LETTERA ENCICLICA

AMANTISSIMI REDEMPTORIS

DEL SOMMO PONTEFICE
SUA SANTIT
À IL
BEATO PIO IX

(Lettera Enciclica)

INTRODUZIONE

L'enciclica di Pio IX è uno splendido esempio di dottrina, che nella sua brevità permette di cogliere insegnamenti lapidari e informazioni preziose, riguardo alla fede nell'eucaristia e riguardo al Sacerdozio Ministeriale.
 
Nell' Enciclica, datata 3 maggio 1858, il Pontefice esalta la missione e la centralità dei Sacerdoti rispetto all’assemblea, chiamati ad offrire, nell'incruento sacrificio della Messa, quella stessa Vittima che ha riconciliato l'umanità con Dio Padre. Raccomanda ai ministri della Chiesa di adempiere scrupolosamente al loro dovere, senza badare a sacrifici, per la salvezza delle anime loro affidate.
 
Nell’anno dedicato ai sacerdoti vogliamo proporre la riscoperta di un’enciclica solida e nello stesso sintetica circa il profondo valore della Santa Messa.
 
Con questa ampia introduzione vogliamo con profondo senso di responsabilità denunciare chi, in questi decenni, ancora continua a confondere e disorientare le anime verso quel cuore palpitante della nostra fede: la Santissima Eucaristia
 
La nostra missione è sempre stata a servizio della Liturgia, ora ci sentiamo di dover difendere questo tesoro.
 
Come umili e inappropriate sentinelle vedendo in questi anni tanta confusione perdurare, nonostante tanta chiarezza dogmatica e dottrinale, ci sentiamo, in questo anno dedicato ai sacerdoti, di rimettere in luce grazie a questa Enciclica così attuale, il senso della Messa e la missione del Sacerdote contro chi impunemente continua ad oscurare questo luminosissimo mistero diffondendo abbondanti errori e banali e banalizzanti personali interpretazioni, perché sappiamo bene che il monito del profeta Ezechiele vale tanto per loro quanto per noi.
 
 “Se tu, ammonirai il malvagio e questi non desisterà dalla sua scelleratezza e dalla sua prava condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu avrai salvato te stesso. ... Se non lo avrai ammonito, egli morirà per il suo peccato e non saranno ricordate le opere giuste che egli ha compiuto, ma io esigerò da te il suo sangue” Cfr. Ez 3, 19.21.
 
***
   
il Sacrificio di Gesù
 
Il titolo rimanda immediatamente a quello che è il senso centrale di tutta l'enciclica. L'amore di Cristo per la sua Chiesa è così grande, che egli ha voluto essere sempre presente, sempre operante in mezzo ad essa.
 
L'amore di colui che ha operato la redenzione dell'umanità, si manifesta all'umanità stessa tramite una assistenza continua, una presenza che dall'Ascensione non è venuta né verrà mai meno. Il mistero con cui è realizzata questa miracolosa presenza è la Chiesa stessa.
 
Infatti il Signore Gesù ha voluto istituire la Chiesa Cattolica come società in cui viene perpetuata la redenzione da lui operata, in cui viene insegnata la sua parola di verità, in cui viene rinnovato miracolosamente e misteriosamente l'unico Sacrificio del calvario, nel quale si è compiuta l'azione sacerdotale di Gesù, che non ha mai fine.

Gesù è l'unico mediatore tra il Padre e l'umanità, l'unico che possa salvare l'uomo dall'inferno. La Chiesa è l'istituzione da Lui voluta, per radunare e salvare tutti gli uomini che accolgono la Sua Salvezza e la Sua Grazia.


Nella Chiesa, la presenza di Cristo è manifestata principalmente attraverso i sacramenti. Tra tutti, in modo particolare il Beato Pio IX ci invita ad apprezzare (particolarmente) la Santissima Eucaristia e l'Ordine Sacro: il Sacerdozio Cattolico

Ogni sacramento fuoriesce dal costato di Cristo, trae origine dal Sacrificio, è finalizzato a rendere presente l'azione redentrice operata dal suo Preziosissimo Sangue.
 
Così il Sacerdozio è finalizzato alla celebrazione dell'Eucaristia, con cui si rende presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità, la Persona di Nostro Signore, Gesù Cristo.

