LO STUPORE DELLA TAVOLA
Lettera del Vescovo
Derio Olivero
2018-2019
Carissimi amici,
lo scorso anno, a luglio, vi scrissi una lettera. Iniziava così: "In punta di piedi desidero entrare
in casa vostra per darvi un abbraccio e sedermi attorno al tavolo per ascoltare ciò che portate in
cuore: affetti, fatiche, lutti, rabbie, sogni. Presto verrò a condividere la vita con voi. Mi manda
Papa Francesco, che stimo enormemente. Lui rappresenta la Chiesa che da sempre sogno e che ora, in Lui,
diventa visibile. Una Chiesa attenta alla vita concreta, in uscita, gioiosa, capace di dialogo, carica
di speranza, aperta". Ora, dopo un anno, desidero non solo entrare in casa vostra per un saluto, ma
provare a fare un cammino insieme, partendo proprio dal tavolo di casa. Desidero fare un cammino sul
tema del "mangiare". E' una delle cose più elementari e quotidiane. Più fondamentali. Ci accomuna
tutti: credenti e non credenti, giovani e adulti, uomini e donne.
Hai voglia di fare un pezzo di strada con me? Allora partiamo.
UNA PAGNOTTA
Prendiamo in mano una pagnotta di pane. E proviamo a guardarla per qualche minuto. Lo so, le pagnotte
non si guardano, si mangiano. Effettivamente funziona così. Sul tavolo, ogni giorno troviamo pagnotte
di pane. Sono la cosa più ovvia, più scontata. Sono talmente ovvie e scontate che non attirano di certo
il nostro sguardo. Stanno lì sul tavolo, assieme ai piatti, ai bicchieri, alle posate. Sono già lì quando
ci sediamo a tavola. Noi ci sediamo e aspettiamo la prima portata. Quando arriva iniziamo a mangiare,
accompagnando il cibo con un po' di pane, che prendiamo automaticamente, senza pensarci. Ecco: il pane
si mangia senza pensarci. E, soprattutto, senza guardarlo. Senza dire mai: "Oh, che bello, oggi ce anche
il pane". Non desta meraviglia, non suscita stupore. Il pane sta là sul tavolo. Scontato. Non si guarda,
si mangia. Non si apprezza, si usa.
Oggi invece prendiamo in mano una pagnotta e la guardiamo.
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Dono della Madre Terra
Ci accorgiamo che non l'abbiamo fatta noi. Arriva da lontano. Dalla terra. Questa pagnotta è un dono
della Madre Terra. E' lei che ha prodotto il grano. Il contadino, che lavora la terra, lo sa. Lui ara,
prepara il terreno, semina, irriga, miete... ma sa benissimo che non è lui a produrre il grano. E' la
terra. E' proprio per questo che la società contadina ha sempre festeggiato il raccolto ed ha conservato
fino ad oggi la "festa del ringraziamento": un'occasione per dire grazie alla terra e al Creatore. Così
oggi, davanti a questa pagnotta, mi accorgo di essere di fronte ad un dono della terra e del Creatore.
Questa pagnotta è un regalo.
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Il lavoro di tante persone
Inoltre in questa pagnotta vedo il lavoro di tante persone: il contadino, il mugnaio, il panettiere.
Ma anche chi ha raccolto il sale dal mare, chi ha costruito l'acquedotto che porta l'acqua al panettiere,
chi ha costruito i canali che portano l'acqua nei campi, chi ha costruito le strade attraverso le quali
ha viaggiato il grano, la farina e io stesso quando sono andato dal panettiere a comprare questa pagnotta.
Quanto lavoro in questo pezzo di pane! Quante persone hanno speso ore per questa pagnotta! E' un regalo
della terra e di tante persone. Sono grato di appartenere ad una comunità di uomini e di donne.
Questa pagnotta ci ricorda il cibo in generale. Noi restiamo in vita soltanto grazie ad un pezzo di pane,
grazie al cibo. Senza cibo non siamo niente, senza cibo moriamo, inesorabilmente. Siamo dei bisognosi,
siamo dei mendicanti. Non bastiamo a noi stessi. Abbiamo terribilmente bisogno che arrivi qualcosa da
fuori a "salvarci". Questa pagnotta ci ricorda che siamo perennemente in attesa. Siamo fatti di desideri.
Non bastiamo a noi stessi.
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Tu sei importante
Questa pagnotta ci ricorda i pasti. Tutti amiamo mangiare con altri. E' triste mangiare da soli. Tutti
desideriamo mangiare una pizza con gli amici o invitare qualcuno a cena a casa nostra. Tutti siamo felici
quando riceviamo un invito a cena. Mangiare con gli altri non riempie di più la pancia. Eppure ha un
altro sapore, un'altra ricchezza. Perché? Perché mangiare con un'altra persona significa dire: "Tu sei
più importante del cibo che mangio". Fantastico! Il cibo che mangio è assolutamente essenziale: senza,
muoio. Eppure tu sei ancora pi— importante del cibo. Mangiare insieme significa ogni volta riconoscere
che le relazioni sono essenziali per vivere. Le relazioni non sono un dettaglio, un abbellimento, un
optional: sono essenziali.
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Tavolo
Questa pagnotta ci fa pensare al tavolo dove abitualmente mangiamo. E interessante che in una famiglia
di quattro persone non ci sono quattro piccoli tavolini, ma un solo tavolo grande. Si mangia allo stesso
tavolo. Per dire una cosa importante: abbiamo qualcosa in comune. Mangiare allo stesso tavolo dice sempre
questo: tra noi ce qualcosa in comune. L'esempio classico, che spiega questa fatto è dato proprio dalle
volte in cui in famiglia c'è stato un litigio. Si mangia in silenzio, muti. Ma si è seduti tutti allo
stesso tavolo. Non ci parliamo, ma il tavolo parla per noi. Quel tavolo ci ricorda che tra noi c'è
qualcosa in comune,anche in un momento difficile di litigio. Il tavolo ci ricorda che ce qualcosa
di più grande del nostro sentire, del nostro litigio, della nostra fatica.
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Il cibo si condivide
A tavola il pane si spezza, il cibo si condivide. Passa il vassoio, ognuno prende una parte. Il vassoio
continua a girare, perché ce ne sia per tutti. La tavola è il momento della condivisione. Si mangia
condividendo. Per imparare che si vive non solo di pane, ma di condivisione.
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Fatiche
Questa pagnotta ci fa pensare alle fatiche. A tavola, spesso, viviamo le fatiche più dure. Pensa
ai giorni in cui ci sono contrasti in famiglia, tra lui e lei, tra genitori e figli, tra parenti.
Quei pasti sono terribili: si vorrebbe scappare, si ringrazia la televisione che riempie il nostro
mutismo e il terribile silenzio, si scappa appena preso il caffè. Si scappa dalla tavola come una
liberazione. E il pasto successivo lo viviamo come un carcere. La tavola è un momento intenso di
relazione e di alleanza. Per questo, quando si è in crisi, la tavola fa sentire le ferite. Pensiamo
anche al tempo del lutto: a tavola, quella sedia vuota dove sedeva sempre papa o nonna, diventa un
momento di intenso dolore. Ma proprio per questo la tavola è anche un momento importante di
riconciliazione, di perdono, di rinascita. Mentre si "rinasce" grazie al cibo, si può rinascere
nelle relazioni, nella speranza. Quante volte bevendo una birra insieme o mangiando una pizza abbiamo
ricucito uno strappo! Quante volte una cena insieme ha riempito il cuore di speranza nella vita,
anche nei momenti di lutto!
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Feste
Questa pagnotta ci ricorda le feste. Mangiare insieme è uno dei modi più consueti per festeggiare.
Compleanni, anniversari, feste religiose, feste di paese.... La festa spezza il ritmo serrato e
ripetitivo della vita. Spezza il ritmo e apre uno squarcio di senso. La festa di aiuta a "toccare
con mano" la bontà della vita. Spesso, nella fatica del vivere, perdiamo il gusto e il senso della
vita. La festa interrompe per un attimo il ritmo, rallenta, ci fa sentire il calore delle persone,
ci fa apprezzare la bontà di un pasto, il sapore del buon vino, la vicinanza di una comunità... e
così ci aiuta a "toccare il senso", e ripartire. La festa apre al Mistero.
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Lavoro
Questa pagnotta ci ricorda il lavoro. Spesso usiamo l'espressione: "Guadagnarsi il pane". Dice
la fatica del vivere, del sopravvivere. Ricorda i tanti problemi legati al mondo del lavoro:
disoccupazione, disuguaglianza, sfruttamento, crisi, povertà, migrazioni. Ci ricorda il tema
serio della giustizia. Mangiare significa condividere, significa sentirsi in alleanza con la
terra e con la comunità degli uomini. Mangiare è sempre fare un patto con la terra e la comunià
degli uomini. Un patto in cui io ricevo in regalo questo pane, ringrazio, riconosco che l'altro
è più importante del pane che mangio, mi impegno a condividere, ad assumermi la responsabilità per la giustizia.
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Impegno ecologico
Questa pagnotta, dicevamo, mi ricorda la terra. Per questo mangiare deve sempre di più diventare
un impegno ecologico. Voglio amare questa terra, proteggerla, prendermene cura. Mi impegno a non
saccheggiarla con un consumo insensato. Mi impegno a non sprecare, a non rubare il pane agli altri.
Mi impegno a lasciare alle generazione future una terra migliore.
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Parole
Questa pagnotta mi ricorda le belle chiacchierate fatte attorno ad una tavola. Si vive non solo di pane,
ma anche di parole. Abbiamo bisogno, come il pane, di parole. Siamo di corsa, siamo carichi di lavoro,
siamo "chiusi" nei nostri cellulari. Sempre connessi. Ma spesso isolati, soli. Individui slegati.
Abbiamo bisogno di ritrovare il sapore della tavola come luogo per parlarci. La tavola come momento
per raccontarci. E ritrovarci, finalmente. Abbiamo bisogno di ritrovare il tempo per un pasto in comune,
almeno una volta al giorno. Come famiglia. E un pasto insieme, ogni tanto, come comunità.
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Prendete e mangiate
Questa pagnotta ci ricorda Gesù che dice: "Prendete e mangiate". Ci ricorda che abbiamo bisogno
di un Pane che ci salvi. Non bastiamo a noi stessi. Abbiamo bisogno di un Pane che non ci lasci morire,
che ci faccia "rinascere" e riaccenda in noi il gusto e la speranza. Abbiamo bisogno di sentirci
"parte di una comunità di fratelli". Per questo ci troviamo alla Messa. Perché lì un Padre, da buon
padre, ci dia il Pane che ci sostiene e ci doni gli altri come fratelli e sorelle. E ripartire grati.
Quante cose ci ha detto questa pagnotta!
In questo anno desidero camminare con voi per riscoprire queste dimensioni essenziali della vita.
Sarebbe bello se fra un anno, a chi ci chiedesse: "Cosa avete fatto voi cristiani quest'anno?"
potessimo rispondere "Abbiamo imparato ad ascoltare il pane".
UN DIPINTO
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Grande spupore e intensa sorpresa
In questo nostro cammino trovo illuminante questo quadro di Caravaggio: Cena di Emmaus (1602).
Questo dipinto rappresenta un pasto vissuto con grande stupore e intensa sorpresa. Due uomini
stavano vivendo una forte delusione e un feroce dolore: un loro amico era morto, ucciso ingiustamente.
Tristi e sconsolati decidono di lasciare la città di Gerusalemme, dove era accaduta la tragedia,
per andare ad Emmaus. In cammino incontrano un tale che si accompagna con loro e li riscalda
con le sue parole. Giunti ad Emmaus, ormai verso sera, invitano il viandante a fermarsi a cena
con loro. A tavola, di fronte ad un gesto particolare di benedizione, i loro occhi si aprono
e riconoscono lo sconosciuto: è il loro amico morto in croce. E' Gesù in persona, vivo, risorto.
Il quadro dipinge questo momento di riconoscimento. Dipinge la sorpresa, lo stupore di fronte
all'incredibile notizia: un morto è vivo. Descrive l'incredibile notizia: la morte, il buio
della morte è stato vinto.
