5. Caino e Abele
(Gen 4,1-16)
Meditazione di fratel Giorgio
INTRODUZIONE. L'uomo è creato per la comunione, la relazione, ma nel suo profondo vive la fatica
della comunione, vive la storia di Caino e Abele, cioè la fatica di essere fratello.
Il termine "fratello" ricorre 7 volte (!!) nel racconto: tema centrale del racconto è appunto la fraternità.
La Bibbia parla dunque subito di fraternità , ma comincia con una fraternità fallita, la prima di una serie.
Come a dire: fratelli non si nasce, si diventa. Ma perché è così difficile vivere da fratelli? Perché siamo
tutti discendenti di Caino, non di Abele (Abele non ha discendenza).
+ "Adamo conobbe Eva che concepì e partorì Caino" (1). L'uomo e la donna si sono preclusi la vita, ma Dio
non ritira la sua benedizione, ("crescete e moltiplicatevi"). La vita sarà sempre dono di Dio, e infatti
Eva esulta e dice: "Ho acquistato un uomo grazie al Signore". C'è qui la spiegazione del nome CAINO, collegato
a qanah che significa acquistare ("ho acquistato un uomo...").
+ E la vita non si ferma qui: "Poi partorì ancora Abele, suo fratello" (2). Ma per ABELE, secondogenito,
nessuna esultanza, nessuna spiegazione circa il nome. Non serve, perché Hebel significa alito, soffio, vapore,
quindi cosa inconsistente, niente. È il termine che Qoelet usa per dire: "Vanità delle vanità , tutto è vanità ".
È un nome che dice già tutto: Abele è uno che passa inosservato, come un soffio inconsistente, è il bene che non fa rumore.
IL PROBLEMA DELLA DIVERSITA'. Il problema di Caino e Abele, cioè il problema della fraternità, sta nella
diversità. La fraternità è fatta di persone diverse; la differenza è una cosa ovvia, ma ci crea un sacco
di problemi, come li ha creati tra Caino e Abele, perché erano diversi:
- uno è il primogenito e l'altro no. E questa è già una differenza enorme, specie nelle culture antiche,
compresa quella biblica: il primogenito era quello che aveva doppia parte dell'eredità , che aveva una serie
di privilegi rispetto agli altri fratelli, quello che riceveva la benedizione...
- "Abele è pastore di greggi, Caino lavoratore del suolo" (2), uno nomade, l'altro sedentario. Dunque
differenza di lavoro ma anche di cultura.
- "Caino presentò frutti del suolo come offerta al Signore; mentre Abele presentò primogeniti del suo
gregge e il loro grasso". È diversa la loro forma di culto, cioè il loro rapporto con Dio.
Dire che sono diversi non vuole dire che uno è meglio dell'altro, ma solo che sono unici.
PERCHÉ CAINO HA UCCISO SUO FRATELLO ABELE? Il testo sembra dirci poco. Si dice che Caino "fu molto irritato
e il suo volto era abbattuto" perché "il Signore gradì/guardò Abele e la sua offerta, ma non gradì/non guardò
Caino e la sua offerta" (4.5). Beh, Caino ha ragione a irritarsi, a pensare male di Dio visto il Suo modo
ingiusto di fare preferenze. In realtà c'è di più:
- "Dio guardò/non guardò". Dietro al "guardare/non guardare" c'è il mistero dell'elezione divina: Dio "guarda",
sceglie chi vuole. Ma che Dio scelga o prediliga uno non significa che rifiuta l'altro: ha semplicemente su
ciascuno un progetto diverso, unico. Se Dio ha scelto Israele, non è perché odia tutti gli altri popoli.
La Bibbia dice questo con il linguaggio semitico: "Dio gradì/guardò... non gradì/non guardò"; oppure:
"Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù" (Mal 1,3); e Gesù: "se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre..."
(Lc 14,26). Dunque è questione di linguaggio.
- Con questo non si dice che Dio sceglie chi vuole secondo i suoi capricci, ma lo fa secondo una Sua logica,
così diversa da quella di Caino e dalla nostra: il suo sguardo si posa sempre sul più debole, sul povero,
sul disprezzato. Qui su Abele, che è debolezza, inconsistenza, fragilità .
