L'Eucarestia, per imparare a servire
(Gv 13,1-17)
Meditazione di fratel Giorgio
+ Il Diacono è ordinato per il "servizio della liturgia, della parola e della
carità" (LG 29). Dall'altare all'ambone alla strada, senza soluzione di continuità.
È quello che ci ha insegnato Gesù quando ci ha donato l'Eucaristia e quindi è quello
che ci insegna l'Eucaristia ogni volta che la celebriamo.
+ Eucaristia e servizio. Giovanni, a differenza dei Sinottici, nel racconto dell'ultima
cena non ci parla dell'istituzione dell'Eucaristia. Perché? Probabilmente perché quando
scrive Gv il problema nelle comunità non era celebrare l'Eucaristia in modo fedele a
quanto voluto da Gesù, ma è che stava venendo meno la carità fraterna, lo spirito di
servizio. E allora, anziché riportare le parole dell'istituzione dell'Eucaristia, Gv
ci riporta il gesto della lavanda dei piedi. Come per dire ai suoi fedeli: "ma lo
sapete cosa vuol dire celebrare l'Eucarestia? Vuol dire imparare a lavarsi i piedi gli uni
gli altri"!
Infatti Eucaristia e lavanda dei piedi si equivalgono: la lavanda dei piedi è la
traduzione nella vita di ciò che è celebrato nel rito. Perciò dopo aver lavato i
piedi agli apostoli Gesù ordina: "Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io
facciate anche voi", un fare che ora non riguarda più solo la Liturgia, ma la vita.
L'Eucaristia non è solo qualcosa che Gesù ci ha comandato di celebrare, ma anche di
vivere (del resto è questo anche il senso del "fate questo in memoria di me").
"Sapendo queste cose sarete beati se le metterete in pratica" (17): saremo beati
se non ci accontenteremo di aver capito che l'E. ci spinge al servizio e alla
condivisione, ma se queste cose le vivremo, le metteremo in pratica, se le nostre
Messe passano nella vita.
+ Due parti del testo: il gesto di Gesù (1-11) e la spiegazione del gesto (12-17)
- Il gesto: lavare i piedi era un'azione tipica di allora, e spettava solo al servo.
Forse, durante quell'ultima cena, come racconta Luca, ad un certo punto gli apostoli
hanno cominciato a discutere chi fosse il più grande tra loro, al che Gesù li richiama:
"Chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola?
Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve" (Lc 22,27: o diaconòn, io sto
in mezzo a voi come il diacono!!). Forse fu la stessa circostanza che ispirò a Gesù
quel gesto: senza dire niente, prende un catino, si cinge il grembiule e comincia a
lavare i piedi dei discepoli.
- La spiegazione del gesto: Se riassumiamo in una parola il messaggio di questa lavanda
dei piedi, potremmo dire: abbassarsi a servire. Gesù si abbassa fisicamente, per lavare
i piedi, e si abbassa soprattutto moralmente: Lui, Figlio di Dio che compie un'azione
tipica dei servi.
Gesù sta dicendo, non solo a parole, ma con quel gesto: "Io sto in mezzo a voi come colui
che serve", io mi sono fatto "diacono" degli uomini, non tanto perché per una volta vi ho
lavato i piedi, ma perché tutta la mia vita è stata un "abbassarmi", un dimenticare me
stesso per essere sempre al vostro servizio. "Cristo non considerò un tesoro geloso la
sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo" (Fil 2).
La lavanda dei piedi riassume allora tutto il senso della vita di Gesù: Gesù è colui che
si spoglia di tutti i suoi privilegi e si abbassa a servire gli uomini.
+ "Vi ho dato l'esempio, perché come ho fatto io facciate anche voi": ciò che è stato Gesù,
vuole che lo siano anche i suoi discepoli, anche noi. Se Lui si è fatto servo, vuole che
anche noi sappiamo farci servi. Il servizio diventa allora la legge fondamentale della vita
cristiana.
E l'Eucaristia è la scuola dove impariamo il servizio, dove Gesù continuamente ci mostra
e ci dona la capacità di farci servi, perché è durante quell'ultima cena che Gesù ci ha
lasciato questo insegnamento, perché l'Eucarestia è il sacramento del corpo donato, della vita
offerta, nell'umile segno di un pezzo di pane.
+ Ma qual'è il SERVIZIO che ci insegna Gesù? Perché "servizio" è una parola che nel linguaggio
comune è molto usata (il negoziante che "serve" il cliente; "sono di servizio alla Croce Verde"…).
La differenza da come lo si intende abitualmente e come lo intende il Vangelo sta nelle motivazioni
(perché lo faccio?) e nell'atteggiamento interiore (come lo faccio?):
è un atteggiamento del cuore, un modo di essere, prima e più che una lista di cose buone da fare.
Gesù ci chiede di essere servi, non di fare dei servizi.
+ Il perché e il come del servizio evangelico stanno tutti in una parola: l'amore.
Uno serve perché ama, e se non ami la persona a cui fai un servizio, la tua è ipocrisia,
perché le tue mani esprimono una cosa che il tuo cuore non sente.
Giovanni lo fa subito capire: "Dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino
alla fine". Non un amore qualsiasi, ma un AMORE SINO ALLA FINE, fino alla perfezione,
al compimento.
- Amore "perfetto, compiuto" è quello che ha tutte le caratteristiche della carità
(cfr. 1Cor 13): paziente, benigna, non si adira, non si vanta, non cerca il proprio interesse...