E' importante riflettere come anche nel Sacerdozio vi sia una forma di presenza di Cristo. Infatti il Sacerdozio Ministeriale altro non è che il modo con cui il Capo della Chiesa, Cristo, celebra i Sacri Misteri, personalmente ed individualmente, ogni volta che un Ministro, ossia un uomo chiamato a prestare le proprie membra all'azione divina del Capo, celebra un Sacramento, è Cristo stesso, presente ed operante, che celebra.

Come si è detto, la principale funzione per cui Cristo ha stabilito che fosse esercitato il Sacerdozio Ministeriale nella sua Chiesa, è la celebrazione del Sacrificio. Tale Sacrificio è il medesimo di Melchisedek, re di Salem (Gerusalemme).
  
La necessità del Sacrificio di Gesù
 
Il Papa ci ricorda dunque come il Sacrificio compiuto da Cristo come sommo Sacerdote, offrendo se stesso, è un Sacrificio gradito a Dio, avente il potere di placarlo, di impetrarne le grazie e di soddisfarlo.
 
Proprio così.
 
Può sembrare paradossale ai nostri tempi, parlare di Sacrificio in questi termini. Pensare che il Padre debba essere placato “tramite il Sangue del Figlio”, potrebbe ripugnare ad alcune persone.
 
Ricordando Melchisedek, il Papa ci ricorda come il Salmo 109 si riferisca a Cristo: Melchisedek è il Sacerdote del Dio Altissimo che celebra il Sacrificio puro, gradito a Dio.
 
Cristo, Sacerdote come Melchisedek, celebra un Sacrificio totale, puro, immacolato, gradito a Dio, di portata e perfezione tali da rendere superflui e superati (quindi non necessari) tutti gli altri sacrifici.
 
Tuttavia occorre rendersi conto della durezza delle parole utilizzate. Dio è placato dal Sacrificio del Figlio, esattamente a guisa degli dei pagani, che erano placati dal sangue degli olocausti. Di fronte a queste parole, diverse possono essere le reazioni.
 
Vogliamo proporre due esempi, uno del Arcivescovo di Friburgo, Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca e l’altro del fondatore del Cammino Neocatecumenale.
 
 
I negazionisti del Sacrificio di Cristo
 
Robert Zollitsch,
 
“Cristo non è morto per i peccati della gente come se Dio avesse preparato un'offerta sacrificale, un capro espiatorio. Piuttosto, Gesù ha offerto soltanto “solidarietà” con i poveri ed i sofferenti, questa è la grande prospettiva: questa tremenda solidarietà.” Cfr. Dichiarazione pubblica, 21 aprile 2009.
 
Kiko Arguello:
 
“Carmen vi ha spiegato come le idee sacrificali che Israele aveva avuto ed aveva sublimato, si introdussero di nuovo nella eucaristia cristiana. Forse che Dio ha bisogno del Sangue del Suo Figlio, del suo Sacrificio per placarsi? Ma che razza di Dio abbiamo fatto? Siamo arrivati a pensare che Dio placava la sua ira nel Sacrificio di suo Figlio alla maniera degli dèi pagani. Per questo gli atei dicevano: che tipo di Dio sarà quello che riversa la sua ira contro Suo Figlio sulla croce?... e chi poteva rispondere?” Cfr. Orientamenti alle equipes dei catechisti per la fase di conversione p. 333.
 
e anche:  
 
“Ci permettiamo ricordare che sul Sacrificio della messa si insegna che il concetto di Sacrificio è stato introdotto per compiacere i pagani al tempo di Costantino. In realtà la messa è solo una presenza-passaggio del Cristo che, ovviamente, dopo il passaggio, non rimane più dentro il pane, ecc. Tuttavia, questo non ditelo agli altri cristiani, perché non sarebbero ancora in grado di capirlo”. Cfr. Annuncio di Quaresima 2008.

Reazioni che fanno capire, a tutti coloro che pensano che una enciclica del 1858 possa essere datata o peggio, superata, quanto invece il suo contenuto sia ancora attualissimo e problematico - nel senso di fortemente interpellante lo spirito e la coscienza - per i molti che sono usciti dall’alveo del Magistero perenne.
 
Solo la gravità del Peccato Originale può spiegare il Sacrificio di Cristo
 
Riflettere sull'essenza del Sacrificio significa riflettere sul mistero più profondo della nostra fede. Il Sacrificio di Cristo, rimanda al mistero di iniquità in cui l’uomo si è lasciato coinvolgere divenendo nel contempo carnefice e vittima, che ne ha causato la caduta e la rovina.
 