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Stupore
Lo stupore è visibile nella reazione dei due discepoli: quello alla nostra sinistra tira indietro
la sedia, che quasi pare uscire dal quadro verso di noi; quello a destra allarga le braccia, e la
sua mano sinistra sembra uscire dal quadro, quasi arriva a toccarci, a passarci lo stupore provato,
a scuoterci. E' davvero spettacolare lo stupore che si respira.
Come sarebbe bello sederci ogni giorno a tavola con questo stesso stupore. Arrivare a tavola e
rimanere sorpresi del fatto che anche oggi il cibo ci nutre, ci aiuta a "riprendere forze", ci
aiuta a riprendere il cammino. Arriviamo stanchi e affamati, bisognosi. E troviamo, come un regalo,
cibo per noi. Questo è davvero un miracolo. Ogni pasto è da viversi come un miracolo. Il cibo
non è "cosa scontata". E una "apparizione". C'è e potrebbe non esserci. C'è ed è lì per te. Un
vero regalo che si offre a te. E sarebbe bello iniziare ogni pasto riconoscendo che questo cibo
arriva dalle mani di Dio. E' un dono del Creatore, che ogni giorno si siede a mensa con noi.
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Forma di croce
Il discepolo a destra non solo allarga le braccia, ma le pone a forma di croce; è un espediente
del pittore per farci vedere ciò che il personaggio sta pensando: "L'ho visto in croce e adesso
lo vedo vivo! Incredibile". Il discepolo non riesce a credere ai suoi occhi. Pensava fosse tutto
finito, invece la vita "va oltre". Ormai diceva: "Vedi, la vita, ancora una volta, ci ha tradito;
noi speravamo che ci fosse un senso a questa nostra esistenza, noi speravamo che i limiti e il
dolore non ci schiacciassero, noi speravamo che il male non ci inghiottisse. Noi speravamo in
una Giustizia. Ma non è così. La vita è una gabbia che prima o poi ci soffoca. La vita è tremendamente
ingiusta. E non ci provo nessun gusto. La vita non ha sapore, è insensata". Diceva così ed improvvisamente
si apre uno squarcio inatteso. La fine è un inizio. Si riparte, anzi "si va oltre". Ora ce un senso
al nostro cammino, c'è una meta, c'è una festa che si apre. Come sarebbe bello vivere questo in ogni
pasto. Nella giornata le forze ci sono venute meno, continuando così sarei morto. Ma trovo un po' di
cibo che mi salva. Mi rimette in forze. Mi rimette in vita. E posso ripartire. Grazie al cibo e
alla compagnia dei fratelli con cui mangio. Posso mangiare non solo per riempirmi la pancia.
Anzi. Mentre il cibo scende nel mio stomaco posso sentire rinascere in me la speranza. Alla luce
di questo dipinto che parla di una incredibile rinascita posso mangiare per riempirmi di speranza.
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Conchiglia
Il discepolo a destra, sul vestito, anzi sul cuore, ha una conchiglia: simbolo dei pellegrini.
Ci ricorda che l'uomo è un camminatore, che la vita è un cammino. A volte in salita, a volte
in discesa; a volte piacevole, a volte tragico. Ma se il Signore è risorto allora possiamo credere
al nostro cammino, possiamo vederne la meta. Non camminiamo verso una tomba, ma verso una festa.
Accompagnati dal Risorto. Che bello vivere ogni pasto come "vera tappa" del nostro cammino. Una
pausa non solo per mangiare, ma per riscoprire il valore della relazione con gli altri, per
ringraziare. Una tappa per far rinascere in noi i desideri più profondi, i sogni più grandi.
E rimetterci in cammino con passione. Non si mangia per sopravvivere soltanto; si mangia per
riprendere in mano la vita e tornare ad amare il nostro cammino. Si mangia per ripartire.
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Atto di fiducia
Nel dipinto è espressivo il gesto di Gesù: è una benedizione, ma in realtà è un solenne invito
al cammino. Sembra dire: "Vai! Con me accanto puoi davvero camminare, per sempre!". Che bello!
Ogni pasto possiamo viverlo come un atto di fede. Mangiare è sempre un atto di fiducia: ci fidiamo
che quel cibo che mettiamo in bocca non ci faccia male, non ci avveleni, ma ci faccia bene, ci nutra.
Allo stesso modo ci fidiamo di chi ha cucinato, pur senza aver visto il suo lavoro. Ci fidiamo
ciecamente. Mangiare è un atto di grande fiducia. In questa luce potremmo approfittare dei pasti
per allargare questa fiducia e dire: "So che tu sei qui e ti prendi cura del mio cammino. Anzi
so che sei qui e benedici il mio cammino, anzi cammini davanti a me e mi apri la strada".
Possiamo dire: "Mi fido del cibo, mi fido di Te. Mi affido al cibo, mi affido a Te".
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Cesto di frutta in bilico
Nel dipinto troviamo una mensa imbandita. In primo piano un bel cesto di frutta. Ma con una
particolarità: sporge dal tavolo, è in bilico. Il cesto di frutta è simbolo della vita intera.
Qui rappresentata in bilico. Basta un nulla a far cadere quel cesto. Perché così è la vita degli umani.
Sempre sospesa. Progetti e non sai mai come andrà a finire: inizi una storia d'amore, metti su
famiglia, investi nel lavoro, fai un mutuo per comprare casa... non sai mai come andrà a finire.
Resti sospeso, in attesa, a volte nell'incertezza, rischi senza avere tutte le garanzie. Ogni
progetto è un atto di fiducia, dentro il quale cammini come su una fune, sospeso. Così è la vita.
A volte arrivano risultati, altre no. A volte la vita è una festa, altre volte una tragedia.
A volte stai bene, a volte sei malato. A volte sei felice, a volte triste. A volte la gente ti
sorride, a volte ti ferisce. Sei sempre in bilico. Addirittura sei sempre in bilico tra la vita
e la morte. Non abbiamo la vita nelle mani, non siamo in grado di autofondarci. Ma se davvero
il Signore è Risorto allora sappiamo che il nulla, il male e la morte non sono l'ultima parola.
Possiamo giocarci con fiducia la vita, guardare con fiducia il futuro. Perché Gesù Cristo è il
Signore, il Vincitore. Su di lui possiamo contare, pur nell'incertezza quotidiana. Mentre mangiamo
e riprendiamo le forze possiamo pensare che Lui è il Pane vero che ridona forza al nostro incedere
precario e ambivalente. Su di Lui possiamo poggiare.
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Caducità
In secondo luogo la frutta del dipinto porta i segni della caducità: la mela è bacata, le foglie
dell'uva sono ingiallite, il fico è spaccato. Infatti nessuno è perfetto, siamo tutti un po' bacati.
Ogni volta che ci sediamo a tavola dobbiamo riconoscere che nella giornata trascorsa abbiamo ceduto
spesso al male: una parola mal detta, un gesto scortese, momenti di pigrizia, scelte egoiste, giudizi
avventati, insincerità. Oppure a tavola troviamo persone "bacate", che ci hanno offeso, sono state
sgarbate con noi, non ci sono state vicine. La tavola diventa un'ottima occasione per riconciliarci:
chiedere scusa e donare perdono. E ripartire. Nella certezza che il Risorto lavora in noi per ridarci
un "cuore di carne", un cuore capace di amare. E lavora per ricreare le relazioni, riconciliare,
creare famiglia.
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L'oste
Nel quadro c'è l'oste che guarda Gesù con uno sguardo che è un misto di curiosità e di smarrimento.
Sembra dire: "Di gente strana ne ho vista nel mio locale. Ma questo è proprio tanto strano". Mentre i
discepoli sono davvero "dentro" l'avvenimento, lui fa lo spettatore. Guarda con distacco, stando fuori.
Quell'oste rappresenta un rischio che ci è comune: stare a tavola da spettatori, senza entrare nelle
dinamiche, senza incontrare gli altri commensali. Stare a tavola stando altrove: perché persi nei
nostri pensieri, perché presi dal cellulare o dalla televisione, perché arrabbiati con qualcuno dei
commensali, perché indifferenti. E allora ci perdiamo l'evento del mangiare. Ci riempiamo la pancia,
ma non il cuore. Quasi "rubiamo" il cibo. Estranei che sottraggono un po' di cibo senza accettare
di entrare in alleanza con coloro che mangiano allo stesso tavolo.
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In tutte le nostre case
Mi piacerebbe che in tutte le nostre case si mettesse una riproduzione di questo dipinto. Sarebbe bello
pensare che in tanti, nel nostro territorio, mangiamo accomunati da questo quadro. Questa scena,
guardata anche di corsa prima di sederci a tavola, ci aiuterà a mangiare con un vivo senso di
meraviglia, con profonda gratitudine, con fiducia nella Sua Presenza. Perché questo è il senso
di un'opera d'arte: parlare alla vita nel variare dei giorni. Un giorno arriveremo a tavola delusi:
il quadro ci parlerà di ripresa, di rinascita, di speranza. Un giorno arriveremo arrabbiati o feriti.
Il quadro ci inviterà a cercare il perdono. Un giorno arriveremo non troppo in salute, con l'influenza
o con mal di testa, imbronciati, con l'umore a terra: il quadro ci aiuterà a stringere i denti e a
vedere un senso anche al dolore. Una strada anche nella nebbia. E allora la nostra tavola diventerà
"la pausa più importante della giornata". Non solo un gesto meccanico, ma un gesto umano e umanizzante.
Non solo un gesto per rimanere in vita, ma un gesto per generare vita. In noi e negli altri commensali.
Potremmo dire un gesto sacro. E, forse, qualcuno di noi coglierà quanto la tavola e la mensa eucaristica
siano vicini. E ci alzeremo dalla tavola sentendoci benedetti.
UNA POESIA
Amo molto una bella poesia di D.M. Turoldo che ci potrà accompagnare in questo anno
in cui ci fermiamo a pensare al nostro modo di mangiare.
"Tempo è di ritornare poveri
per ritrovare il sapore del pane
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.
E la gente, l'umile gente
abbia ancora chi l'ascolta
e trovino udienza le preghiere.
E non chiedere nulla"
"Tempo è di ritornare poveri".
Non auguro a nessuno la miseria. Ci mancherebbe! Ma credo sia importante, durante il pasto,
fare l'esperienza della nostra povertà. Non siamo onnipotenti, ma piccoli: bisognosi ogni
giorno di un pezzo di pane, dipendenti, ogni giorno, da un pezzo di pane. Questo ci aiuta a
non vivere in perenne stato di "pretesa" vorace e prepotente. Spesso ci sentiamo al centro
del mondo e pretendiamo che tutto e tutti girino attorno a noi. Spesso pretendiamo che ogni
nostro piccolo diritto sia soddisfatto, subito. Diventiamo prepotenti, voraci. Usiamo gli altri.
Pretendiamo su ogni fronte: che gli altri ci ascoltino, che ci capiscano, che ci aiutino,
che ci amino, che ci rispettino; pretendiamo che lo stato risolva tutti i problemi, che gli
insegnanti dei nostri figli siano perfetti e ci diano ragione, che la sanità faccia passare
noi prima di tutti gli altri; pretendiamo che il cibo sia in tavola quando lo decido io,
che sia cucinato come piace a me, che qualcuno si alzi a prendere il sale, che qualcuno vada
in cantina a prendere la birra. Pretendiamo... ed invece stare a tavola ci può insegnare ad
essere poveri, cioè a non pretendere ma chiedere, a non pretendere ma attendere. Grati per ciò
che abbiamo, fiduciosi per il futuro.
"per ritrovare il sapore del pane".
Siamo poveri. Ogni pezzo di pane è un regalo. Dunque devo imparare non solo a mangiarlo,
ma ad apprezzarlo, a gustarlo. Si sa che un regalo vale molto perché, oltre al valore proprio,
porta in sé l'affetto di chi me lo ha regalato. Con questa attenzione devo mangiare ogni cibo:
è un regalo del creatore, è un regalo di Madre Terra. Spesso è un atto d'amore dei genitori,
un atto d'amore di chi l'ha cucinato. Allora impariamo ad apprezzare. Sentiamo il gusto, i gusti.
