DIO MI HA MANDATO QUI
(Gn 45,1-15;50,19-20)
INTRODUZIONE
+ Dopo le parole di Giuda, dette anche a nome dei fratelli, si è capito
che in lui c'è stata un'autentica conversione. L'ultimo passo della storia
allora è scontato: Giuseppe finalmente si fa riconoscere perché ora i
fratelli sono fratelli e perciò sono in grado di vederlo come fratello,
non più solo come il potente visir che può disporre a piacimento della loro vita.
+ Il momento è solenne, ma insieme molto intimo. E allora tutti fuori:
"Giuseppe gridò: fate uscire tutti dalla mia presenza! Così non restò
nessuno presso di lui, mentre Giuseppe si faceva conoscere ai suoi fratelli" (1).
Le esperienze più forti hanno bisogno di un contesto di intimità.
Queste sono cose di famiglia, mica tutti possono capire cosa vuol dire
amarsi di un amore veramente fraterno.
Ma accade che "diede in un grido di pianto e gli egiziani lo sentirono (!)
e la cosa fu risaputa nella casa del faraone" (2). La gioia dell'amore
fraterno è qualcosa di incontenibile, esplode, non può e non deve restare
segreta, e allora anche gli altri, che pure sono fuori, se ne accorgono.
+ La prima preoccupazione è per il padre Giacobbe: "Vive ancora mio padre?" (3).
È il padre il fondamento dell'amore tra fratelli.
-> Non abbiamo paura di amare "troppo" il Padre, perché l'amore per il Padre
è il primo dei comandamenti, e quanto più sono attaccato a Dio tanto più
riuscirò a vivere anche il secondo comandamento, ad amare i fratelli. Se
il nostro amore per il Padre è un po' tiepido sarà così anche l'amore
per i fratelli.
+ E ora i fratelli: "Avvicinatevi a me!" (4). La storia era cominciata
con dei fratelli sempre più lontani tra loro, e finisce con questo loro
riavvicinarsi. Ora che i fratelli sono vicini, non solo fisicamente,
cioè ridiventati fratelli, disposti a dare la vita per il minore,
allora anche l'altro minore, quello venduto, e creduto ormai perso
per sempre, può svelarsi e farsi riaccogliere come fratello: "Io sono
Giuseppe, vostro fratello" (5). Non sono il gran visir d'Egitto, vostro
signore, davanti al quale dovete sentirvi servi; sono figlio del vostro
stesso padre, e con me dovete sentirvi fratelli.
+ Il racconto potrebbe ora saltare benissimo, senza stonature, al v. 14,
con l'abbraccio e il bacio della riconciliazione definitiva. Ma prima
bisogna che i fratelli capiscano bene la lezione che deriva da tutta
questa storia. E allora Giuseppe rilegge brevemente, davanti ai fratelli,
la triste storia passata (4b-8). E poi (9-13) uno sguardo al futuro,
dove tutto è centrato sul padre: ora che i fratelli si sono rincontrati,
perché la famiglia sia davvero ricostituita, manca solo il padre;
è ora di andare a prendere anche lui!
È la parte più importante di tutta questa storia (v. infra).
+ La storia finisce in un pianto liberatorio, con l'abbraccio e il bacio
prima a Beniamino, poi a tutti gli altri. Qui non si parla più di
prostrazioni: "Giuseppe baciò tutti i fratelli e pianse stringendoli a sé" (15).
E la storia finisce soprattutto con i fratelli che tornano a parlarsi:
"Dopo, i suoi fratelli si misero a conversare con lui" (15). La comunione
all'inizio si era rotta quando i fratelli "non potevano parlargli
amichevolmente" (37,4), ma ora finalmente si torna a parlarsi, da fratelli.
+ Qui finisce la storia: "E tutti vissero felici e contenti". Una brutta
storia che però è finita bene. Una storia piena di umanità e anche molto
realista, così simile alla storia di tante nostre famiglie e comunità,
dove non si arriva a vendersi e a uccidersi, ma dove comunque serpeggiano
divisioni, incomprensioni.
La "morale della favola". Quali insegnamenti tirare fuori?
• Un messaggio, certamente non il più importante (ma che di solito
si tira fuori per i ragazzi del catechismo) è: se fai il bravo ti andrà
tutto bene, la virtù alla fine è sempre premiata. È vero, Giuseppe non
si è mai arreso, non ha ceduto alla seduzione, è sempre stato onesto e
così dalla cisterna e dalla prigione è salito agli onori regali. Ma se
fosse solo questo il messaggio la storia avrebbe dovuto finire quando
Giuseppe diventa gran visir d'Egitto.