Banalizzare il Sacrificio, dubitare della sua necessità e della potenza satisfatoria che porta con sé, significa sottovalutare la gravità del peccato originale, minimizzare gli effetti di quel peccato sulla natura e sul rapporto con Dio.
 
Banalizzare il Sacrificio significa banalizzare il peccato, che ha spinto Dio a sacrificare suo Figlio, e in ultima analisi significa banalizzare Dio stesso, l'onore che gli è dovuto e l'amore che ha e che ha manifestato con l’Incarnazione del Verbo nei confronti dell'uomo. A tanto odio nei confronti del proprio creatore si arriva, semplicemente sottovalutando l'essenza del Sacrificio.
 
Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) citando per altro Trento:
 
“Con la sua obbedienza fino alla morte, Gesù ha compiuto la sostituzione del Servo sofferente che offre se stesso in espiazione, mentre porta il peccato di molti, e li giustifica addossandosi la loro iniquità. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al Padre per i nostri peccati”. (n.615).
 
Occorre precisarlo: per comprendere ciò che è stato il Sacrificio di Cristo, occorre avere ben chiara la reale entità del peccato.
 
Il peccato fu un vero danno, una catastrofe, una rivoluzione e distruzione che la creazione ha riversato su se stessa, contro il suo creatore, perché il peccato è “distacco” da Dio e dal Suo Progetto per l’uomo. Tale danno è reale, tangibile, di proporzione devastante. Così grave da meritare l'inferno per tutti gli uomini, per sempre. Così grave da non meritare affatto l'amore di Dio.
 
Dio ha pertanto stabilito il Sacrificio del Figlio, per poter riparare il danno causato dagli uomini. La relazione causale tra peccato e redenzione, mostra senza equivoco che il Sacrificio è causato dal peccato, come riparazione e riscatto da questo.
 
La proporzione del peccato è stata così grave, che è stato Dio stesso a dover intervenire per rimediare, sfuggendo alle possibilità umane, di riuscire a sopperire alle loro stesse responsabilità morali.
 
L'uomo non ha la capacità di ricreare nel bene ciò che ha corrotto con il male, non ha la capacità di donare la grazia, là dove l'ha tolta, di dare la vita là dove ha dato la morte. Le possibilità umane ammutoliscono impotenti di fronte alla reale gravità del peccato da lui stesso compiuto.
 
Se la responsabilità del peccato è di tutti gli uomini, tuttavia la possibilità di rimediare è solo di Dio. Solo Dio è in grado infatti di operare in modo perfetto, di sanare il male, di ridare la vita, di conferire la grazia dove manca. Solo Dio, poteva salvare, e ha salvato l’uomo divenendo uomo Egli stesso.
 
Solo un uomo perfetto senza peccato senza macchia poteva, con il suo Sacrificio volontario e puro ristabilire e riparare il danno ristabilendo la giustizia. Solo l’Uomo-Dio poteva riscattare non solo i peccati commessi nel passato e nel presente, ma tutti i peccati degli uomini fino alla fine del mondo.

Per questo, tramite l'incarnazione del Verbo il Padre ha mandato il Figlio nel mondo affinché prendesse la natura umana, associandosi come vero uomo a tutta l'umanità (questa è la vera solidarietà che Cristo ha con l'uomo); come vero Dio ha avuto il potere di rendere la sua azione riparatrice perfetta, ossia del tutto rispondente alla soddisfazione dovuta al Padre creatore, dalle creature colpevoli; tramite l'unione delle due nature nell'unica persona divina, ha reso possibile il Sacrificio come azione teandrica, ossia divina (quanto alla perfezione dell'atto) ed umana (quanto alla solidarietà con i responsabili del danno).
 

Il culto ebraico del Sacrificio
 
Il Sacrificio del Figlio è avvolto dal Mistero che difficilmente sarà svelato. Ma ancora più misterioso è il motivo per cui Dio Padre sottometterà il Figlio al culto del Tempio ebraico rispetto al culto pagano anch’esso sacrificale e come dirà il “Sommo Poeta” figura del sacrifico perfetto.
 
Caratteristica del Sacrificio ebraico è l'innocenza della vittima offerta, il modo cruento con cui esso si realizza, lo spargimento di sangue, l'accoglienza della divinità verso cui si indirizza il sacrificio attraverso il pasto sacro da parte del sacerdote che era tenuto a cibarsi di parte del sacrificio.