Sentiamo il piacere di un piatto gustoso. Sentiamo l'amore che abita ogni cibo.
"per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte".
Mentre mangio e gusto il cibo tocco con mano il lato "buono" della vita, il suo aspetto salvifico.
Quel pasto mi salva, quel pasto mi riconcilia con l'ambiguità della vita. C'è qualcosa di buono,
lo tocco, lo gusto, lo sento entrare in me e so che mi rigenera, che ricrea vita in me. Così mi
lascio riempire di speranza per il cammino, così affronto con fiducia il futuro, con i suoi momenti
di arsura e i suoi momenti di nebbia. Quando sono a tavola capisco che il futuro non è una minaccia,
ma una promessa. Perché sto "toccando" del cibo che non è una minaccia, ma una possibilità di vita.
Nel mangiare la vita mi mostra sempre il suo lato promettente.
"e cantare la sete della cerva".
Mangiamo perché abbiamo fame, beviamo perché abbiamo sete. Il momento del pasto è una bella
occasione per accorgerci che siamo un fascio di desideri. Siamo "desideri che camminano".
E siamo veramente umani soltanto se siamo capaci di tener accesi i nostri desideri. La fatica
e la monotonia delle nostre giornate, ma anche il dolore e le delusioni rischiano di spegnere
i desideri, di rimpicciolirli. Si diventa cinici. Quanti adulti sono diventati cinici, sospettosi
di fronte ai desideri e a i sogni. Il loro motto è: "Tanto non ne vale la pena". Un motto che
declinano in mille versioni: "Tanto non cambierà mai nulla! Tanto è inutile tentare! Tanto alla
fine non si ottiene mai niente! E' inutile sprecare energie dietro i sogni! Ormai è tardi!".
Troppi adulti sono diventati cinici, privi di passione, incapaci di trasmettere passione alle
nuove generazioni. Per questo abbiamo bisogno di "risvegliare i desideri" di risvegliare la
passione per la vita, per il lavoro che facciamo, per la famiglia che abbiamo, per questo nostro
stato e questa nostra chiesa. Abbiamo bisogno di sognare e cercare con passione un futuro migliore
per noi e per i nostri cuccioli. Abbiamo bisogno di riscoprire la "sete" che ci abita. Compresa
la sete di Dio, così sopita nel nostro tempo secolarizzato.
"E la gente, l'umile gente
abbia ancora chi l'ascolta"
La tavola è una bella occasione per ascoltare e parlare. Dovrebbe diventare il luogo privilegiato
dell'ascolto. La bocca non serve solo per mangiare, ma anche per parlare. Mentre condivido il cibo
condivido la vita. Mentre passo il vassoio ti passo qualcosa di me, ti racconto qualcosa di me.
E mentre ricevo il cibo dalle tue mani ricevo la tua vita. Condivido cibo e parole. Ed imparo
ad essere ospitale. Mangiare è partecipare alla tavola che ha preparato per me la "madre terra",
dunque mangiare è sentirci parte di una messa più grande, dove tutti gli uomini e le donne hanno
il diritto di essere invitati. Dunque mentre mangio nell'intimo della mia famiglia devo sentirmi
parte di un invito universale. E, pertanto, sono responsabile della fame anche di altri. Pertanto
ogni pasto è un allenamento al diventare capaci di ospitalità. Verso tutti, in particolare verso
l'umile gente, verso coloro che faticano, che sono soli, che mangiano sempre da soli, che non hanno
da mangiare, che sono emarginati.
"E trovino udienza, le preghiere".
Nella nostra cultura sembra "inutile" pregare. Sembra un gesto antico, usurato, svuotato di significato.
Oggi conta il pensare e il produrre, non il pregare. Ma se ti siedi a tavola e ti accorgi che sei povero
riscopri la dimensione vera della preghiera: di fronte al cibo ti viene spontaneo ringraziare per
questo dono e invocare tale dono anche per il domani, anche per i fratelli. E ti senti di chiedere
scusa perché non sei degno di un tale regalo. Ringraziare, invocare, chiedere perdono:
ecco ritrovata la preghiera.
"E non chiedere nulla".
Ogni volta che mi alzo da tavola posso provare la sensazione densa della gratitudine: anche oggi
ho ricevuto in regalo cibo per la mia fame e acqua per la mia sete. Anche oggi ho provato sulla
mia pelle la bellezza di sentirmi figlio amato: figlio della "Madre Terra" che mi ha sfamato,
figlio del Padre che si è preso cura di me, figlio che ha trovato a tavola altri fratelli.
UN PO' DI BELLEZZA
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Sentir cantare le cose
Non abbiamo più occhi allenati alla bellezza. Anzi, rischiamo di rendere mute ed ovvie tutte
le cose. Proprio come dice una splendida poesia di R.M Rilke riferita appunto agli uomini e
alle donne che non sanno vedere la bellezza:
"Non c'è montagna che li meravigli,
le loro terre e i giardini confinano con Dio!
Vorrei ammonirli, fermarli: state lontani,
a me piace sentire le cose cantare.
Voi le toccate: diventano rigide e mute.
Voi mi uccidete le cose."
Il poeta ama "sentir cantare le cose": bellissima immagine che suggerisce la capacità di lasciar
venir fuori tutta la ricchezza delle cose. Il poeta si riferisce alle persone che non guardano la
bellezza ma solo Fuso delle cose, la loro funzione. Le toccano, le usano, le vendono, le comprano,
le buttano ... e, così, riducono ogni cosa , ne perdono la bellezza, le rendono mute. Così facendo
non si accorgono che "le terre e i giardini confinano con Dio". Che meravigliosa immagine! Ogni
cosa "confina" con Dio. Dentro ogni fiore e ogni montagna ci sono le mani di Dio. La bellezza me
ne fa sentire la Presenza, la luminosità me ne fa ritrovare il Volto. Essere capaci di vedere la
bellezza è il modo migliore per ritrovare il valore di ogni cosa. E nello stesso tempo è la via
privilegiata per sentirci avvolti dalla Presenza Divina.
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Mangiare è un allenamento alla bellezza
Mangiare è un allenamento alla bellezza, perché è un allenamento alla capacità di gustare. Gustare
significa andare oltre l'utilità. Significa scavare, fino a sentire il dolce, il salato, l'aspro,
l'amaro. Significa accorgerci del cibo che mangi, riconoscerlo, lasciare che ti parli, ti racconti
le sue caratteristiche. Ti faccia dire: "Che buono!". Ti apra porte che all'apparenza non vedevi.
Perché gustare significa aprire porte. Mentre gusti un vino scopri sapori di prugna, di mandorla,
di pesca e senti profumi di agrumi, di fiori bianchi. Mentre gusti un buon piatto di spaghetti senti
il sapore del pomodoro fresco, del basilico, dell'origano. A poco a poco affiorano i sapori. Ti
scoppiano sul palato. Ti parlano. E ti rivelano la pienezza di quel cibo. Ecco: proprio questo è
il senso della bellezza: condurti dentro le cose e non lasciarti fermo all'apparenza. Massimo
Recalcati, un bravo psicanalista, scrive: "L'arte è sempre un ponte verso il mistero delle cose".
Bellissimo: l'arte ti conduce verso la densità delle cose. La capacità di apprezzare bellezza e
sapori ci conduce verso la densità delle cose, verso la densità della vita. Ci aiuta a "ritrovarci
un gusto", ovvero un senso alla vita.
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Diventare più umani
Ecco perché cammineremo un anno sul tema del mangiare. Per imparare da questo gesto comune e quotidiano
gli aspetti fondamentali del vivere e del credere. Chi è credente sarà aiutato a riscoprire il valore
concreto della propria fede. Chi non è credente sarà aiutato a vedere negli eventi una sorprendente
apertura. Per tutti, insieme, sarà una splendida occasione per diventare più umani. E scoprirci
fratelli. Invitati alla stessa tavola, bisognosi dello stesso cibo. Amati teneramente e senza
differenze da un Padre che si cura di noi, che "fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra
i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti" (Mt 5,45).
ALLA LUCE DELLA PAROLA
Abbiamo guardato una pagnotta, ammirato un quadro, letto una poesia. La vita ci ha parlato.
Passo dopo passo si sono spalancate splendide prospettive per la nostra vita quotidiana.
Abbiamo parlato di gratitudine, di condivisione, di relazioni, di riconciliazione. Ma resta
dentro di noi una domanda radicale: la vita è buona? Possiamo dargli credito, possiamo dargli
fiducia? Si, il mangiare ci ha mostrato il volto "materno" della terra, ci ha fatto intuire
la faccia buona della vita, ci ha fatto intuire la destinazione umana all'amore. Ma resta vera
tutta l'ambiguità della vita. A volte la vita è una festa, a volte una tragedia. Ci sono giorni
pieni e giorni vuoti, momenti dove intuisci la giustizia delle cose e momenti dove tutto è tragica
ingiustizia. Sensazione di pienezza e senso di vuoto. Vince il bene o il male? In altre parole
la vita è bella o brutta? Vince la vita o la morte? Ecco l'ambivalenza dei nostri giorni sotto
il sole. In sintesi: posso dar credito alla vita, oppure devo giocare in difesa? Posso giocarmi
la vita dando ragione agli inviti scoperti in questo percorso oppure devo trattenermi, chiudermi?
Vale la pena farsi dono oppure conviene farsi predatore? Fidarsi o prevaricare? Affidarsi o
difendersi? Credere o sospettare?
Di fronte a queste domande diventa fondamentale la Parola. Essa viene a indicarci la prospettiva
di fondo. Per i credenti è "canone", cioè dice la giusta direzione. Per i non eredenti è "codice",
ovvero contribuisce ad "aprire la porta" sulla verità della vita. Dunque la leggiamo proprio come
"chiave" che ci aiuta ad aprire gli occhi sull'ambiguità della vita.
Tra i tanti testi che ci parlano di cibo e di mensa leggiamo il racconto della moltiplicazione
dei pani. Questo racconto torna ben sei volte nei Vangeli. Tale "ripetizione" ci fa capire quanto
i primi cristiani lo ritenessero importante.
Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù egli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.
Ed egli disse loro: «Venitevene ora in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco».
Difatti, era tanta la gente che andava e veniva, che essi non avevano neppure il tempo di mangiare.
Partirono dunque con la barca per andare in un luogo solitario in disparte. Molti li videro partire
e li riconobbero; e da tutte le città accorsero a piedi e giunsero là prima di loro. Come Gesù
fu sbarcato, vide una gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore che non hanno
pastore; e si mise a insegnare loro molte cose. Essendo già tardi, i discepoli gli si accostarono
e gli dissero: «Questo luogo è deserto ed è già tardi; lasciali andare, affinchè vadano per
le campagne e per i villaggi dei dintorni e si comprino qualcosa da mangiare». Ma egli rispose:
«Date loro voi da mangiare». Ed essi a lui: «Andremo noi a comprare del pane per duecento denari
e daremo loro da mangiare?» Egli domandò loro: «Quanti pani avete? Andate a vedere».
Essi si accertarono e risposero: «Cinque, e due pesci». Allora egli comandò loro di farli
accomodare a gruppi sull'erba verde; e si sedettero per gruppi di cento e di cinquanta. Poi
Gesù prese i cinque pani e i due pesci, e, alzatigli occhi verso il deh, benedisse e spezzò
i pani, e li dava ai discepoli, affinchè li distribuissero alla gente; e divise pure i due
pesci fra tutti. Tutti mangiarono e furono sazi, e si portarono via dodici ceste piene di
pezzi di pane, ed anche i resti dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila
uomini. (Me 6,30-44).
"Ebbe compassione"
II brano ci racconta un pasto. Interessante l'inizio: Gesù guarda questa gente e ne sente
"compassione". Se le prende a cuore, se ne prende cura. Vede che sono come "pecore senza pastore",
cioè senza guida. Vagano, smarrite. Non hanno nessuno che indichi loro la strada verso l'erba.
E si fa loro "Pastore". Il pastore è colui che "procura il pasto", che guida verso il pascolo.
