In Egitto, ma con Dio
(Gn 39,1-23)
Meditazione di fratel Giorgio
[+ Riprendiamo questa storia, scelta quando sullo sfondo del vostro anno pastorale
c'era la lettera "Vuoi un caffè?", con il tema delle relazioni? "Le relazioni nella
nostra società e nella Chiesa sono fondamentali in un tempo in cui il soggetto è
sempre più ridotto a individuo. L'abbiamo riscoperto ancora di più nella pandemia.
Le relazioni ci mancavano come l'aria. Quindi quella lettera non è semplicemente
archiviata, quella urgenza continua ad essere impellente più di prima" (Derio,
Vita Diocesana). E parlare di relazioni anche in tema di spiritualità, di brindisi,
non è fuori luogo perché "non si brinda mai da soli. La nostra spiritualità ha
bisogno delle relazioni" (Derio, Eco).
E poi, nel frattempo, c'è stata la Fratelli tutti di Francesco a ridirci la centralità
della fraternità nella vita cristiana e umana.
+ Questa storia ci narra il cammino di alcuni fratelli che devono diventare fratelli,
perché non lo sono. E infatti tra loro ci sono invidie, gelosie e si arriva sino a
vendere un fratello, cioè eliminarlo. E non a caso è il fratello minore, perché
sono sempre i più piccoli quelli che ne fanno le spese].
IN EGITTO, MA CON DIO. "Giuseppe era stato portato in Egitto" (1).
Dire "Egitto"
per Israele significherà sempre dire schiavitù, ma anche misericordia di Dio che
da quella schiavitù lo liberò. In quel luogo simbolo del peccato, del male deve
scendere Giuseppe, venduto dai fratelli, per diventare strumento di liberazione
e salvezza per i suoi fratelli; come Cristo, venduto per trenta monete, dovrà
scendere nel regno del peccato e della morte per diventare salvezza dell'uomo.
+ In Egitto Giuseppe fa un po' la stessa esperienza vissuta nella casa paterna:
massima stima e fiducia dal padre/padrone, e poi la caduta in disgrazia per
mano di altri.
Giuseppe vive cioè situazioni opposte, un percorso altalenante, come in fondo
è la vita. Ma sempre vive in pienezza ogni situazione, sia quella prospera
che quella avversa, dal di dentro, e mai fuggendo da essa, sia quando è maggiordomo
stimato sia quando è prigioniero condannato.
+ Dove sta il segreto di Giuseppe, il suo punto di forza che gli permette di
vivere bene ogni situazione, seppur schiavo e in terra straniera? "Il Signore
fu con Giuseppe" (2); "il Signore benedisse la casa dell'Egiziano grazie a
Giuseppe" (5). "A lui tutto riusciva bene... il Signore faceva riuscire per
mano sua quanto egli intraprendeva" (2.3). Se tutto gli riesce bene è solo
per questa costante vicinanza-compagnia di cui Dio lo gratifica, lo benedice.
-> Non che Dio è con noi solo quando le cose funzionano bene? Infatti il
"successo" che G. ha grazie alla vicinanza del Signore, è comunque sempre un
successo nella sventura, è quello di uno schiavo, poi di un prigioniero. È
un modo per dire che la vicinanza di Dio nella prova si manifesta come aiuto
per vivere bene la prova, non necessariamente per essere esentati dalla prova.
[stessa idea più avanti]
+ È interessante che di questa vicinanza di Dio si accorge anche Potifar,
pur essendo straniero e dunque pagano: "Il suo padrone si accorse che il
Signore era con lui" (3). Giuseppe, senza dire una parola, senza parlare
del suo Dio, ne è testimone con la sua vita.
-> Gli altri si accorgono che il Signore è con noi?
+ Il Signore è dunque vicino a Giuseppe. Ma, oltre a Potifar, bisogna che
anche G. se ne accorga, che ne riconosca la presenza. Se G. si fosse chiuso
in se stesso, fissato su ciò che i fratelli gli avevano fatto, avrebbe avuto
gli occhi offuscati dal rancore, avrebbe covato la vendetta e non avrebbe
certo potuto riconoscere Dio vicino a sé. No, Giuseppe non rimane mai bloccato
su ciò che gli è accaduto.