Cristo si è offerto come vittima, poiché solo lui poteva essere gradito al Padre. Solo Cristo infatti è veramente puro, privo di ogni difetto, senza alcuna macchia di peccato, completamente innocente.
 
Non si sarebbe potuto trovare in tutta la creazione, nemmeno tra gli angeli, una vittima migliore di Cristo. Per riparare il torto infinito, è necessario, corrispondentemente, una vittima infinitamente nobile, infinitamente pura, contro l'infinita sporcizia del peccato; infinitamente innocente, contro l'infinita colpa.
 
Il male è sanato, immolando il suo opposto annullando il “non serviar” satanico con l’“eccomi” del Figlio obbediente: “non la mia, ma la tua volontà…” suo opposto.
 
Il peccato impedisce con il suo peso, che attira verso la materia corrotta, che una azione possa salire a Dio.
 
Solo chi è senza peccato, può porre in essere un atto che si libri alto verso Dio, come giustizia e ricollochi l’uomo al posto che gli era stato dato con la Creazione originaria.
 
Non a caso nella mentalità giudaica, quando si parla di “sacrificio”, si usa il verbo “far salire”: ne è un segno il gesto del sacerdote quando “alza”, cioè “fa salire” al trono dell’Altissimo,  il Calice e l’Ostia.

Sulla violenza dell'azione sacrificale, ben si è espresso Giovanni Paolo II, dicendo:
 
“Il portatore della libertà e della gioia del regno di Dio volle essere la vittima decisiva dell'ingiustizia e del male di questo mondo. Il dolore della Creazione è assunto dal Crocifisso, che offre la sua vita in Sacrificio per tutti: sommo Sacerdote, che può condividere le nostre fragilità; vittima pasquale, che ci redime dai nostri peccati; Figlio obbediente, che incarna di fronte alla giustizia salvifica del Padre l'anelito di liberazione e di redenzione di tutti gli uomini.” Cfr. Docum. “La evangelizaciòn”, della III ass. gen. dell'episcopato latino-americano, Puebla 13-2-1979.
 
Il potere Redentivo della Croce

 
La violenza del Sacrificio deve sempre, per la mentalità cultica di Israele, essere proporzionata alla gravità del peccato.
 
La violenza del Sacrificio del Figlio è proporzionale alla violenza del peccato.

 
Il dolore pagato dal Figlio, è lo stesso dolore che il peccato porta con sé. L’uomo solo non poteva soffrire in modo perfetto perché un solo uomo non avrebbe potuto sopportare tutto il carico di sofferenza che il Padre esigeva per riscattare tutti gli uomini di tutti i tempi. Un uomo non poteva ma Dio sì. Solo il Dio-uomo poteva e volontariamente l’ha fatto. Il dolore che ha dovuto patire per noi doveva essere veramente qualche cosa di orribile.
 
Cristo ha voluto liberamente morire, in modo che morisse con lui il peccato tutti i peccati di tutti gli uomini, l'ingiustizia, l'orrore, il male. Se non fosse morto, se la violenza cieca del male non avesse inchiodato il mediatore unico tra cielo e terra alla croce, non ci sarebbe stato il Sacrificio e non si sarebbe data la Redenzione.

Sacrificare vuol dire rendere sacro, fare diventare sacro. Con il Sacrificio, si rende sacro ciò che si immola, lo si rende proprietà di Dio, a lui gradita. Ecco l’uomo che da peccatore da maledetto dopo il Sacrificio dell’Uomo-Dio ritornerà capace di Dio, anzi del tutto simile a Dio stesso.
 
Essendo la Vittima del Sacrificio il Figlio di Dio stesso, egli gradisce questa offerta perfetta, in modo perfetto. Essendo l'offerta completamente soddisfacente, egli risulta completamente soddisfatto.
 
Poiché il Figlio ribalta con la sua perfezione in modo totale l'imperfezione del male, il debito è perfettamente pagato. Poiché Egli riassume perfettamente in sé tutto il peso di ogni male e di ogni ingiustizia, ogni peccato è nel Suo Sacrificio redento e ripagato.
 