- E infine predilige Abele rispetto a Caino perché qualche differenza c'è tra le due offerte. Caino "offrì
frutti del suolo", in modo generico; Abele "offrì primogeniti del suo gregge e il loro grasso", non offre
solo capi di bestiame, ma i "primogeniti". Già capiamo che un conto è offrire delle zucche e un conto è
offrire un agnello. Tanto più se questo animale è un primogenito. Offrire il primogenito dice bene come
tu ti metti davanti a Dio: per sicurezza io potrei tenermi il primogenito e se poi ne nasce un altro, lo
offro a Dio, cioè io mi assicuro il futuro e poi ciò che viene in più lo posso offrire. Offrire a Dio il
primogenito, come Abele, vuol dire rischiare con Dio, fidarsi di Dio. Per fare come Abele Caino avrebbe
dovuto almeno offrire le "primizie".
+ La reazione: Caino "ne fu irritato", non crede davvero che Dio ami anche lui, non sa accettare l'unicità
di Abele e anche la propria unicità , e quindi la diversità tra loro; non sopporta di essere "guardato", cioè
amato da Dio in modo diverso rispetto al fratello Abele. E si sente vittima!
-> Non meravigliamoci, perché funziona così anche per noi: come Caino anche noi abbiamo sempre bisogno di
conferme, di riconoscimenti, che qualcuno ci dica: bravo, fai bene, sei in gamba... Ma questo non accade
sempre. E allora scatta in noi la sindrome della vittima: ci sentiamo scartati, rifiutati. E se non troviamo
qualcuno che ci dà conferme vogliamo almeno trovare uno che ci tratti da vittima, che ci dica: "poverino,
sei proprio sfortunato, non ti capiscono".
+ Dio allora interviene per evitare che Caino scivoli al peggio (6-7). La Sua pedagogia corre su due
binari: cerca di farlo parlare e di farlo ragionare:
- cerca di farlo parlare, facendogli quindi delle domande. Perché la salvezza è possibile se il male, o
anche solo la tentazione al male, non rimane nascosto, se abbiamo il coraggio di verbalizzarlo, di confessarlo.
Non chiudiamoci nel silenzio, ma abbiamo il coraggio di parlare: manifestare i pensieri che ci tormentano,
o il peccato già compiuto, perché se non ne parliamo resta solo la morte! (ecco perché nel sacramento c'è
la "confessione" dei peccati: il male va detto, anche se ci fa male dirlo).
- cerca di far ragionare Caino: "Perché sei irritato e il tuo volto è abbattuto? Prova a dare un nome
all'insofferenza che hai verso tuo fratello! Dio cerca di portarlo a guardare dentro di sé, non dicendogli:
"Sì, voglio bene ad Abele, però voglio tanto bene anche a te"; no, Abele non viene neppure nominato, perché
il problema non è Abele, il problema è Caino e il suo rapporto con Dio, da cui si percepisce meno amato
rispetto al fratello.
- E Dio non gli dice "poverino, scusa, forse non ho avuto con te le attenzioni dovute...", cioè non gli
riconosce lo statuto di vittima. Gli dice piuttosto: "Stai attento, perché stai cadendo preda dei tuoi
pensieri vittimisti, e se non poni subito un argine finirai per fare il peggio". E di fatto Caino finirà
per uccidere il fratello, non con la mentalità del carnefice, ma con quella della vittima.
-> Quante persone non riescono a riconciliarsi (coniugi, fratelli...) perché restano vittime, affezionati
a quel nocciolo di infelicità , di torto subito.
- Infatti "se non agisci bene, il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto, e
tu lo dominerai (dòminalo)" (6-7). Se non agisci bene e ti chiudi in te stesso e nella tua invidia, allora
finirai preda del peccato, che è in agguato alla tua porta, perché il peccato ti desidera, ti reclama per
sé. Ma tu devi essere più forte di lui: devi "dominare", sbattere la porta in faccia a quel pensiero nero,
a quel demone accovacciato, se no ti divorerà ".