- E soprattutto deve essere gratuito: come Gesù non ha chiesto niente in cambio, così
non ci deve essere nessun secondo fine nel nostro servizio.
- È amore a senso unico, che è il solo amore che può avere un servo. Gesù non aspetta che
siano i discepoli per primi a lavargli i piedi (cosa più logica, come allora accadeva);
Gesù è andato a morire in croce per amore di noi, senza aspettare che noi prima gli
dimostrassimo un minimo di amore. Lui è sempre quello che fa il primo passo, anche
sapendo di non essere capito né ricambiato.
Questo amore a senso unico è l'amore che chiede scusa senza pretendere che l'altro
faccia altrettanto (in famiglia, prima di tutto), che dà e si offre senza pretendere
il battimano, e neppure un grazie.
- Amore umile. Gesù non si fa problemi a compiere davanti ai discepoli quest'azione
così umile, tipico dovere dello schiavo. È un'umiltà che sconcerta, che lascia senza
parole, come sempre succede davanti a una grande persona che è umile; e Gv ci tiene
a sottolineare la grandezza, la divinità di Gesù (v.3!), (l'umiltà è sempre edificante,
ma ancor più quando la vedi in un uomo che avrebbe tutti i motivi per vantarsi di qualcosa?
Card. Pellegrino che accetta l'osservazione di una predica troppo lunga e che dice di aver
imparato da quel ciabattino della favela).
L'amore umile di chi serve è l'amore che sa abbassarsi. Dare dei soldi dall'alto del
nostro benessere, dare tempo ed energie dall'alto della nostra magnanimità e generosità,
non è carità cristiana. Sarà opera di assistenza sociale, sarà volontariato. "I poveri
sono i vostri signori e padroni". "Non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece
a quelle umili" (Rm 12,16).
+ Una postilla non secondaria a questo amore che serve: non potrà mai servire con questo
amore, chi non si lascia amare! È il grande problema di Pietro: "non mi laverai mai
i piedi!"... È difficile lasciarsi lavare i piedi da Dio: è faticoso lasciarlo
entrare nella mia intimità, permettergli di vedere la mia stanchezza, le mie ferite,
il peso che ho portato, l’odore della mia umanità.
Certo, pensare che Dio voglia farsi nostro servo ci fa rabbrividire, perché siamo
abituati a pensare che siamo noi a dover fare sempre qualcosa per lui. Ma solo
dopo aver vissuto l’esperienza di un Dio che entra nella mia intimità e mi lava
i piedi, sarò capace di trasformare quest’esperienza in uno stile, in un modo
di provare a stare nelle relazioni con gli altri. Forse troverò il coraggio di
provare ad entrare nell’intimità dell’altro, a guardare le sue ferite e a
lasciare che gli altri vedano le mie.
-> Facciamo dunque una revisione generale, coraggiosa, della nostra vita, e non solo
del nostro ministero, e chiediamoci se essa è veramente un servizio e se, in questo
servizio, c’è amore e amore umile:
- serviamo i fratelli o ci serviamo dei fratelli? Ci si può anche fare in quattro
per gli altri, ma in modo non disinteressato, non gratuito, cercando il plauso,
l’approvazione o anche solo per sentirsi a posto in coscienza, per sentirsi un benefattore.
- per capire quali sono le intenzioni profonde che ci animano nel nostro servizio:
quali sono i servizi che facciamo volentieri e quali quelli che cerchiamo di scansare
in tutti i modi? Siamo disposti ad abbandonare un servizio "nobile", che ci pone in
vista, per uno umile che nessuno apprezzerà?
+ Ma facciamo anche una revisione generale su come viviamo le nostre Eucaristie:
come esco dalle mie E.? Ogni Eucarestia mi aiuta ad essere più diacono?
Vivere l’E. è imparare ad "amare sino alla fine", fino al dono di sé; imparare
ad "amare dal basso", amare come servi; amare non solo il povero educato, che
ti dice grazie, ma anche quello che sai già che ti "tradirà". O la Messa ci
cambia, perché ci siamo nutriti di quel Cristo che si è fatto servo e noi, suoi
discepoli, sentiamo di non poter fare diversamente, oppure lasciamo perdere le
nostre Messe, perché sarebbero solo un teatro in cui noi abbiamo recitato
la nostra parte.
CONCLUSIONE. Uno che chiede di diventare diacono è un cristiano già impegnato,
un cristiano che ama Cristo e la Chiesa e per loro già fa molto. Diventare diacono
mi piace pensarlo come questo salto di qualità: dall’amare all’amare sino alla
fine. Non è un salto in alto, ma un salto in basso, nel segno dell’abbassamento,
dell’umiliazione, del dono della vita. È un salto di qualità e di quantità,
perché si tratta di amare di più e di amare in modo diverso.
“Amare sino alla fine”: non c’è un momento in cui un cristiano, e a maggior
ragione un diacono, può dire: la mia parte l’ho fatta, ho già dato”. No,
perché bisogna dare tutto. Forse l’età o la salute ti costringeranno a ridurre
i servizi che fai, ma non possono farti essere meno servo, farti amare di meno.
Come Gesù nei suoi ultimi tre giorni ha amato in modo diverso rispetto ai suoi
ultimi tre anni (non più guarigioni, non più discorsi...). Questo è amare sino
alla fine: donare la vita!