Già questa prima considerazione ci offre una "chiave" per interpretare la vita. Quando mangiamo
ci sentiamo riconoscenti alla Terra che si prende cura di noi. In quella riconoscenza ora
troviamo la radice vera: c'è un Dio che sente "compassione" per noi, che si cura di noi in ogni
istante. Ed in nome di questa compassione si fa nostra guida, ci cammina davanti e ci indica la
strada. Per condurci davvero dentro la vita, con speranza. Da questa compassione e da questa
amorevole cura nasce la nostra speranza. Che non è uno sguardo ingenuo, ma una tenacia fiducia
nel futuro, perché colto nell'amorevole cura di Dio e nella certezza che Lui ci cammina davanti.
La speranza nasce dalla fiducia e genera una vita buona. "Il contrario di una vita buona non è
immediatamente una vita cattiva, malvagia, bensì una vita vana, vuota, che non ha prospettive
o si limita ad aspettative di corto respiro" (Duilio Albarello). Invece la certezza della Sua
amorevole cura ci fa amare ed apprezzare il presente, pur nei limiti, nelle fatiche e nel dolore.
In Lui possiamo finalmente apprezzare la vita. E crederci. Senza di Lui siamo "pecore incerte
e sospese", che rischiano, di chiudersi sospettose. Lui ci offre un cammino percorribile.
Difatti, prima del miracolo del pane, Gesù dona loro la sua parola, che indica la strada.
"Essendo già tardi"
E' sera. La giornata sembra ormai finita. Siamo giunti a quel momento della giornata dove
arriva la notte e (almeno in quei tempi) non si può più far nulla. La tipica situazione
dove diciamo: "Non ce più nulla da fare, la partita è chiusa". Anche i discepoli ne sono
consapevoli. Fanno i loro calcoli e dicono: non c'è niente da fare, non possiamo fare nulla.
Fanno i loro calcoli e capiscono che non ce nulla da fare. Tale situazione ci ricorda un
atteggiamento molto frequente oggi: crediamo solo a ciò che vediamo, misuriamo, pesiamo.
Basiamo la vita sui nostri calcoli. E ci fermiamo sempre troppo presto. I discepoli fanno
due calcoli e propongono a Gesù di mandare la gente a comprarsi da mangiare. Sono convinti
che la vita sia costituita esclusivamente da comprare, vendere, usare, produrre, funzionare.
Ed invece esistono molte altre dimensioni, che vanno oltre i calcoli ed il retto funzionamento.
Perché la vita è fatta di affetti, di condivisione, di compassione, di speranza, di fiducia.
Gesù li stimola ad aprire gli occhi sulla verità della vita. Ad iniziare, proprio dalla sua
compassione che riprende il tema biblico della misericordia, che è proprio la capacità di
"spingersi oltre il dovuto", oltre il retto calcolo. Questa, dice Gesù, è la strada da seguire.
Il riferimento alla sera ci aiuta a fare una ulteriore considerazione riguardante la cena.
Spesso arriviamo a sera, dopo una lunga e faticosa giornata di lavoro; ci sediamo a tavola
convinti che ormai "le cose serie sono finite" e non ci resta che un po' di riposo e il gesto
necessario di "riempirci la pancia". Ed invece la sera, la cena è l'occasione per scoprire
"il molto di più" della nostra vita: le relazioni familiari; la condivisone del cibo; la
condivisione della giornata trascorsa; la capacità di prendersi cura dell'altro; la gratitudine
per il cibo ricevuto; la fiducia nel nuovo giorno che fra un po' inizia; l'affidamento alla
cura di Dio per affrontare la notte.
"Date loro voi da mangiare"
Gesù si prende cura della gente, diventa loro pastore, si spende per loro. Ed invita i discepoli
a fare altrettanto. Dice loro: "Date loro voi da mangiare", prendetevi cura di loro, spendetevi
per loro, fatevi padri e madri. Diventate responsabili degli altri. Ecco il nocciolo: la vita
sta nel dare la vita. Noi facciamo i nostri calcoli e restiamo "indifferenti" agli altri, per
paura, per sospetto, per egoismo. Gesù dice: condividete ciò che avete, offrite voi stessi
come regalo. Prendetevi cura della fame di altri, proprio come fa ogni buon papa e ogni buona
mamma. I discepoli si spaventano e rifanno i calcoli: abbiamo solo cinque pani e due pesci,
non bastano per tutti; e, soprattutto, se li mettiamo a disposizione, moriamo noi di fame.
I conti non tornano. Ma Gesù li guida a capire che la vita funziona diversamente. Proprio
come dice Silvano Fausti: "Questo reciproco spezzarsi e donarsi l'un l'altro è l'amore,
quel pane che basta per tutti, perché proprio nello spezzarsi e nel donarsi, invece di
diminuire, cresce. Non è qualcosa che si acquista: è un dono gratuito, fuori dalle categorie
della giustizia e dell'economia: è quel dono di amore che Gesù Cristo ha fatto di sé a tutto
il mondo sulla croce; è quel pane che, a loro volta, i discepoli stessi posseggono solo donandolo".
"Prese, benedisse, dava"
Sentiamo, in questa descrizione del miracolo, le parole dell'Eucarestia. Il miracolo anticipa
la croce ed anticipa l'Eucarestia. Qui Gesù dona del pane, ma presto donerà se stesso come
pane. La croce dirà la verità profonda di questo miracolo: il nostro Dio si "spezza per noi",
per farci vivere. Il nostro Dio è davvero un Padre che si "spezza la schiena" per far viver
i suoi figli e le sue figlie. Pertanto ogni volta che ci sediamo a tavola possiamo lasciarci
stupire da questa incredibile verità: il Signore sta lavorando perché io abbia davvero la vita.
Mentre porto alla bocca un pezzo di pane per continuare ad avere le forze per vivere so che c'è
Uno che mi dona se stesso, il suo Spirito perché io possa entrare pienamente nella vita. E non
essere mai inghiottito dal nulla. Ecco perché il mangiare ha una valenza "sacra". Dice molto di
più di quello che vedo. In questa luce percepiamo la portata umana dell'Eucarestia. Lì "tocchiamo
con mano" Gesù che si "spezza per noi", per crederci nella vita di tutti i giorni. Andiamo a
Messa per essere capaci di "vedere Gesù" seduto a tavola con noi, a casa nostra. E di credere,
quotidianamente, alla sua amorevole cura. E, di conseguenza, per essere capaci di mangiare con
gratitudine, capaci di condivisione e di ospitalità.
"Sull'erba verde"
Fa sorridere, a prima vista, questo riferimento all'erba verde. Innanzitutto perché il luogo
era deserto e dunque era difficile trovarci dell'erba. In secondo luogo fa sorridere che
l'evangelista sottolinei un simile dettaglio. Ma proprio questo è interessante: Marco sottolinea
l'erba verde per dirci che il miracolo anticipa gli "ultimi tempi", quelli in cui il deserto si
trasformerà in giardino. Che bella questa annotazione! Il miracolo ci anticipa gli ultimi tempi,
la Festa Eterna, il Paradiso. La vita è ambigua, ma procede verso un compimento buono. Non
camminiamo verso il nulla, ma verso una festa. Come scrive il profeta Isaia: "Preparerà il
Signore per tutti i popoli un banchetto... Egli strapperà il velo che copriva la faccia di
tutti i popoli. Distruggerà la morte per sempre, il Signore Dio asciugherà le lacrime su ogni
volto" (Is. 25,4-9). Questo viene vissuto in ogni Eucarestia. Questo possiamo viverlo in ogni
pasto: mentre mangiamo possiamo intrawedere in quel banchetto una piccola anticipazione del
banchetto celeste, del compimento. E nutrire non solo la nostra pancia ma anche la nostra speranza.
"Portarono via dodici ceste"
Tutti mangiano e ne avanza parecchio. Non solo si saziano, addirittura "di più". Il testo
insiste sull'abbondanza, sulla sovrabbondanza. La cura di Dio per noi, suoi cuccioli, è enorme.
Viviamo sorretti e accarezzati da questa certezza!
PAROLE PER CAMMINARE
Alla luce di tutto ciò che abbiamo detto proviamo ad elencare alcune parole che ci possano guidare
ogni volta che ci sediamo a tavola. Anzi, alcune parole che possano aiutarci a ricostruire un uomo più umano.
Alcuni libri recenti parlano della crisi della nostra cultura e la descrivono soprattutto come
una crisi di "umanità". Il libro "L'uomo di sabbia" parla dell'individualismo moderno che ci
rende malati. Dice ad un certo punto: "L'uomo-individuo scopre che il vuoto pesa... Ormai tutto
si basa su di lui. Posto di fronte alla necessità di autoriferimento interiorizzato, si trova
costretto a decidere, scegliere, volere e reinventare. Procedendo a tentoni, per tentativi ed
errori, cerca un'abilità, una competenza. Può contare solo sulle sue capacità personali, sulla
sua soggettività e sul suo discernimento. .. Da svariati decenni il mondo occidentale scuota la
sua memoria come farebbe con i suoi granai. Così dilapida alla grande la sua eredità, persuaso
che il nuovo possa supplire il vecchio, che il benessere del mercato e le promesse della tecnologia
possano bastare a renderlo felice. Ma tutto ciò che, in questa allegria libertaria, è stato
progressivamente eliminato si rivela mancante. Oggi non c'è più granché su cui poggiarsi. Ma
senza sufficiente base di valori, credenze, ideali condivisi, a cosa aggrapparsi? Dove fondarsi?".
Abbiamo bisogno di ritrovare qualcosa che ci aiuti ad uscire da noi stessi, dal nostro individualismo,
e ci faccia riscoprire la bellezza di essere parte di qualcosa di più grande (una famiglia, una comunità,
una cultura, un Dio), ^esperienza della tavola può aiutarci a riscoprire questa fondamentale dimensione umana.
Il libro "Il profumo del tempo" parla del nostro tempo come di un "tempo senza profumo": tempo
accelerato, atomizzato; tempo che genera stress e senso di vuoto. Dice: "Se si toglie alla vita
ogni elemento contemplativo, essa finisce col soffrire di un'iperattività letale. L'uomo soffoca
nel proprio stesso fare. E' necessaria dunque una rivitalizzazione della vita contemplativa per
aprire spazi di respiro. Forse lo spirito stesso nasce da un'eccedenza di tempo, da un otium, anzi
da una lentezza di respiro... chi resta senza fiato, è anche senza spirito". L'autore propone di
recuperare, in questo nostro tempo di corsa, la capacità contemplativa: fermarsi, apprezzare, ritrovare
il senso, stupirsi. Lesperienza della tavola può diventare una vera "pausa contemplativa" dove si
accoglie il cibo, si gusta, si ringrazia, si ritrova un senso. E, soprattutto, dove si accoglie l'altro,
si ascolta, si incontra, ci si dona a vicenda.
Il libro "La resistenza intima" ci invita al lottare contro la disgregazione. Dice: "Di fatto,
la prova più dura a cui viene sottoposta la condizione umana è la contìnua disgregazione dell'essere.
E' come se le forze centrifughe del nulla volessero saggiare la capacità dell'uomo di resistere
al loro assalto. Sebbene i volti dei nemici cambino nel tempo, non si tratta di una sfida legata
all'oggi o al passato, bensì di una prova costante". Come resistere alla disgregazione? L'autore
propone due vie: da un lato la prossimità e dall'altro la ricerca di senso, ^esperienza della
tavola ci stimola su questi due fronti.
Il cristianesimo è "una bella notizia" sulla vita. Ma oggi rischia di essere "una notizia irrilevante".
Abbiamo ridotto il cristianesimo a fredda ed astratta dottrina, a inconsistente spiritualismo,
a rigida etica. E abbiamo dimenticato la sua forza vitale, la sua dirompente speranza. Le nostre
parole cristiane si sono "usurate". Abbiamo bisogno di parole nuove, che osino dire il cristianesimo
nella vita quotidiana. Dobbiamo riscoprire la "portata umana" della fede cristiana. Proprio come
dice lucidamente il grande teologo Gh. Lafont: "Chissà se tutta la nostra teologia non sia altro
che una faticosa rieducazione per i popoli che hanno dimenticato le leggi primarie dell'arte di vivere?".