-> Non è questione di capire se abbiamo ragione o no, ma dove ci sta portando quel pensiero.
Dunque Dio mette in guardia Caino dal pericolo, ma gli dice anche: tu puoi essere più forte del peccato.
Ecco la gran bella notizia: tu sei libero, tu sei capace di dire di no al male. Non gli dice che è facile
ma gli dice che è possibile.
+ Un paradosso: Caino pensa che Dio ami Abele più di lui; ma in realtà lui è l'unico a cui Dio parla.
Dio non parla con Abele. Invece corre dietro a Caino perché Dio è come il Padre che corre dietro al figlio
in difficoltà , che fa di tutto per aiutarlo. E ognuno di noi è Caino, rincorso dal Padre.
+ Ma Caino non risponde (!!!), resta chiuso nei suoi pensieri vittimisti e nel suo rancore. E accade il peggio.
Il v. che descrive l'omicidio suona lett. così: "E disse Caino ad Abele suo fratello ed avvenne mentre erano
nel campo, si alzò Caino contro Abele suo fratello e lo uccise" (8). Che strano: Caino dice qualcosa ad Abele,
ma non si dice cosa; "Caino parlò al fratello", ma non ci fu dialogo.
-> Sì, si può anche parlare senza dialogare, senza dire niente, ed è ciò che accade tra persone che non vogliono
avere più nulla a che fare tra loro. Quando usiamo toni che non ammettono repliche, quando parliamo senza attendere
le parole dell'altro, senza ascoltare le sue ragioni, allora siamo come Caino: vogliamo cancellare il fratello
dalla nostra vita. E questo fa saltare la fraternità !
+ Nonostante i tentativi di Dio, Caino cade preda del peccato. Ma Dio non lo abbandona neppure ora, interviene
di nuovo, non lanciando fulmini e tempeste, ma facendogli ancora una domanda: "Dov'è Abele, tuo fratello?
Che ne hai fatto, dove lo hai gettato?".
+ "Dov'è tuo fratello?". È una domanda che non aspetta risposta, perché Dio sa benissimo dove è finito Abele,
ma deve servire a Caino per metterlo davanti alle sue responsabilità , per aiutarlo a fare verità , per farlo
parlare e potersi così aprire alla salvezza. Perché finché l'uomo non prende coscienza di essere peccatore e
di dover essere salvato, e tace, non si lascia salvare.
+ Ma Caino ancora si rifiuta al dialogo liberante e salvifico, si rifiuta di confessare, e dà una risposta
evasiva: "Non lo so...", lett. "non lo conosco", che è come dicesse: "Non conosco mio fratello". Caino non
ha mai saputo guardare ad Abele come a un fratello, Caino non è mai stato fratello!
"Sono forse io il custode di mio fratello?". "Custode" è attributo spesso riferito a Dio: "il Signore è tuo
custode". Caino sta in fondo accusando Dio: "sei Tu il custode di mio fratello, mica io!".Avrebbe dovuto dire:
Sì, sono io il custode. Perché tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci custodisca, che si prenda cura di noi.
E se del mio fratello non voglio sentirmi il custode, ne divento l'assassino: verso un estraneo puoi anche
restare indifferente, ma verso un fratello no: o ne sei custode o ne sei assassino!
+ Caino si nasconde dietro una risposta evasiva, non ha il coraggio di dare un nome al suo peccato, di confessarlo,
e allora Dio interviene con il bisturi di una parola incisiva, forte: "Che hai fatto? La voce del sangue di
tuo fratello grida a me dal suolo!" (11-12). Caino non vuole parlare, ma a gridare è ormai quel sangue stesso,
anzi, "i sangui": quello di Abele e di tutte le vittime innocenti della storia.
+ Messo con le spalle al muro, finalmente Caino prende coscienza che le cose stanno proprio così, finalmente
parla con Dio (13-14): "Disse Caino al Signore: "Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono". Finalmente
parla, riconosce la sua grande colpa! Ma questo, anziché avviare un processo di riconciliazione, lo paralizza,
lo getta nella disperazione. Caino, come Giuda, si ritiene imperdonabile, ritiene il proprio peccato più grande
della misericordia di Dio. L'errore più grande di Caino non è stato quello di uccidere suo fratello, ma quello
di disperare del perdono di Dio.