Poiché la perfezione di tale offerta è totale, essa si applica anche ai peccati già commessi e a quelli ancora da commettere dagli uomini, che meriterebbero da soli, ogni volta, l'abbandono dell'umanità a se stessa da parte di Dio, il quale però, risulta essere placato per sempre nel suo giusto sdegno, dall'amore infinito dato dal Sacrificio di Cristo.
 
Dubitare del potere della Croce di placare Dio Padre, è un grave insulto al potere infinito dell'amore sacrificale del Figlio.
 
Delle due, l'una: o si crede che al Padre non importi nulla del peccato degli uomini, e dunque lo si ritiene un essere ingiusto, che ritiene il vero e il bene, il falso e il male sullo stesso piano, indifferentemente; o conseguentemente si crede che al Padre non sia gradita l'offerta che il Figlio amatissimo e amantissimo gli rivolge in modo perfetto, e dunque non si dimostra alcuna fede nella capacità del Figlio di compiere opere perfette.
 
L'ira di Dio: la giustizia vuole che ognuno abbia ciò che si merita.

L'ira di Dio per il peccato dell'uomo è la realtà che non si può negare, senza smettere di essere cristiani. L'ira di Dio per il peccato dell'uomo non è un sentimento, una perturbazione del cuore, alla maniera umana (Dio è imperturbabile, impassibile). E' la conseguenza della sua giustizia infinita, di fronte alla ingiustizia del peccato.
 
La giustizia vuole che ognuno abbia ciò che si merita. Se è vero che Dio è infinitamente Misericordioso, non possiamo mettere da parte il fatto che Egli è contemporaneamente infinitamente Giusto. Il peccato, essendo odio e ribellione a Dio, opera come conseguenza il distacco da Lui e, quindi merita la morte, la sofferenza e l'inferno.
 
Se non si credesse questo, si dubiterebbe della giustizia di Dio, oppure si riterrebbe che il peccato non Lo offenda, presumendo di salvarsi dunque senza merito, e peccando gravissimamente contro lo Spirito Santo.
 
Dio non può negare se stesso, smettendo di essere giusto. Per amore verso gli uomini, accetta di sacrificare suo Figlio, in modo che sia questo e non l'umanità intera, a pagare il prezzo del male.
 
Dire che Dio è Giusto, tuttavia, non significa limitarne la ‘giustizia’ alla rimunerazione o al castigo: giusto significa soprattutto integro, senza errore; ed è Dio che ci rende ‘giusti’  a Sua immagine attraverso la Grazia Santificante – nella misura in cui ci rende ‘Conformi’ all’immagine del Figlio suo, quando gli presentiamo la nostra situazione di peccato e di errore e chiediamo e accogliamo il Suo perdono: questa è anche la ‘giustificazione’ che abbiamo per mezzo della “opere della fede”.
 
Il peccato causa una lacerazione nella giustizia e nell’ordine della creazione, impresso dal Creatore, su cui tutto si regge come legge suprema, tale da rendere l'opera stessa di Dio oscurata, sfigurata nella perfezione originaria quindi sostanzialmente malvagia.
 
Se la giustizia non fossa stata prontamente ristabilita dal Padre attraverso il Sacrificio perfetto del Figlio, la creazione [che quando è uscita dalle mani del Creatore “era cosa buona” e tale resta nella sua “essenza” e motivo di Suo compiacimento (Genesi)], avrebbe testimoniato l’ingiustizia e quindi l'esistenza di un Dio “malvagio” indifferente verso la sua creazione - col peccato - resa malvagia.  
 
Con un linguaggio antropomorfico certamente improprio, ma ci auguriamo più chiaro, Dio non potendo tollerare la situazione per cui la sua opera lo contraddica (poiché in Dio non c’è contraddizione), ha ricomposto, mediante il sacrificio - che rende sacra, in Cristo, l'intera creazione - la lacerazione che il peccato ha causato alla giustizia, compromettendo e corrompendo tutto il creato.
 
Ecco come Dio si placa tramite il Sangue del suo Figlio. Non un atto di estremo sadismo, ma al contrario, un atto di estremo amore (risparmiandoci il peso di un tale pagamento) e di estrema giustizia (dovendo il male arrecato, essere rimediato per ristabilire l'armonia creata da Dio nella grazia, senza macchia di peccato).
 