Allora elenchiamo alcune parole fondamentali, che scopriamo nel nostro stare a tavola. Parole che
ci stimolano a rivedere il nostro modo di stare al mondo. E possono farci riscoprire la vitalità
della nostra fede. Nella concretezza quotidiana. Certi che "l'esperienza dello Spinto è un'esperienza
radicalmente corporea" (A. Grillo).
Elenchiamo alcune parole semplicemente indicando poche suggestioni. L'intento è quello di aprire
un cammino. Ognuno potrà fermarsi a pensare. Si potrà confrontare. Potranno nascere momenti di
discussione o di ricerca. Potranno nascere dialoghi in coppia, con i figli, tra amici, al bar,
in parrocchia, nelle associazioni... Ecco il mio sogno: aprire un cammino, un processo, una ricerca.
Su parole comuni. Per creare "una comunità in cammino" che dentro questo cambiamento d'epoca osa
lavorare per creare una nuova civiltà. Una comunità in cammino che prova a ritrovare il sapore
della vita e del Vangelo, che prova a "usare" la Parola come codice per aprire il segreto della vita.
1. Gratitudine
Ogni volta che mi siedo a tavola "trovo" il cibo. E faccio, ogni volta, l'esperienza del dono.
Perché il cibo è "fatto dalla terra", è un regalo della terra. Ed è un regalo "della società",
perché in ogni cibo trovo il lavoro di tante persone. Compreso, spesso, il lavoro ultimo di chi
ha cucinato per me. Mangiare significa sentirsi grati. Mangiare significa innanzitutto ringraziare.
In questa esperienza elementare e quotidiana scopriamo una caratteristica fondamentale dell'essere
uomini: siamo vivi grazie a qualcosa che ci mantiene in vita (il cibo, l'acqua). Siamo vivi grazie
ad altro prima che a noi stessi. C'è un Padre che ci precede e si cura di noi.
Mangiare significa "essere costruiti da ciò che mangiamo". Dopo aver mangiato, senza che ci
pensiamo, il cibo "ci costruisce". La digestione è un fatto "involontario". Avviene indipendentemente
dalla mia volontà. E ci fa vivere. Come dice P. Ricoeur: "Ad un certo livello della mia esistenza
io sono un problema risolto da una saggezza più saggia di me stesso. Saggezza più saggia, perché
l'attività che opera così 'da sola, produce, nell'ordine stesso del corpo, ciò che io non posso
operare da me con la mia volontà, col mio cervello e con le mie mani". La digestione ci dice che
c'è qualcosa di assolutamente vitale che avviene indipendentemente da me. Non sono l'unico artefice
della mia vita. Vengo costruito. In questa luce possiamo intrawedere la traccia di una Presenza.
E, soprattutto, la traccia di una Presenza che sta lavorando. E sentirci grati. Perché "vero uomo
è colui che può dire grazie". Vero uomo non è colui che non deve chiedere nulla, che non ha bisogno
di nessuno. Vero uomo è colui che scopre di ricevere molto dalla terra, dagli altri, da Dio e si
sente rigenerato e sostenuto da questi doni. A tavola mi rigenero mangiando. E, soprattutto, mi
rigenero perché mi scopro "costruito" da tante presenze che mi precedono.
Mangiare significa imparare ad essere grati, per smettere di essere eternamente brontoloni, invidiosi, pretenziosi.
2. Relazione
Abbiamo detto che a tutti piace mangiare con altri. A volte capita di mangiare da soli.
Molte persone sono costrette a mangiare da sole: anziani soli, vedovi e vedove, single,
lavoratori sul posto di lavoro che mangiano da soli in un self service... Ma tutti amiamo
mangiare in compagnia. Perché sappiamo bene che l'altro è più importante del necessario cibo
che mangiamo. Lesperienza del mangiare ci fa scoprire una seconda caratteristica fondamentale
dell'essere uomini: la relazione. Il mondo moderno ci ha insegnato che ciascuno di noi è
pensabile in sé, a prescindere dalle proprie relazioni. Ma in realtà io, senza le relazioni,
neppure esisto: non sarei venuto al mondo e, soprattutto, dopo la nascita non sarei vissuto
se qualcuno non fosse entrato in relazione con me e mi avesse nutrito. Le relazioni non sono
un optional, ma sono essenziali. Non abbiamo solo fame di cibo, ma fame di relazioni.
In questa luce può diventare interessante lavorare per riuscire a vivere almeno un pasto
al giorno insieme, come famiglia. Scrive lo psicologo L. Ballerini: "Forse oggi più che mai
occorre che la tavola torni al centro delle nostre serate, costasse anche la piccola fatica
di modificare un po' l'organizzazione famigliare. La cena va considerata un appuntamento
da preparare con tutta la cura di cui si è capaci e a cui ci dispiaccia mancare, nel limite
del possibile". E nel suo libro racconta di una anziana signora sola, che preparava sempre
il tavolo con cura, pur essendo da sola. Dice: "Questa donna ha sempre mangiato da regina
pur nelle sue modeste condizioni, come una regina il cui re è temporaneamente fuori a caccia
o in battaglia per un lungo periodo, ma non è mai assente nei suoi pensieri. Una donna che
non ho mai sentito lamentarsi una sola volta di solitudine, perché, pur vivendo e mangiando
da sola, sola non è mai stata, perché non si è mai pensata tale". Bellissimo: è importante
che non giungiamo mai a pensarci "soli", ma sempre bisognosi dell'altro, aperti al suo arrivo,
disponibili all'incontro. E la tavola diventa il luogo migliore per celebrare tale incontro.
E ritrovare la propria identità. Siamo fatti di relazioni. Proviamo, almeno una volta al
giorno, a mangiare "per prenderci una pausa per noi e per gli altri". E, dunque, spegniamo
la televisione e il cellulare. Togliamo la connessione con il mondo per essere connessi con
noi stessi: presenti qui e adesso, disponibili a gustare, a parlare, ad ascoltare l'altro.
Papa Francesco ci dice: "E' sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da sé
stessi verso l'altro. Senza di essa non si riconoscono le altre creature nel loro valore
proprio, non interessa prendersi cura di qualcosa a vantaggio degli altri, manca la capacità
di porsi dei limiti per evitare la sofferenza o il degrado di ciò che ci circonda... Quando
siamo capaci di superare l'individualismo, si può effettivamente produrre uno stile di vita
alternativo e diventa possibile un cambiamento rilevante nella società" (LS 208).
Quando siamo seduti a tavola ricordiamoci che il primo ad avere voglia di entrare in relazione
con noi è il Signore. Egli ci dice: "Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia
voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me (Ap 3,20).
3. Appartenenza
Mangiare allo stesso tavolo ci aiuta a capire che apparteniamo a qualcuno, a qualcosa: una
famiglia, una parentela, un gruppo di amici, una paese, una parrocchia. Quel tavolo attorno
a cui mangiamo ci ricorda ogni volta i nostri legami di appartenenza. Oggi più che mai abbiamo
bisogno di avere "qualcosa di comune". Abbiamo bisogno di lavorare per ricreare qualcosa che
vada oltre il privato e il pubblico.
Abbiamo bisogno di comunità a cui appartenere.
I cristiani, per primi, devono essere costruttori di fraternità. "Trasformare le comunità da
costellazioni di singoli a spazi di fraternità vissuta è il primo compito di cui consiste il
lavoro pastorale" (G. Zanchi). E papa Francesco ci dice: "Ai cristiani di tutte le comunità
del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi
attraente e luminosa" (EG 99).
4. Condivisione
Mangiare significa condividere con i commensali ciò che ce sul tavolo. Ogni pasto è un esercizio
di condivisione. Per questo ogni pasto ci aiuta a sentirci grati di ciò che trovo sul tavolo e
capaci di condividerlo con il fratello che mangia con me. Ogni pasto è un "dono ricevuto e offerto".
A tavola imparo la dinamica del dono, che supera quello del calcolo e dello scambio. Al punto
che spesso invitiamo persone a magiare. Ospitalità significa offrire il meglio senza chiedere
nulla in cambio. Ospitare qualcuno a cena è un gesto di gratuità, di puro dono.
Ogni volta che ci sediamo a tavola dobbiamo ricordarci che è "Madre Terra che ci mitre". Pertanto
quel cibo ricevuto non devo mangiarlo come un "diritto", ma come un dono. E devo ricordarmi che,
in quanto dono, va condiviso con tutti i figli della terra, con tutti i figli del Padre. Mangiare
è sentirci responsabili degli altri, in particolare dei poveri. Mangiare significa sentirci
privilegiati. E, pertanto, disponibili a donare ai poveri. Papa Francesco ci dice: "E' uno
scandalo che ci sia ancora fame e malnutrizione nel mondo!... La sfida della fame e della
malnutrizione non ha solo una dimensione economica o scientifica, che riguarda gli aspetti
quantitativi e qualitativi della filiera alimentare, ma anche e soprattutto una dimensione
etica e antropologica. Educarci alla solidarietà significa allora educarci all'umanità: edificare
una società che sia veramente umana vuoi dire mettere al centro, sempre, la persona e la sua
dignità, e mai svenderla alla logica del profitto".
5. Desiderio
A tavola facciamo l'esperienza della fame e della sete. La tavola viene incontro alla nostra
fame e alla nostra sete. Per ricordarci che siamo esseri in attesa, sempre in cammino, sempre
bisognosi di sporgerci oltre noi stessi. La fame che ci abita non è solo fame di cibo, ma di
affetto, di significato, di compimento, di Dio. Perché il desiderio è un "promontorio verso
l'infinito". Essere uomini significa essere in ricerca. Essere affamati e assetati. "Il desiderio
ci strappa dai nostri saperi abitudinari, dalle nostre diagnosi e convinzioni consolidate,
dal patrimonio accumulato che ci ingombra, dalla tirannia dei nostri punti di vista assolutisti.
Non rafforza la chiusura sul proprio io, ma lo trascende e ridimensiona, ponendoci di fronte
all'Altro e alla sua Alterità. L'io del desiderio cede spazio all'Altro, ovvero confida, deposita
la fede nell'Altro, si mette nella sua orbita, cerca la sua luce. Il desiderio è la bussola:
ci orienta verso Dio" (J. Tolentino Mendonca)
6. Gusto
Non basta mangiare. Bisogna anche gustare. Perché il creatore non ci ha dato solo i denti, ma
anche le papille gustative. Gustare con attenzione ci aiuta ad accorgerci della bontà del cibo
e ci fa sentire "accarezzati dai sapori". La terra non ci da soltanto qualcosa, ma ci accarezza
con la piacevolezza di infiniti sapori. Gustare significa accogliere tutto questo "in punta di
piedi" non come voraci consumatori. Gustare permette di soffermarci sulla bontà del cibo e ci
porta a dire: "Che buono!" Tale sensazione è il nostro modo più immediato di toccare la "bontà
della vita". Anzi, la bontà di Dio. Troppe volte ci soffermiamo a chiederci "Perché il male?".
Dovremmo imparare a fermarci più spesso a chiederci: "Perché il bene". Lo so, il male ci ferisce,
ci schiaccia, ci spaventa. E ci interroga, perché mette alla prova la nostra fiducia nella vita,
la nostra fiducia in un Padre Buono. Proprio per questo dobbiamo allenare gli occhi alla bellezza,
il palato ai sapori, il naso ai profumi. In una parola: dobbiamo diventare cercatori di bellezza,
acuti scopritori di cose buone. Per poter toccare con mano aspetti belli e buoni della vita e
rafforzare la nostra fiducia nella vita e nel Padre Buono. Un consiglio che do spesso è questo:
prima di andare a dormire fermati un attimo e cerca, nella tua giornata, tre cose belle. Non c'è
giornata, neppure la più nera, che non abbia almeno tre cose belle: il sole che è sorto anche
oggi, il Monviso che ti ha sorriso mentre andavi al lavoro, il piatto di spaghetti che hai mangiato,
il sorriso di un amico, lo sguardo di tuo figlio, un buon bicchier di vino, un prato fiorito,
l'affetto di una persona cara, l'aiuto inaspettato di un collega... Quante cose belle, quanti
gesti di bontà, quante cose gustose! Prima di addormentarti ricordane almeno tre. Imparerai,
di giorno in giorno, a gustare maggiormente la tua vita. Scoprirai l'esistenza della bellezza.