+ Escludendosi dal perdono di Dio, Caino deve portare le conseguenze del suo peccato: "Ecco, tu mi scacci oggi
da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi
incontrerà mi potrà uccidere". Col suo peccato ha alterato tutti i rapporti: è nemica la terra che è sterile e
non dà più vita perché si è imbevuta del sangue di un fratello; è nemico l'altro uomo, il fratello, tutti lo
vogliono uccidere perché è lui che ha deciso di non voler essere fratello di nessuno; sente assente Dio
perché lui deve fuggire lontano da Dio.
+ Qui Caino sembra dire: "Mi sta bene!...". È quel brutto atteggiamento che scatta quando si prende coscienza
del proprio peccato, ma non si ha l'umiltà di lasciarsi perdonare: l'autopunizione.
-> Smettiamo di farci giustizia da soli, di flagellarci per riparare il nostro peccato contro Dio, contro gli
altri, contro il mondo: apriamoci al perdono che ci è regalato, che è un dono.
+ A questo punto Dio, come aveva dato vestiti di pelle ad Adamo ed Eva, così ora mette un segno su Caino
perché non venga ucciso. Non è l'imprimatur, l'approvazione di Dio per il gesto di Caino, ma vuole dire:
"sul corpo di quest'uomo è scritta la sua appartenenza a me; è un assassino, ma rimane sempre mia creatura.
Questo è mio, questo non si tocca!". Ogni persona è intoccabile per il mistero della sua relazione a Dio,
cioè per quello che è, non per quello che ha fatto o continua a fare.
-> Tutti portiamo questo segno di Dio, perché tutti prima o poi abbiamo ucciso dei fratelli, ma restiamo sempre suoi.
+ Quel segno deve indicare che "chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte" (15). E qui c'è la
parola di speranza che chiude anche questa terribile vicenda.
La "vendetta" è qui espressa con il termine del "goelato". Quando uno si trovava nei pasticci, per colpa sua
o di altri, chi doveva fargli giustizia per solidarietà era il parente più prossimo: questo era il goel,
il "vendicatore", il redentore. Qui Dio dice: "Io sono il redentore di Caino 7 volte, io non metto in
discussione il mio rapporto di solidarietà con questo uomo, che pure è omicida, con questa umanità assassina
per 7 volte, cioè sempre".
E nel NT Dio dirà : io sono solidale con questa umanità assassina fino al punto di morire per lei. Questo è
infatti il primo "segno" che troviamo nella Bibbia (troveremo poi il segno dell'arcobaleno, il segno della
circoncisione...). In attesa di un altro segno, che sarà il segno definitivo, quello che davvero salva, il
segno della croce, in cui si manifesta un diverso modo di essere fratello e in cui il fratello primogenito,
il Signore Gesù, non uccide i fratelli, ma anzi dà la vita per loro, perché questi fratelli siano
definitivamente salvi. È il mistero della Pasqua che abbiamo appena celebrato.
DOMANDE
+ So accettare ogni persona semplicemente come "diversa" da me? Provo invidia per qualcuno?
+ "Abele offrì primogeniti...". A chi do le primizie, a chi do il meglio? Riservo per me il meglio delle
energie, del tempo, dei beni, e offro agli altri e a Dio qualcosa di ciò che rimane?
+ Quanto mi aggroviglio nei miei pensieri, nei miei rancori? Ho il coraggio di parlare subito a Dio
del mio peccato nella confessione? Ho il coraggio, ancora più difficile, di parlare con qualche
fratello/sorella di ciò che mi tormenta dentro?
+ "Dov'è tuo fratello?". Dove sono i fratelli/le sorelle che ti ho regalato? Dove sono nella tua
preghiera, nelle tue attenzioni, nelle tue preoccupazioni?
    Di ognuno di essi sono "custode" o sono "assassino"?