Chi vede in Dio un sadico, nel Sangue versato qualcosa di turpe, non è in grado di pensare a Dio come l'essere perfettissimo, in cui amore e giustizia sono al colmo della perfezione, ma al contrario lo deve ridurre a categorie umane, deve prostituirne la giustizia con il buonismo, insinuando la bestemmia che vorrebbe fare anche di Dio un giudice di “manica larga”, che perdona un po' tutti, senza criterio e fa finta di non vedere per quieto vivere.
 
Il sangue rappresenta la vita, così come dirà il Levitino, “La vita di una creatura risiede nel sangue” (Levitico 17,11). E la Vita Divina:  il Sangue che salva è stato dato all’uomo per renderlo da peccatore meritevole del fuoco eterno dell’inferno, giusto senza peccato. “Prendete e bevetene perché questo è il calice del mio Sangue, il Sangue dell’Alleanza Nuova ed Eterna, che sarà versato per voi e per la moltitudine degli uomini per il perdono [o meglio in espiazione] dei peccati” .
 
Il peggiore insulto che si può fare a Dio (e anche il peggiore danno che si può arrecare a se stessi, poiché si smette di praticare la giustizia) è di crederlo un buonista, ossia un ingiusto. E' una bestemmia grave, rivolta a Chi, infinitamente Misericordioso e infinitamente Giusto, ha sacrificato senza esitare suo Figlio. E' una grave forma di ingratitudine.

Accogliendo il Sacrificio perfetto, Dio è in grado di ristabilire l’armonia, tramite la mediazione di Cristo, tra Dio e la sua creazione la quale, liberata per effetto della redenzione dalla cappa opprimente del peccato, è in grado di ricevere nuovamente la grazia, che le era stata tolta dal male stesso.
 
Per questo oltre ad essere offerto in espiazione, per placare la giusta collera di Dio e in soddisfazione del danno arrecato alla creazione e all'onore del creatore, il Sacrificio ha anche valore impetratorio: esso è offerto per ottenere da Dio le grazie necessarie alla salvezza. La grazia è ottenuta dall'azione sacerdotale di Cristo, pontefice tra il Cielo e la terra: Egli, così come eleva a Dio la richiesta dell'umanità, distribuisce anche all'uomo ogni Grazia, mediante i sacramenti e in special modo la Santa e Divina Liturgia, che rinnova i frutti del Sacrificio ogni volta in cui viene celebrata.
 

Il Culto Sacrificale è iscritto naturalmente nel cuore dell’uomo
 
In che rapporto concepire gli antichi sacrifici, nei confronti di quello perfetto, di Cristo? Tanto quelli svoltisi nell'ebraismo, quanto quelli pagani, avevano il carattere di preparazione e di introduzione figurale, simbolica, all'unico Sacrificio del calvario, che tutti riassume, porta a compimento e supera.

Dice il Concilio di Firenze:
“La Chiesa crede fermamente, professa e insegna che le prescrizioni legali dell'Antico Testamento, cioè della legge mosaica, che si dividono in cerimonie, sacrifici sacri e sacramenti, proprio perchè istituite per significare qualche cosa di futuro, benché adeguate al culto divino di quell'epoca, dal momento che è venuto il nostro signore Gesù Cristo, da esse prefigurato, sono cessate e sono cominciati i sacramenti della nuova alleanza. Essa insegna che pecca mortalmente chiunque ripone, anche dopo la passione, la propria speranza in quelle prescrizioni legali e le osserva quasi fossero necessarie alla salvezza, e la fede del Cristo non potesse salvare senza di esse [...] dopo l'annuncio del vangelo non possono più essere osservate, pena la perdita della salvezza eterna” Cfr. Concilio di Firenze, Bolla “Cantate Domino”, 4-2-1442.
 
Confermato da Benedetto XVI che dice:
“In questo modo Gesù inserisce il suo novum radicale all'interno dell'antica cena sacrificale ebraica. Quella cena per noi cristiani non è più necessario ripeterla. Come giustamente dicono i Padri, figura transit in veritatem: ciò che annunciava le realtà future ha ora lasciato il posto alla verità stessa. L'antico rito si è compiuto ed è stato superato definitivamente attraverso il dono d'amore del Figlio di Dio incarnato. Il cibo della verità, Cristo immolato per noi, dat ... figuris terminum” Cfr. Sacramentum Caritatis n°11.
 
Fa tremare i polsi leggere simili righe, riflettendo sul fatto che oggi nei seminari, nelle parrocchie e in certi movimenti si copiano e si praticano i rituali ebraici, credendo di “riscoprire” le radici della fede Cristiana!