Sentirai il senso del tuo faticare su questa terra. Imparerai a sentire la presenza del Padre Buono.
7. Festa
Una giornalista africana, alcuni anni fa, venne a fare un lungo viaggio in Europa, per un servizio
per il suo giornale. Al termine le chiesero: "Che cosa l'ha colpita maggiormente di questo paese?".
Rispose: "Avete cibo troppo abbondante e feste troppo misere". Fantastico. Abbiamo feste troppo
misere! Verissimo. La domenica non è più una festa, ma un "giorno libero". La domenica è "tempo
libero", cioè tempo libero dal lavoro. Un tempo esisteva il tempo feriale e il tempo festivo.
Oggi esiste il tempo lavorativo e il tempo nonlavorativo. Dunque il temponon lavorativo è
innanzitutto un "tempo vuoto", da riempire. Stiamo perdendo l'idea della festa come tempo "pieno",
cioè come giorno pieno di significato. La festa era nata per spezzare il ritmo del tempo lavorativo
e donargli un senso. La festa, con i suoi riti e i suoi racconti colorava di significato la monotonia
e la fatica dei giorni. E li metteva in collegamento con i miti, i grandi racconti, i divini.
Per noi cristiani la domenica ci immergeva nel Mistero di Morte e Risurrezione di Cristo e ci
allenava a fermarci per guardare il mondo e dire: "Che bello!", come fece il Creatore nel settimo
giorno. E ritrovare il senso del fluire dei giorni. E le grandi Feste (Natale, Pasqua, i Santi)
erano "tempo pieno": piene del Mistero che ogni anno ci veniva incontro per colorare le nostre giornate.
Oggi le Feste si stanno "svuotando", diventano "scatole vuote, da riempire". In questo anno
dedicato al mangiare possiamo rinterrogarci sul nostro modo di vivere la domenica e le Feste.
Mangiare è un modo per festeggiare. Pensiamo ai pranzi in occasione del Natale, ai pranzi della
domenica, ai pranzi per la Festa Patronale, ai pranzi di compleanno. Sono una bella occasione
per verificare quanto le "feste" ancora offrano significato oppure quanto siano vuote scatole da riempire.
Mangiare insieme è fonte di festa e di gioia. La bontà del cibo e la condivisione con i fratelli
riempie e rigenera. E dona gioia. Ne abbiamo tremendamente bisogno. Siamo una società triste.
Agitata e triste. Addirittura arrabbiata. Papa Francesco ci invita sovente ad essere gioiosi.
Nel documento sulla santità ci invita addirittura all'umorismo. Dice: "IL santo è capace di vivere
con gioia e senso dell'umorismo. Senza perdere il realismo, illumina gli altri con uno spirito
positivo e ricco di speranza" (GÈ 122) "Ordinariamente la gioia cristiana è accompagnata dal
senso dell'umorismo... E' così tanto quello che riceviamo dal Signore 'perché possiamo goderne
(1 Tm 6,17), che a volte la tristezza è legata all'ingratitudine, con lo stare talmente chiusi
in sé stessi da diventare incapaci di riconoscere i doni di Dio" (GÈ 126).
8. Cucinare
Per mangiare occorre cucinare. Diceva P. Gauguin: "Cucinare suppone una testa leggera, uno
spirito generoso e un cuore largo". Bellissima definizione: per cucinare è necessario avere
la testa leggera, capace di concentrarsi sul lavoro, per non "rovinare gli alimenti", per non
"sprecare", per non "buttar là" un piatto raffazzonato, senza sapore, addirittura cattivo o
indigesto. Ci vuole uno spirito generoso, cioè la capacità di essere un briciolo "abbondanti".
Non bisogna misurare la preparazione del cibo sulla propria fame, ma sulla fame degli altri.
Cucinare significa prendere in seria considerazione la fame altrui, per imparare a prendere in
seria considerazione il desiderio altrui. Infine ci vuole una cuore largo, perché spesso non si
cucina solo per se stessi, ma anche per altri. So quante volte le mamme dicono: "E' pesante ogni
giorno cucinare per tutti". Ecco: cucinare per altri è un grande atto d'amore. Offro cibo che
fa vivere, perché l'amore è proprio la capacità di donarsi per generare vita nell'altro. Il tema
del cibo può diventare una bella occasione per dare senso al tempo che passiamo a cucinare.
Cucinare per altri è una delle metafore più belle dell'amore: significa prendersi cura, prendere
in seria considerazione le attese dell'altro, offrire il meglio per farlo vivere.
Nel vangelo troviamo una parabola che ci descrive Dio come uno che ha preparato per noi un
banchetto. E ci invita tutti. Come sarebbe bello sentirci "invitati" in questo mondo. Con la
certezza che Dio prepara per noi un ottimo banchetto. Ogni giorno Egli è all'opera per invitarci
alla nuova giornata, prendendosi amorevolmente cura di noi.
9. Consumo
Spesso, troppo spesso, ci sediamo a tavola senza ringraziare, senza accorgerci di chi ci sta accanto,
senza sentirci parte di una intera umanità. Ci sediamo in modo meccanico e prepotente, quasi per
dire: "Voglio riempirmi la pancia". Dimentichiamo che la tavola è il luogo dove riprendo in mano
la vita, con la sua fame e la sua sete profonda di senso, di bellezza, di affetto, di giustizia.
Non mi alzerò "sazio" se avrò voluto soltanto riempirmi la pancia. Perché la nostra fame e la nostra
sete è più grande del cibo. "Non di solo pane vive l'uomo". Egli vive di relazioni, di sogni, di
ideali, di condivisione, di fede. Ecco: non solo di pane, ma soprattutto di fiducia. Fiducia nella
bontà della vita, nella importanza degli altri, della necessità di giustizia, dell'affidabilità di
Dio. A meno di tanto, l'uomo si riduce ad un pozzo senza fondo e la sua vita diventa un famelico
e disperato tentativo di riempirsi, senza rispetto per la terra, senza rispetto per gli altri.
Divorare, consumare, possedere, usare, buttare. Senza apprezzare, senza incontrare. Concentrati
sugli oggetti eletti a "divinità salvifiche". Concentrati sugli oggetti, che non bastano mai a
"riempire". Perché presi dall'illusione che "gli oggetti potrebbero riempirci, salvarci". E, pertanto,
ossessivamente alla ricerca di un nuovo oggetto. Da consumare, nella disperata speranza che sia
quello giusto, quello che ci "salva". Ecco il meccanismo perverso del consumismo. Come dice M.
Recalcati: "Il discorso del capitalista ha sfruttato in modo astuto il desiderio come desiderio
di niente. Una signora osserva smaniosa ed eccitata un abito luccicante esposto in vetrina. Una
volta acquistato e indossato questo abito non pare però più lo stesso, ha perso la sua attrattiva,
sembra irriconoscibile. Il possesso dell'oggetto bramato sembra implicare necessariamente uno
scadimento, un deprezzamento, una svalorizzazione dello stesso oggetto, che/intanto che restava
irraggiungibile appariva splendente. Non è mai come sembrava, non è mai come prometteva di essere...
Il discorso del capitalista fa finta di voler guarire la mancanza che affligge l'umano solo per
sfruttare il più possibile l'esistenza di questa mancanza".
A tavola sentiamo una mancanza, una fame. Educhiamoci a non credere che il cibo o altri oggetti
sazieranno tale fame. E' più profonda. E' fame di senso, e fame dell'altro, e fame dell'Alto.
Dice Papa Francesco: "II consumismo edonista può giocarci un brutto tiro, perché nell'ossessione
di divertirsi finiamo con l'essere eccessivamente concentrati su noi stessi, sui nostri diritti
e nell'esasperazione di avere tempo per godersi la vita. Sarà difficile che ci impegniamo e
dedichiamo energie a dare una mano a chi sta male se non coltiviamo una certa austerità, se non
lottiamo contro questa febbre che ci impone la società dei consumi venderci cose, e che alla fine
ci trasforma in poveri insoddisfatti che vogliono avere tutto e provare tutto. Anche il consumo
di informazione superficiale e le forme di comunicazione rapida e virtuale possono essere un
fattore di stordimento che si porta via tutto il nostro tempo e ci allontana dalla carne sofferente
dei fratelli. In mezzo a questa voragine attuale, il Vangelo risuona nuovamente per offrirci una
vita diversa, più sana e felice" (GÈ 108).
E tempo di tornare all'essenziale. O meglio, è tempo di tornare a trovare il gusto delle cose
davvero necessarie. Facciamo nostra l'acuta osservazione di P.P Pasolini: "Gli uomini del mondo
contadino non vivevano un'età dell'oro... vivevano ... l'età del pane. Erano cioè consumatori di
beni estremamente necessari. Ed era questo, forse, che rendeva estremamente necessaria la loro
povera e precaria vita. Mentre è chiaro che i beni superflui rendono superflua la vita".
10. Ecologia
Mangiare ci collega alla terra. Mentre siamo a tavola, siamo ospiti di "Madre Terra". Lei ci
invita ogni giorno alla sua mensa, ci regala cibo per vivere. Per questo dobbiamo imparare a
"stare a tavola" come invitati riconoscenti e non come pretenziosi consumatori. La tavola ci
deve allenare alla riconoscenza verso il creato. Che è di tutti. Che ci precede. Che appartiene
anche alle future generazioni. Si tratta di imparare un nuovo stile di stare al mondo, si tratta
di "passare dal consumo al sacrificio, dall'avidità alla generosità, dallo spreco alla capacità
di condividere, in uriascesi che significa imparare a dare, e non semplicemente a rinunciare" (LS 9).
Per questo aspetto invito tutti a leggere l'enciclica di Papa Francesco Laudato Si', dedicata
proprio alla cura della casa comune.
Mi piacerebbe creare riti che ci aiutino a stare vicini alla terra, a migliorare la nostra
attenzione nei suoi confronti; per esempio riti che salutano il cambio di stagione, o riti di
ringraziamento per i frutti della terra. Per questo motivo può diventare importante un momento
di silenzio prima del pasto.
La terra è opera del Creatore. In lei vediamo le mani di Dio all'opera.
11. Culture
Ogni cultura ha i suoi piatti tipici. Ogni cultura ha il suo modo di cucinare e di mangiare.
Per questo motivo mangiare insieme diventa un momento fondamentale per condividere culture diverse,
per "scambiarci la vita". Invitare di tanto in tanto persone di cultura diversa dalla nostra
a mangiare diventa uno dei modi privilegiati per creare un serio cammino di inclusione. Come
comunità creare pranzi comuni tra diversi popoli avvia un serio processo di conoscenza, rispetto,
stima, fratellanza.
La mensa eucaristica è sempre una mensa che ci allena all'universalità. Lì impariamo ad essere
fratelli. Convinti che, "non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più
uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù" (Gai 3,28). "Egli infatti è la nostra
pace, colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione che li divideva,
cioè l'inimicizia" (Ef 2,14)
12. Perdono
La tavola è un invito al perdono. Capita in tutte le famiglie di litigare, capita in tutte le
comunità. Mangiare insieme dopo un litigio è una tremenda sofferenza. La sedia sembra fatta di
brace ardente. In quelle situazioni ci accorgiamo che c'è una profonda distanza tra ciò che faccio
e ciò che sento: condivido con te il necessario per vivere e nello stesso tempo ti odio. Sono due
cose incompatibili. Per questo fatico a stare a tavola con te. Ma mi fa bene. Perché quel cibo
condiviso mi urla di "riconciliarmi". Lasciamo che la tavola continui a proporci inviti di riconciliazione!