* FRATERNITÀ. È chiaro che il messaggio è ben più grande. Al narratore
non interessa che Giuseppe diventi il visir, ma che i fratelli diventino
fratelli. Quindi il tema della fraternità.
• Primo: la fraternità/famiglia è un punto d'arrivo, non un punto
di partenza! Non è perché hai firmato l'atto di matrimonio che la tua
comunione coniugale è assicurata; non è perché sei venuto ad abitare
nel territorio di questa Parrocchia che la comunione con gli altri
parrocchiani è scontata. Fratelli/sorelle si diventa attraverso un
lungo cammino di conversione e anche di morte, passando spesso attraverso
prove, incomprensioni reciproche, invidie... I tempi sono a volte molto
lunghi (20 anni per Giuseppe!), perché purtroppo lunghi sono i tempi
della nostra conversione.
• Secondo: se volete che ci sia comunione/fraternità nelle vostre
famiglie/comunità, siate veri, sinceri. Finché ognuno non si toglie
la maschera del bravo fratello, finché non tira fuori dal sacco le
sue miserie, senza paura di apparire per ciò che veramente è, non è
possibile incontrarsi, essere fratelli.
• Terzo: quando invidie, gelosie, egoismi hanno frantumato la comunione,
se in una comunità uno su dodici si converte, basta, può convertire
anche gli altri. Come è vero che "la vita dell'uno è legata alla vita
dell'altro" e se uno cresce nella santità tira su tutti, se uno si lascia
andare nella mediocrità o nel peccato tira giù anche tutti gli altri.
• Quarto, forse il più importante circa la fraternità: il segreto di
una famiglia/fraternità riuscita sta nella capacità di perdono
. Se alla
fine i dodici hanno potuto riabbracciarsi come fratelli è solo perché
uno di loro ha perdonato, perché uno che ha subito l'ingiustizia, la violenza,
anziché rispondere al male col male, ha risposto al male col bene, cioè
ha perdonato. Perché si possa ricomporre la comunione quando questa è rotta,
bisogna che ci sia qualcuno che perdona, che sia disposto a rinunciare alle
proprie rivendicazioni, non per debolezza, ma perché è convinto che nel
perdono sta la forza più grande. Bisogna che il più forte, cioè colui che
sa amare di più, accetti di cedere.
* DIO. Bellissimo! Ma questi e tanti altri insegnamenti li potremmo trovare
anche in un bel racconto extra biblico. Sono cose che fanno parte della vita
dell'uomo e certamente la Bibbia vuole dirci una parola di verità sull'uomo.
Ma vuole soprattutto dirci la verità su DIO.
E cosa ci dice la Bibbia su Dio, raccontandoci questa storia? Qui c'è un
problema: dov'è Dio in questa storia? Molti hanno parlato di storia laica,
nel senso che in questo racconto si parla molto poco di Dio, i protagonisti
lo nominano solo qualche rara volta, ma non parlano mai con Lui, non pregano,
non chiedono aiuto; né Dio interviene mai a parlare con nessuno di loro
(come faceva spesso con Abramo, Isacco e Giacobbe), non ci sono visioni,
apparizioni, né interventi prodigiosi da parte di Dio. Ci troviamo qui con
un Dio pare lasciare tutta la storia, comprese le sue negatività (cioè il
peccato) alla libera iniziativa dell'uomo, la quale tuttavia rientra alla
fine in un progetto divino.
-> Somiglia tanto alla nostra storia: anche nella nostra vita sono rare,
o del tutto assenti, le visioni, i miracoli, gli interventi prodigiosi
di Dio. Quante volte nella nostra storia Dio sembra assente!
+ La Parola di verità su Dio, che è il messaggio principale di questa
storia, è lo stesso Giuseppe a dircela, nei versetti centrali (4-8),
dove Giuseppe finalmente fa salire sul palco anche il protagonista
principale di tutta la storia, che finora era rimasto un po' sempre
dietro le quinte, cioè Dio.
Questo è il ragionamento di Giuseppe:
- io sono Giuseppe... che voi avete venduto sulla via verso l'Egitto;
ma non dovete rattristarvi per avermi venduto quaggiù (4-5);
- perché Dio mi ha mandato qui prima di voi (5.7, due volte);
- Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio (8).