Certo, questa è grazia di Dio, e Giuseppe lo riconoscerà quando un giorno avrà
il suo primo figlio e lo chiamerà Manasse, che significa: "Dio mi ha fatto
dimenticare..." (41,51).
-> «Purifica il tuo intelletto dalla collera e dal rancore: allora potrai
conoscere l'inabitazione di Dio» (Massimo il Confessore), potrai vedere Dio
che abita in te, nella tua vita.
Dimenticare è un verbo importante nel cammino di fraternità.
LA TENTAZIONE. Che le cose vadano bene non vuol dire essere al riparo
da ogni tentazione. "Giuseppe era bello di forma e avvenente di aspetto...
la moglie del padrone gettò gli occhi su Giuseppe e gli disse: Unisciti a me!"
(6-7). Anche la bellezza fisica è un dono di Dio, e ogni dono di Dio, prima
o poi, diventa motivo di tentazione. Anzi, quanto più il dono è grande, tanto
più forte è la tentazione. Perciò i nostri doni occorre viverli sempre in
relazione a Dio che ce li ha dati. Quando pensiamo che siano nostri e che
possiamo disporne a nostro piacimento, allora certamente si trasformeranno
in tentazione a cui spesso cederemo.
-> Quante volte i miei doni sono stati o sono per me occasione di tentazione?
Ho la tentazione di usare male i doni, di usarli troppo, di non usarli proprio,
di usarli con invadenza...?
+ "Unisciti a me": questa parola della donna tocca chiaramente un nervo scoperto
di Giuseppe. Non tanto perché va a toccare il tasto del piacere sessuale, su cui
ogni uomo è sempre debole, ma perché tocca il tasto ancora più profondo della
comunione. G. è "separato" dai fratelli, e quando uno è solo è molto facile
cedere alla tentazione di unirsi a qualcuno (certo non solo in chiave sessuale).
Quando uno è ferito dalla solitudine, subisce le tentazioni più terribili di
unirsi alle cose più banali, più stupide, più umilianti (alcol, gioco,
pornografia...), proprio perché sente la sua condizione di "separato".
Questa donna, tentando Giuseppe proprio nel campo della comunione, dell'intimità,
rischia di distogliere Giuseppe dalla sua missione, missione che si consumerà
proprio all'interno dell'amore: creare comunione, unirsi, sono proprio i
termini nei quali si realizzerà la vita di Giuseppe.
+ «Ma egli rifiutò e disse alla moglie del suo padrone: "Vedi, il mio signore
non mi domanda conto di quanto è nella sua casa e mi ha dato in mano tutti
i suoi averi... non mi ha proibito nient'altro, se non te, perché sei sua
moglie. Come dunque potrei fare questo grande male e peccare contro Dio?"»
(8-9). Giuseppe fa qui un discorso teologico oltre che umano: "Il mio padrone
mi ha trattato bene, mi ha dato grandi responsabilità, io non posso tradirlo.
Non solo, ma non posso peccare contro Dio". Per G. quell'adulterio sarebbe
un peccato contro Dio, non solo scortesia nei confronti del signor Potifar.
È l'etica biblica: io ho un comportamento virtuoso non perché obbedisco a
dei comandamenti, ma perché vivo in relazione con Dio, nel "timore del
Signore". Perciò per G. quel cedimento avrebbe a che fare con Dio. G. è
l'uomo religioso, il contemplativo, che riconosce Dio in tutte le cose,
in tutti gli eventi, percepisce come Dio lo sta guidando, amando, salvando
("vedere Dio in tutte le cose e tutte le cose in Dio").
-> È ciò che a noi riesce difficile: vedere il nesso immediato tra la
storia, anche la nostra storia personale, intessuta di tanti gesti o
eventi quotidiani ritenuti più o meno insignificanti, e la salvezza.
+ "E benché giorno dopo giorno ella parlasse a Giuseppe in tal senso, egli
non accettò di coricarsi insieme per unirsi a lei" (10). C'è un'insistenza
che dura tanto tempo, "giorno dopo giorno", e questo è un altro aspetto
della tentazione, perché l'occasione rara può essere superata, ma quando
l'occasione diventa abituale, tutti i giorni, prima o poi si cede.