Gli antichi riti prefigurano l'unico Sacrificio di Cristo. Dio (non li desidera ma) li consente affinché l'umanità possa adeguatamente prepararsi, in modo via via più perfetto, a ricevere il Sacrificio totale, accostandosi ad esso tramite le pratiche antiche e secolari.
 
Ogni religione che si definisca tale, ha un impianto rituale sacrificale, in cui sono riconoscibili alcuni elementi.
 
La purezza della vittima, la necessità della violenza, molto spesso il pasto rituale dell'animale “reso sacro” tramite l'immolazione, il Sacerdote come tramite tra la divinità e l'uomo, il potere del sangue di placare l'ira degli dei, il senso di espiazione delle colpe.
 
Le culture tradizionali sono arrivate alla formulazione di questa forma di religione naturale, tramite la riflessione e l'uso della ragione.
 
Hanno conosciuto Dio, che si è rivelato loro nelle opere che ha compiuto, ed essi hanno tentato di rendergli culto, come meglio potevano esprimerlo.
 
Era tuttavia un tentativo positivo di affermare l'esistenza di Dio e le principali verità religiose, conoscibili tramite la tradizione primordiale e la ragione.
 
Meraviglia che Dante, e il mondo medioevale avessero una vera devozione nei confronti di Virgilio, che in più di una occasione, nelle sue opere aveva scritto con toni ed immagini simboliche quasi cristiane.
 
In realtà gli antichi erano certi del fatto che anche i pagani annunciavano, attendevano e traducevano nei loro miti, l'attesa di una redenzione e la venuta del Messia. Agli ebrei Dio stesso chiese di praticare in modo cruento (e sanguinario) i sacrifici, con l'intento di preparare simbolicamente il Sacrificio di Gesù, attraverso la fede nella salvezza venuta dal sangue versato.
 
Ciò che i pagani riuscirono a fare con le sole loro forze naturali, agli ebrei fu anche chiesto direttamente dalla Legge.
 
Ciò che conta è la giusta chiave di lettura di tutto ciò: non è la Messa a “copiare” i sacrifici e la mentalità pagana, ma al contrario, i pagani e gli antichi ebrei, avevano figuratamente anticipato con i loro riti - solo simbolici - quello che si sarebbe realizzato con il Calvario e la santa Messa.

“Con la Messa, il Redentore ha voluto che quel Sacrificio, dato una volta per tutte, perfetto, sul calvario, accompagnasse la religione in ogni tempo, in modo perpetuo e perenneCfr. Leone XIII, Enciclica “Caritatis Studium”, 25-7-1898.

In particolare, attraverso la Divina Liturgia la Chiesa ha fatto in modo di introdurre i fedeli al mistero di Cristo, arricchendo la primitiva celebrazione che avvenne durante l'ultima cena pasquale della antica alleanza, con quegli elementi simbolici e quei segni, in grado di dare visivamente l'idea del trionfo della gloria di Dio sulla morte e sul peccato, e che non erano presenti nella mestizia ancora in fieri del cenacolo.
 
Di questo si parlerà meglio affrontando l'analisi dell'Enciclica Mediator Dei, di Pio XII. Qui basterà notare come il Beato Pio IX sottolinei come il fasto e la magnificenza degli apparati e la complessità delle cerimonie di cui si è arricchita nel corso dei secoli la liturgia, sono voluti da Cristo stesso, al fine di rappresentare lo splendore del mistero celeste.
 
Questo, contrariamente a quel culto insano della “nobile semplicità”, che vorrebbe che i riti ritornassero a riflettere la loro forma “apostolica”, puramente agapica o addirittura, ebraica (ignorando tra l’altro totalmente gli splendori delle liturgie ebraiche unicamente sacrificali del Tempio di Gerusalemme, oramai per sempre distrutto), contro ogni pronunciamento della Chiesa in merito.
 
L’intenzione del Sacerdote è necessaria per la validità della Messa

Tramite la messa, nella Chiesa ad opera dei sacerdoti viene reso sempre attuale, l'unico Sacrificio perfetto e gradito a Dio. La grandezza di questo sacramento è tale da renderlo di gran lunga il più importante e venerabile, mediante il quale è realizzata pienamente l'opera di presenza continua di Cristo nel mondo. Tramite questo sacramento, vengono sparse sulla Chiesa e sul mondo, le grazie che Cristo ha meritato una volta per tutte sul calvario.
 
