto il mondo è rappresentato. Si direbbe
che persino la luna si è affrettata stasera - osservatela in alto - a guardare a questo spettacolo. »
Poi il Papa salutò i fedeli della diocesi di Roma (essendone anche il vescovo), e si produsse in un atto di umiltà forse senza precedenti, asserendo tra le altre cose:
« La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, diventato padre per volontà di Nostro Signore, ma tutti insieme paternità e
fraternità è grazia di Dio (..) (...) Facciamo onore alle impressioni di questa sera, che siano sempre i nostri sentimenti, come ora li
esprimiamo davanti al cielo, e davanti alla terra: fede, speranza, carità, amore di Dio, amore dei fratelli. E poi tutti insieme, aiutati così,
nella santa pace del Signore, alle opere del bene. »
E, sulla linea dell'umiltà, impartì un ordine da pontefice con il parlare di un curato:
«Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa. Troverete qualche lacrima
da asciugare, dite una parola buona: il Papa è con noi, specialmente nelle ore della tristezza e dell'amarezza.»