+ Ma Giuseppe non cede: "Egli le lasciò tra le mani la veste" (12). Giuseppe
era stato spogliato dai fratelli della sua tunica; ora anche della veste.
Si va verso una spogliazione sempre più radicale.
+ "La scena che descrive la reazione della donna (13-15) è un capolavoro
di psicologia femminile. Rifiutata dopo l'estremo tentativo, il suo desiderio
si trasforma in odio, la brama in vendetta, le dolci parole della seduzione
in taglienti parole d'accusa. Quella veste tra le mani, che poteva essere
un elemento d'accusa contro di lei, la trasforma in prova d'innocenza.
L'innocente soccombe alle trame dell'empio: è un tema sapienziale diffuso
in tutta la letteratura biblica" (Borgonovo).
Quante volte il disegno di Dio passa attraverso il gioco di persone annoiate
(cf. la fine del Battista). Il destino del discepolo è spesso anche quello
di essere vittima di cose così crudelmente banali.
+ Come già davanti ai fratelli che lo hanno eliminato, Giuseppe non ribatte,
non si difende, non accusa la donna. Come Gesù nella Passione...
LA SECONDA MORTE. "Il padrone prese Giuseppe e lo mise nella prigione,
dove erano detenuti i carcerati del re" (20). Giuseppe adesso si ritrova in
prigione in una situazione peggiore di quella di partenza. Era passato
qualche anno da quando era arrivato in Egitto, si era ricostruito una
vita, stava bene. E adesso gli capita un'altra disgrazia: è ora uno
schiavo condannato alla prigione, peggio di prima, sembra tutto finito,
rovinato di nuovo e il Signore non è intervenuto a difenderlo.
+ Paradossale: Giuseppe è punito non per un male compiuto, ma per un bene
compiuto, la fedeltà a Dio e al suo padrone. Verrebbe da dire: "vedi che
fare il bene non aiuta? È stato onesto, rispettoso della legge divina e
umana e una calunnia lo ha rovinato". Ma la storia della salvezza passa
anche attraverso situazioni negative, e questa situazione di sofferenza
innocente è la forza che redime. Vediamo anche qui Gesù, innocente condannato,
che salva i suoi fratelli.
Giuseppe continuerà a fare il bene anche in prigione, perché questo è l'unico
modo per rispondere al male: "non lasciarti vincere dal male, ma vinci il
male con il bene" (Rm 12,21)
-> È molto frequente fare del bene ed essere totalmente fraintesi, essere
giudicati in maniera completamente errata per opere nelle quali abbiamo
messo intenzione pura e limpida esecuzione.
+ Quello in prigione è un tempo importante per Giuseppe: è la sua seconda
morte, dopo quella nella cisterna; lì si completa la sua conversione;
lì ha modo di pensare alla propria storia e cogliere la presenza e l'azione
di Dio in quella sua storia. Si accorge che non sono i suoi sogni di grandezza
quelli che si stanno realizzando, ma un misterioso disegno di Dio, per ora
non ancora del tutto chiaro.
+ "Ma il Signore gli fece trovare grazia agli occhi del comandante della
prigione" (21). Quando sembra che Giuseppe abbia perduto, che il suo amore
sia stato sconfitto, il Signore gli offre un'altra opportunità: un'altra persona
che lo ama.
-> Non sempre l'amore vince dal lato in cui lotta; ma ad amare non si sbaglia mai.
IL DIO DI GIUSEPPE. In questo capitolo, a differenza del resto della
storia, per nove volte si nomina Dio, sia nel momento della prosperità sia
nel momento della disgrazia: "il Signore era con Giuseppe". Su Giuseppe
(come su Gesù), anche nella sofferenza e nella schiavitù, regna la benedizione
del Padre. Questo non significa che il lieto fine sia scontato, e infatti a
Giuseppe Dio non risparmia lunghi anni di sofferenza e di silenzio. Questa
vicinanza di Dio significa piuttosto che, nel dolore, in ogni caso matura
la vittoria del bene.
+ Quale idea di Dio, allora, da questo c. 39?