13. Educazione
La tavola è un ottimo luogo educativo. Si impara a stare al mondo. Lì il bimbo impara la gratitudine,
la condivisione, la relazione. Mangiare insieme, lasciare spazio all'altro, ascoltare, raccontare,
festeggiare. Un pedagogista diceva: "Ai figli le cose importanti ditele pelando le patate". Egli
intendeva questo: quando devi "passare" a tuo figlio un messaggio importante, non dirlo direttamente,
quasi come predica. Dillo in modo indiretto, mentre fai altro, mentre peli le patate. Molto
interessante! A tavola il bambino "succhia" ciò che vede. E allora diventa importante che papa
e mamma vivano bene questo momento: il figlio assorbirà il clima, le parole condivise, gli
atteggiamenti. In questo anno sarebbe bello tenere il quadro di Caravaggio esposto in cucina e
parlarne di tanto in tanto. Il bimbo imparerà lo stupore e, soprattutto, il senso della Presenza
del Risorto a mensa con noi. Oppure fare un momento di silenzio e di preghiera prima della cena,
magari letta dal bimbo.
14. Benedizione
Mangiare è accorgersi che qualcosa "ci arriva dall'esterno" e ci fa vivere. A tavola intuiamo che
ce un'origine per noi, un'origine che sta fuori di noi. Mangiare è sentire la nostalgia delle grandi
domande: da dove veniamo? Dove andiamo? Mangiare è sentirci dentro un'origine che ci supera e ci fa
vivere. Per questo mangiare è un atto sacro. Non è solo un automatismo per funzionare, ma un incontro
con un dono che ci arriva da lontano. Mangiare è toccare un frammento dell'origine della vita. Farne
parte. Sentirci accarezzati. Sentirci figli. Andare oltre l'apparenza per intuire il Mistero. E
coglierne la faccia buona, capace di farci vivere. La faccia benedicente. Per questo nei secoli
abbiamo abbinato il pasto alla preghiera. Per avere la capacità di aprire gli occhi e vedere il
Mistero. Per avere la capacità di fermare il tempo e lasciare entrare l'Eterno nel tempo. Per
sentirci Benedetti, accuditi, amati dal Padre.
Il pasto potrebbe diventare un vero momento simbolico. Simbolo è qualcosa in grado di "mettere
insieme" il visibile e il nascosto, il visibile e l'invisibile che lo abita. Sarebbe bello vivere
ogni pasto come momento simbolico, porta attraverso la quale con il cibo arriva a noi il Mistero
della vita, il Creatore. Qualcuno ci dona la vita, Qualcuno si dona a me. Sono dentro un Amore.
Questa è la vera Benedizione.
In questa luce sarà importante creare "nuovi riti di benedizione". Proprio per riscoprire il
valore umano universale della benedizione. Cominciando dalla benedizione dei papa (festa di
san Giuseppe), delle mamme (festa della Mamma), degli innamorati (14 febbraio)... Per una
società che vive sempre più sulla "soglia" della Chiesa, senza entrarci, la benedizione potrebbe
diventare un "rito della soglia": segno di un'apertura alla trascendenza, segno di una nostalgia
del mistero, segno della "faccia buona" di Dio. "Al momento noi abbiamo o sacramenti o nulla.
Abbiamo la parrocchia o nulla. Abbiamo l'eucarestia o nulla... Pertanto abbiamo solo forme
troppo solenni e troppo esigenti, e questo in una società che è molto lontana dal cristianesimo...
La benedizione è il segno di speranza che qualcosa possa nascere" (E. Salmann).
15. Eucarestia
In questo percorso ci siamo accorti di quanto sia ricco il momento della tavola. Anzi, cammin
facendo ci siamo accorti che la tavola vive delle stesse dinamiche dell'Eucarestia: ringraziare,
perdonare, condividere... Anzi: la tavola ci ha mostrato un dono che ci fa vivere. La tavola ci
apre all'Eucarestia e l'Eucarestia fa luce sulla tavola. Andiamo a Messa per scoprire la verità
intravista a tavola e torniamo a casa per essere capaci di stare da umani a tavola, capaci di
fiducia, gratitudine, dono di sé. Come dice molto bene P.A. Sequeri: "Il sacramento è per la
vita, non viceversa. Nella sua radice, è anzitutto il segno evidente di una benedizione che ci
raggiunge e ci diventa accessibile. Non è un'opera buona che dobbiamo fare 'per Dio' affinchè
'ci voglia bene'. Celebrato nella fede, il rito sacramentale iscrive la nostra esistenza nella
forma della testimonianza di una benedizione che avvolge di impensata tenerezza l'esistenza di
ogni uomo e di ogni donna che vengono in questo mondo".
Questo cammino sul mangiare potrà essere per i credenti una buona opportunità per riscoprire
la bellezza della Messa e la sua portata vitale. Sarà anche, per tutte le comunità, un impegno
a celebrare con passione e cura.
UN SOGNO
Carissimi amici,
siamo giunti al termine di questa lunga lettera.
Mi resta da confidarvi un sogno.
Sogno che nel prossimo anno inizi un piccolo cammino, dove in tanti possiamo ritrovarci a
"vivere" questi aspetti legati al mangiare.
Sogno marito e moglie che si confrontano sul loro modo di stare a tavola.
Sogno famiglie che mettono in casa il quadro di Caravaggio e, di tanto in tanto, si
ricordano di interrogarsi sul loro modo di vivere la tavola.
Sogno momenti in cui ti trovi con amici e parenti e ti metti a parlare di questi temi.
Sogno persone che ne parlano al bar, mentre prendono un caffè.
Sogno genitori che prendono a cuore la forza educativa della tavola.
Sogno mamme e papa che trovano un nuovo senso al loro cucinare per i figli.
Sogno gruppi che mettono a tema dei loro incontri questi discorsi.
Sogno pro-loco che "inventano" iniziative sul mangiare.
Sogno comunità parrocchiali che inventano cammini sul mangiare, con i ragazzi,
con i giovani, con gli adulti.
Sogno persone che regalano questa lettera ad amici per stimolare questo cammino.
Sogno luoghi di ristorazione che creano iniziative di riflessione sul mangiare e il cucinare.
Sogno persone che si raccontano vicendevolmente piccole esperienze fatte in casa o come gruppi.
Per creare un "circolo virtuoso".
Sogno che il prossimo anno la mia lettera sia fatta da voi:
con le vostre riflessioni, le nostre esperienze, i vostri progetti, le vostre domande.
In una parola sogno "piccole cose", ma fatte insieme.
Potrebbe generare un vero processo.
Ciò che serve oggi non sono grandi eventi, ma piccoli passi sugli aspetti fondamentali
dell'esistenza: mangiare, amare, soffrire, morire, lavorare. La nuova civiltà nasce dal
basso, ricostruendo gli spetti basilari, fondamentali.
Le fondamenta. E tutto ciò va fatto dal basso, insieme. Non si tratta di fare grandi eventi,
ma di ricostruire la "grammatica fondamentale del vivere". Giorno dopo giorno. Creando mentalità. Con pazienza e passione.
Ci stai? Buon cammino. Di vero cuore.
Pinerolo, 11 luglio 2018
San Benedetto da Norcia
Vescovo di Pinerolo        
CAMMINO PASTORALE 2018-2019
1. SIMBOLI COMUNI: UNA PAGNOTTA E UN QUADRO.
I simboli aiutano a ricordare, stimolano a pensare e, soprattutto, aiutano a sentirci in cammino
con altri. Per questo invito ad avere in casa due simboli: una pagnotta di pane e il quadro di
Caravaggio "Cena di Emmaus" (1602). La pagnotta di pane, possibilmente benedetta, può essere messa
in un piccolo cestino o su un vassoio, magari a volte con piccoli fiori attorno, oppure con qualche
altro abbellimento. La riproduzione del quadro di Caravaggio va sistemata in un luogo visibile.
Di tanto in tanto si potrà andare a riprendere la spiegazione di questi simboli nella lettera
pastorale. Qualche volta si potrà fare la preghiera prima del pasto mettendo sul tavolo uno di
questi simboli. Si potranno "spiegare" agli ospiti che passano nelle vostre case. Per chi ha
bambini si potrà fare, di tanto in tanto, la preghiera della sera davanti a questo quadro...
Inoltre sarebbe importante avere questi simboli nelle nostre chiese. Serviranno per richiamare,
di tanto in tanto, il comune cammino. Diventeranno importanti in alcuni momenti liturgici: Natale
(Betlemme come "casa del pane"), Pasqua e Tempo Pasquale (La presenza del Risorto), Messa in
"Coena Domini"... Aiuteranno a spiegare alcuni momenti particolari della Messa: "Prendete e mangiate";
La comunione allo stesso Pane; la Benedizione.
Sarebbe bello avere una riproduzione del quadro anche nei locali parrocchiali.
Ricordiamoci che il simbolo parla in modo diverso a seconda del variare delle nostre situazioni
di vita. Nei vari momenti (felici o tristi) e nei vari eventi della vita (nascita, morte,
matrimonio...) quei simboli ci accompagneranno e ci parleranno.
2. FANTASIA CREATIVA: PER CREARE UN PROCESSO
II cammino pastorale per il prossimo anno è stato pensato a lungo con i vari Consigli. La decisione
di fondo è stata questa: non caricare ulteriormente la pastorale ordinaria di eventi e impegni, ma
invitare ogni realtà alla fantasia cre-ativa comune. Alla luce della Lettera Pastorale ogni realtà
(parrocchie, gruppi, associazioni...) è invitata a "creare qualcosa", a fare un progetto. Non si
tratta di imporre, ma di "stuzzicare" la fantasia, nel rispetto delle diversità. La nostra pastorale
ha bisogno di fantasia, di creatività. Non si tratta di "eseguire" comandi che arrivano dall'altro,
ma di trovarsi insieme e provare a "sognare". Desidero chiedere a tutti di provare a "progettare
insieme": in famiglia, in parrocchia, nel gruppo di catechismo, tra giovani... In questo modo potremo
trovarci a fine anno pastorale per "raccontarci" gli uni gli altri le esperienze fatte, i progetti
realizzati. Credo sia importante, in pastorale, raccontarci i cammini, i progetti. Con l'intento di
rilanciare, a partire da tali racconti, il cammino dell'anno successivo. In questo modo si costruirà
insieme l'anno successivo, scambiandoci esperienze e riflessioni. Il secondo anno diventerà un anno
di approfondimento e di arricchimento reciproco, raccogliendo le esperienze fatte e rilanciando alcune
proposte comuni. Sarà importante in questo cammino, individuare qualcosa che possa durare nel tempo,
come buona pratica, come "buona abitudine": preghiera prima dei pasti, cura delle feste di famiglia,
cura di un aspetto particolare della Messa, cura di una particolare Festa Liturgica, pasti comuni in
parrocchia, aperitivi dopo alcune messe particolari, gesti di condivisione con i poveri.... Quello
che desidero è un cammino "dal basso". Ogni persona, ogni gruppo, partendo dalla concretezza della
propria vita prova a fare un cammino, anche molto semplice. Con l'intento di incidere sulla vita
ordinaria. Nella diversità saremo tenuti insieme dalla volontà di dare concretezza alla lettera
pastorale. E ci sosterrà la necessità, sempre più impellente, di "ridare spiritualità" alla vita
concreta. Con la voglia di creare una società "generativa", cioè capace di generare vita, futuro,
dell'immaginazione. Iniziamo un cammino sul tema del mangiare, ma tale cammino sarà soprattutto
orientato a sviluppare la capacità di immaginazione e la cura della spiritualità. Mi auguro che in
questo modo si ritrovi la gioiosa vitalità della fede cristiana.
Un invito a tutti
L'invito è innanzitutto per le parrocchie e per i vari gruppi ecclesiali. Ma anche per ogni singola
persona che desidera percorrere un pezzo di strada con noi, con gruppi o associazioni di varia natura,
con le pròloco, con le scuole... Credo sia sempre più necessario lavorare in rete. E la Chiesa
deve diventare la prima a muoversi in tale direzione. Cercando di creare relazioni e di "ritessere
il tessuto sociale".
Di seguito elenco alcune "provocazioni", alcune sollecitazioni per iniziare a stimolare la voglia
di immaginare cammini possibili.