Dunque, chi è la causa della discesa in Egitto di Giuseppe? È il peccato dei
fratelli che lo hanno venduto a quei mercanti? Sì, e la loro responsabilità
rimane tutta. Eppure Giuseppe dice poi che è stato Dio a mandarlo in Egitto,
riconosce cioè che dietro a tutto ha lavorato la mano di Dio scrivendo dritto
anche sulle righe storte degli intrighi tramati dagli uomini.
È quello che, in modo ancora più chiaro, Giuseppe dirà alla fine di tutta
la storia: "se voi avevate pensato del male contro di me, Dio ha pensato
di farlo servire a un bene". Questo è l'insegnamento principale di tutto
il racconto: quel Dio che pareva assente dalla storia di quella famiglia,
è in realtà un Dio a cui nulla sfugge, che tutto fa rientrare nel suo
disegno di salvezza, anche il peccato. Anche il male viene assunto e
riassorbito per trasformarlo in bene.
* LA STORIA. Dicendoci queste cose su Dio, Giuseppe ci insegna anche
come un credente deve leggere la storia, quella personale, quella
comunitaria e quella del mondo in cui vive: scorgere la mano di Dio
che lavora, che guida, che porta avanti il suo disegno. Perché "la dimora
di Dio è la vita spicciola", Dio è costantemente presente e all'opera
dentro i nostri giorni, dobbiamo solo imparare a riconoscere la Sua
presenza, la sua voce, la sua mano nei banali incontri, eventi, luoghi
che viviamo. Questo è il discernimento, questa è l'arte spirituale di
saper trovare Dio in tutte le cose e in tutti gli eventi, e di conseguenza
imparare a vivere e fare tutte le cose con Dio e in Dio. E in questo modo
la nostra storia diventa anche storia di salvezza.
+ Io provo a cogliere pochi elementi di lettura teologica della vostra
storia comunitaria.
• "Dio mi ha mandato qui", in Egitto, dice Giuseppe per due volte (5.7).
Sì, Dio vi ha mandati qui, in questa fetta di storia così complessa così
lontana da Dio, come l'Egitto, in questa Parrocchia di periferia di una
cittadina di periferia. Perché? Non prima di tutto per organizzare belle
liturgie o iniziative di carità, ma per essere, come Giuseppe, uomini e
donne di comunione, per vivere la straordinaria, seppur faticosa, esperienza
della fraternità, e così "conservarci in vita (5), assicurare a noi la
sopravvivenza (7)". Questa è prima di tutto la vita di una comunità
cristiana/parrocchiale: sperimentare la pienezza della vita, perché solo
dove c'è il pane della comunione c'è vita.
• E poi, certo, vi ha mandato qui anche "per salvare in noi la vita di
molta gente" (7), cioè per far sì che tante altre persone, che stanno
morendo nell'angoscia delle loro sofferenze non condivise, nel buio del
loro peccato possano ritrovare la vita, e ritrovarla perché trovano persone
che si prendono cura di loro.
• Ma perché ci sia tutto questo bisogna che ci sia il Padre in mezzo
a voi!: "Affrettatevi a salire dal Padre e ditegli: ...vieni quaggiù presso
di me e non tardare" (9). Se personalmente o insieme non sapete fermarvi
in preghiera, mettervi in ascolto della Parola, non fare vostra questa
invocazione: "Padre, vieni quaggiù presso di me, non tardare", la vostra
fraternità non potrà reggere.
• E affrettatevi (2 volte), non perdete altro tempo! C'è un senso di
urgenza che deve bruciarci dentro, perché senza Padre e senza fratelli
c'è solo morte, per noi e per tanti attorno a noi.
CONCLUSIONE. "Questa è la storia della discendenza di Giacobbe" (37,2),
la storia di una famiglia per nulla esemplare, dove si consumano invidie,
gelosie, odio, e per motivi anche molto futili. Eppure questi sono gli
antenati del popolo di Dio, da una famiglia così sgangherata dovrà persino
venire il Messia! E sono anche gli antenati della Chiesa, i nostri antenati.
Una povera storia, ma la Bibbia la racconta (come tante altre brutte storie)
perché questa è storia della salvezza!
Smettiamola di pensare che la storia della salvezza sia quella portata
avanti da persone perfettine, che pregano sempre, che non sbagliano mai
(di Maria di Nazareth ce n'è una sola in tutta la storia della salvezza!).
No, sono per lo più persone sballate, a volte autentici peccatori e
persino criminali, i protagonisti principali della storia salvezza
perché Dio entra nella loro storia e la fa diventare sua storia.
Questa è anche la nostra storia, delle nostre comunità, storia piena
di miserie e di peccato.
Che la storia di questa comunità, pur con i suoi limiti, sia
sempre anche storia di Dio!