- Da un dio assente al Dio presente. Nei momenti di difficoltà può venire
spontaneo pensare che Dio se ne stia per i fatti suoi. No, ci dice la
storia di Giuseppe. Sembra assente? In alcuni casi può darsi, come
nella sofferenza. Ma appunto sembra assente, mentre in realtà è presentissimo,
vicinissimo. Il suo nome è Emmanuele, Dio con noi, come sarà evidente
dal momento in cui si farà uomo in Gesù. Ma il nostro testo assicura che
Dio da sempre e per sempre è così.
- Da un dio spettatore al Dio attore. Non soltanto Dio è presente, ma lo
è con un concreto coinvolgimento da parte sua. Del resto Jhwh è il nome
proprio personale di Dio secondo la fede ebraica, come si era autopresentato
a Mosè (Es 3,14), ed è proprio il nome usato qui. E Jhwh, "Io sono",
significa non una presenza statica, ma un attivo e amoroso darsi da fare,
tanto da potersi tradurre con "Io sono colui che ci sono, che ci mette la
faccia, che si sporca le mani con voi e per voi".
- Da un dio mago al Dio compassionevole. Il Signore "è con" Giuseppe non
nel senso di garantirgli facile successo in tutto (come spesso pensiamo
debba essere), ma nel senso che è Lui che sta guidando tutti gli eventi,
anche quelli che sembrano più negativi. Dio "è con Giuseppe" non perché
lo libera dalla tribolazione, ma perché lo accompagna nella tribolazione;
non perché gli risparmia la prigione, ma perché scende con lui nella prigione.
Quando un uomo soffre, come Giuseppe, Dio di norma non lo libera dalla
sofferenza, ma la condivide. Certo, ogni tanto fa anche i miracoli, ma
unicamente come eccezioni che confermano la regola della compassione, del
"soffrire con". Gesù ha guarito alcuni uomini, ma sulla croce si è fatto
uguale a loro nel soffrire. Allora, mentre soffro non sono "solo come un
cane", perché il Signore soffre con me.
- Da un dio despota al Dio collaboratore. Questo esserci di Dio, ma senza
troppa invadenza, sta a dirci che l'onnipotenza divina non si traduce in
un fare tutto lui, bensì nel "fare con" l'uomo, nell'attivare tutte le
risorse di cui l'ha dotato, collaborando appunto, ma senza sostituirsi
a lui, e dunque in tutto rispettando e valorizzando la libertà umana.
- Da un dio che premia al Dio che dona. "La protezione efficace di Dio
non è presentata come un premio, una ricompensa per i meriti di Giuseppe:
non si dice nulla delle sue opere buone! Dio è con Giuseppe non tanto per
quel che Giuseppe ha fatto, ma perché egli è Dio" (Bonora).
CONCLUSIONE. Viene spontaneo chiedersi: "che c'azzecca questo tempo
di solitudine, prigionia, morte, di Giuseppe con il cammino verso la
fraternità? Ha lo stesso valore del venerdì santo e del sabato santo
di Gesù per il futuro della Chiesa di Pentecoste, chiamata a vivere
quell'unità per cui il Signore ha pregato nell'ultima Cena e per cui
è morto sulla croce.
Siamo arrivati al punto più basso della storia di Giuseppe: schiavo,
prigioniero e per di più in terra d'Egitto. Giuseppe sta entrando nella morte,
ma ci sta entrando con il suo Signore. Per questo quella morte diventerà seme
di vita, per sé e per i suoi fratelli.
DOMANDE
- In Egitto, con Dio. Come vivo le mie varie situazioni di "Egitto"?
Cerco subito la fuga? O le vivo in pienezza? Cerco di cogliere la
presenza di un Dio che "è con me" anche lì?
Vorrei un Dio che mi libera da ogni prova, o mi basta un Dio che
condivide ogni mia prova?
- La tentazione. Quale è il "dono" di Dio che per me è più spesso
fonte di tentazione?
Riconosco in ogni tentazione che sfocia nel peccato un male fatto ai fratelli,
ma anche un tradimento verso Dio?
- In prigione. Come rispondo al male, ai torti che ingiustamente subisco?
Col silenzio di Giuseppe (e di Gesù) o con la protesta e la ribellione?
Continuando ad amare o cominciando ad odiare?