• Per ogni singola persona
Un attimo di silenzio prima del pasto; lavorare per migliorare la propria capacità di gratitudine;
impegnarsi a trovare "tre grazie" ogni sera prima di andare a dormire, tre aspetti della giornata
per cui dire grazie; creare qualche stimolo che aiuti a migliorare il proprio stile di vita rispetto
al mangiare: sobrietà, condivisione, rispetto del creato, giustizia...; curare la propria capacità
di ospitalità; curare il proprio modo di vivere le Feste; tavola e Messa: fare un cammino per riscoprire la Messa.
• Per i genitori e i nonni
Curare la capacità come coppia di vivere la tavola (dialogo, ascolto, gestione dei litigi, appartenenza,
condivisione, perdono). Tavola e condivisione di vita: raccontarsi, capacità di servizio reciproco,
cucinare per l'altro. Un momento di silenzio insieme prima di mangiare. Tavola ed educazione dei
figli (gratitudine, rispetto, ascolto, non sprecare, condividere, silenzio prima del pasto).
Tavola e parola: gestione della tv, del cellulare. Cura della Feste: le grandi feste, le feste di famiglia, la domenica.
• Per le Parrocchie
Ogni parrocchia è invitata a stimolare le varie realtà parrocchiali a progettare qualcosa.
Ad iniziare dai cammini del catechismo (iniziative con i ragazzi e con i genitori) per passare ad
iniziative con gli operatori pastorali, con gli anziani, con la Caritas, con i giovani. Sarebbe
interessante curare la Messa, cioè il modo di stare alla Mensa comune: curare in particolare i
riti di accoglienza (accoglienza alla porta?), l'ascolto della Parola e dell'Omelia (preparare
le omelie in gruppo?), il momento della comunione (qualche volta invitare tutti alla processione
di Comunione, dando la Benedizione a chi non riceve la Comunione), curare i riti di congedo
(attenzione al saluto, creare di tanto in tanto momenti di ritrovo dopo la messa, aperitivi...).
Pensare a momenti per "iniziare ai riti": iniziare al silenzio, iniziare al ringraziamento, iniziare
alla richiesta di perdono, iniziare all'ascolto. Sollecitare l'iniziativa: "Invito ad un caffè":
cioè invitare a casa per un caffè persone che non sono della nostra solita cerchia di amici o parenti,
ma che ci troviamo abitualmente a frequentare (colleghi, genitori degli amici dei figli...) per creare
relazioni, per raccontare e condividere il cammino sul mangiare. Curare le feste patronali come occasione
di comune appartenenza; curare la festa dell'anniversario di matrimonio, i compleanni, gli onomastici...
• Uffici diocesani
Stimolare i progetti nelle varie realtà della Diocesi, coordinare i cammini, creare qualche
iniziativa diocesana, offrire sussidi che accompagnino il lavoro sul tema della lettera. Nella
formazione degli operatori tener presente il tema.
• Giornali locali
I nostri giornali locali (Vita Diocesana ed Eco) sono strumenti importantissimi per il territorio.
Con modalità diverse sono "costruttori di comunità", costruttori di cultura, creatori di legami
e suscitatori di appartenenza. Nel corso dell'anno potranno essere stimolatori di riflessioni
sul tema della lettera pastorale. E, soprattutto, potranno mettere in circolo i progetti più significativi.
• Ecumenismo e altre religioni
Iniziative di riflessione sul cibo, sulle feste e sui riti nelle diverse confessioni e religioni.
Cibo e digiuno; cibo e festa.
• Associazioni-movimenti-gruppi ecclesiali
Progetti relativi al proprio carisma (riflessioni, preghiere, celebrazioni, azioni sociali...)
a partire dalla lettera pastorale. Iniziative straordinarie: una messa tutti insieme per migliorare
le relazioni tra gruppi; un evento organizzato da più gruppi insieme...
• Scuole
Le scuole pubbliche: scuola di religione, progetti sul cibo; progetti sugli stili di vita,
l'ecologia, il rispetto del creato.
Le scuole private cattoliche: progetti comuni a partire dalla lettera pastorale, progetti
di approfondimento a partire dalla letteratura, la filosofia, l'arte. Gli istituti alberghieri
e agrari: potrà essere interessante, a livello cittadino e diocesano, collaborare con questi
istituti con particolari progetti sul cibo: la produzione del cibo, la trasformazione,
la cucina, la ristorazione...
• Associazioni laiche
Le associazioni culturali possono organizzare conferenze, film, laboratori, feste sul tema.
Le associazioni sportive possono lavorare su sport e alimentazione, sport e aggregazione,
sport e educazione. Possono organizzare iniziative a scopo benefico per aiutare le povertà
locali o mondiali (persone che non hanno cibo o faticano ad avere acqua).
Le associazioni di assistenza possono organizzare iniziative per sensibilizzare la popolazione
verso le povertà e le emarginazioni, per stimolare la capacità di condivisione, inclusione, relazione.
• Case di riposo
Riflessioni sul cibo, cura del "magiare insieme", formazione del personale sul tema "cibo e spiritualità",
"cibo e capacità relazionale", "cibo e solitudine". Feste aperte al territorio. Cura della Feste tradizionali.
• Pro loco
Creare momenti per aiutare i soci e i volontari a riflettere sul "mangiare insieme" e sul
significato umano delle feste.
• Altri popoli e culture
Festa dei popoli; Messa dei popoli; condivisione di ricette; Inviti alle reciproche feste.
Iniziative che aiutino a conoscere il modo di cucinare e di festeggiare nelle varie culture.
• Riti del creato
Creare celebrazioni nel cambio di stagione (rito di primavera, di autunno...)
3. FORMAZIONE
• Corso comune
In collaborazione con la "scuola di teologia per laici" abbiamo preparato "cinque serate" sul
tema: "II cibo, la tavola, il rito", tenuti dal Prof. Andrà Grillo e dal Prof. don Marco Gallo,
in autunno, aperti a tutti. Sarà una bella occasione per formarci assieme ed essere stimolati a
trovare idee per creare progetti.
• Formazione dei sacerdoti
Una parte degli incontri zonali sarà dedicata alla lettura di testi relativi al tema. Inoltre
il corso comune è indirizzato anche ai sacerdoti. Sara bello fare un pezzo di formazione insieme:
laici, religiosi e presbiteri.
• Fede con arte
Una parte degli incontri di "Fede con arte" sarà dedicato al tema del mangiare.
4. DIECI PROGETTI SOSTENUTI DALLA DIOCESI
Per sostenere e stimolare la creazione di progetti relativi alla lettera pastorale la Diocesi
mette a disposizione Euro 20.000,00 con l'intento di premiare dieci progetti con Euro 2.000,00 ciascuno.
La Diocesi intende sostenere progetti particolarmente significativi e che hanno bisogno di un
aiuto economico per la realizzazione: incontri di formazione, laboratori, musical, eventi,
viaggi di formazione, attività con le varie fasce di età (ragazzi, giovani, adulti, terza età),
feste, riti. Tali progetti dovranno essere presentati entro il 31 dicembre 2018 e dovranno
essere attuati, almeno per buona parte, entro il 31 maggio 2019.
5. VERSO L'ASSEMBLEA DEI "RACCONTI"
Al termine dell'anno pastorale faremo un'assemblea dove si potranno raccontare alcuni progetti
portati avanti come parrocchia, come famiglia, come gruppo. Sarà una bella occasione per
arricchirci vicendevolmente e per "creare insieme" il cammino pastorale dell'anno successivo.
6. ALCUNE PRIORITÀ
Accanto al cammino diocesano sulla lettera pastorale, terremo presenti, in modo particolare,
tre aspetti: un cammino per coppie in "nuova unione"; una riflessione per la riorganizzazione
della Diocesi; la creazione di un progetto per i giovani.
* Coppie in nuova unione
Alla luce dell'esortazione apostolica di Papa Francesco "Amoris Laetitia" e della Nota
Pastorale dei Vescovi della CEP "Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito", in autunno
partiamo in Diocesi con una proposta per le coppie "in nuova unione", per accogliere, discernere,
integrare. Un sacerdote e alcune coppie guideranno questo progetto, alla luce di un documento
che offrirà le linee guida del cammino.
* Cammino di riorganizzazione della Diocesi
Con i sacerdoti e il Consiglio Pastorale Diocesano abbiamo iniziano a lavorare su una bozza
di cammino relativo alla riorganizzazione della Diocesi, in vista del futuro della nostra Chiesa.
L'impegno che ci siamo presi è quello di giungere ad un progetto definitivo entro settembre 2019.
L'anno pastorale in corso è dedicato al confronto con le comunità e con i Consigli
Parrocchiali e Diocesani.
* Giovani
Nell'autunno 2018 si celebra il Sinodo dei Giovani. Tale evento ci invita seriamente a pensare
e ripensare alla nostra pastorale giovanile, come Diocesi, come parrocchie, come gruppi-movimenti-associazioni.
A partire dalle indicazioni sinodali ci impegniamo ad avviare un cammino per elaborare un progetto con i
giovani. Chiedo a tutte le comunità, a tutti i preti, ai vari operatori, ai vari gruppi di dedicare
del tempo per riflettere sulla questione giovanile.
Per concludere
"Pastore" significa "colui che da il pasto", colui che nutre. Iniziando un anno pastorale
dedicato al tema del mangiare mi pare molto bello concludere con questa piccola annotazione: fare
pastorale significa "nutrire". Dunque sarà davvero importante chiederci: la nostra azione pastorale
nutre qualcuno? Le nostre Messe, le nostre prediche, le catechesi, gli incontri, le iniziative
pastorali, le attività dell'oratorio... nutrono qualcuno, offrono cibo nutriente, donano ristoro
per la vita? Chiediamocelo ogni volta che progettiamo una iniziativa futura e ogni volta che
verifichiamo un evento compiuto. Chiediamocelo ogni volta che verifichiamo il nostro stile pastorale.
Aiutiamoci, come comunità, a correggerci a vicenda per diventare capaci di fare azioni in grado di
nutrire, di dare cibo buono, che "riempie la vita" e riscalda i cuori. Troppo spesso rischiarne di
fare una pastorale "inodore" e "insapore" che spegne l'appetito. Molta gente non viene più da noi,
non frequenta più i nostri "giri" e le nostre celebrazioni. Perché? Forse perché gli uomini e le
donne di oggi sono "peggiori" dei nostri padri? Credo proprio di no. Mantengono le stesse domande,
la stessa fame e la stessa sete di un senso, di un "sapore" per la propria vita. Ma spesso nelle
nostre comunità non trovano "cibo", o trovano cibi insipidi e bevande scadenti. Agli operatori
pastorali, ai preti, ai diaconi, ai religiosi chiedo questo: "Aiutiamoci a preparare cibi appetitosi
e nutrienti!". Cuciniamo meglio le "portate" di sempre (Messe, catechesi, prediche, incontri di
formazione...) e proviamo anche qualche "piatto" nuovo. Non offriamo le stesse portate a tutti,
nel solito modo. Differenziamo. E, soprattutto, ricordiamoci che ogni uomo e ogni donna ama
mangiare con altri. Pertanto la prima cosa da fare è curare i legami. Una comunità ricca di
relazioni diventa una comunità "appetitosa". Pertanto dedichiamo tempo e strumenti alla relazione
fra i vari operatori pastorali (preti, catechisti, diaconi, animatori, responsabili dei fiori.. .).
Oltre alle riunioni organizzative facciamo qualche incontro per far crescere le relazioni: revisione
di vita, momenti di convivialità e di preghiera comune, lettura comune della Parola della Domenica.
Una comunità ricca di legami diventerà una comunità capace di ospitalità.
Ci guidi Gesù Cristo Buon Pastore, che offre la sua vita per nutrire le pecore. Ci guidi il Padre,
che come Padre Buono si cura quotidianamente di tutti i suoi figli e le sue figlie. Ci sorregga
lo Spirito Santo, Colui che lavora per togliere da noi il cuore di pietra e darci un cuore di
carne, un cuore capace di amare, di ospitare, di nutrire il fratello.