La partecipazione è quindi massimamente utile alla salvezza delle anime, e per questo la Chiesa ha sempre invitato i fedeli, con l'istituzione del precetto festivo, a recarsi alla celebrazione liturgica, per poter usufruire di quel tesoro di grazie che continuamente viene offerto da Cristo tramite i sacerdoti, che agiscono in persona Christi, in ogni parte del mondo.

In particolare, il Beato Pio IX pone l’accento, per aumentarne la consapevolezza, sul significato particolare che nel Sacerdozio, riveste l'ufficio della cura d'anime, indispensabile per la salvezza del popolo di Dio. Infatti, in particolar modo riguardo alla messa, i sacerdoti in cura d'anime, come ad esempio i parroci nelle loro parrocchie, sono tenuti a celebrare il Sacrificio, applicandolo per il popolo a loro affidato (cfr. Can 534§1).
 
Pio IX espone un caso di specie, evidentemente frequente alla sua epoca, per stimolare i sacerdoti e i vescovi a riflettere sul grande valore dei doveri annessi alla cura delle anime.
 
Applicare una messa, significa chiedere a Dio, nell'intenzione del celebrante, che le grazie legate alla celebrazione del Sacrificio e scaturenti da esso, si riversino in modo particolare sul soggetto indicato dal celebrante stesso.
 
L’intenzione è la disposizione o tendenza dell'animo verso un determinato scopo, desiderio, volontà o proponimento.
 
Vi possono essere allora diverse specie di intenzione, a seconda che il celebrante applichi la messa “pro populo”, ossia per le anime che ha in cura, secondo le intenzioni del Papa o del vescovo, in casi particolari o particolari festività, e nelle messe private, in cui il celebrante stesso liberamente chiede a Cristo di destinare le grazie ad un soggetto particolare, secondo la sua o altrui privata intenzione.

In genere è consuetudine che il prete percepisca una offerta, in cambio della celebrazione di una messa “privata”, in uno dei giorni in cui non è tenuto ad intenzioni diverse e stabilite dal diritto, con l'applicazione della intenzione particolare indicata da colui che fa l'offerta.  Mentre il Sacerdote che celebra una messa pro populo, per diritto non può e non deve applicare a questa messa altre intenzioni (per cui è prevista offerta economica).
 
La messa pro populo quindi è una Messa che viene celebrata senza che il Sacerdote percepisca alcun compenso.

Pio IX ricorda come Papa Urbano VIII avesse provveduto a eliminare il precetto da alcune solennità, che a causa del mutare delle abitudini del popolo di Dio, rischiavano di cadere in desuetudine. Si pensa infatti, che tra il 1500 e il 1600, il precetto festivo fosse così accentuato, che all'incirca un terzo dell'intero anno solare fosse dedicato alla santificazione di feste, relative ottave, vigilie ecc.

Se si aggiunge poi in ogni Chiesa locale, l'enorme numero di solennità proprie, di santi la cui festa era celebrata localmente (magari con traslazione della festa della Chiesa universale, che veniva a cadere subito dopo), ci si rende conto di come una riforma delle feste era necessaria, per rendere possibile l'attività lavorativa.
 
Ciò, detto senza malizia, in concomitanza con l'affermarsi nell'Europa del nord del protestantesimo, specialmente del calvinismo, che conoscendo un solo riposo settimanale, e null'altro, risultava molto più favorevole alla formazione di una economia moderna e capitalista.

Urbano VIII decise di eliminare l'obbligo per il popolo di astenersi dal lavoro e di andare alla messa, in un discreto novero di festività.
 
Ma non eliminò, consapevole del beneficio che ne sarebbe derivato alle anime, l'obbligo per i curati di applicare anche in quei giorni di precetto soppresso, la messa pro populo.

Pio IX interviene lamentando come in parecchi casi, i parroci, al fine di percepire un maggior numero di offerte, sostituissero la celebrazione delle feste soppresse con altrettante messe private (all'epoca, in luogo della messa feriale, era consuetudine celebrare la messa “quotidiana” dei defunti, con i paramenti liturgici in nero). Così facendo, indebitamente percepivano le offerte, e nello stesso tempo disgraziatamente privavano le anime dei fedeli dei benefici spirituali connessi alla applicazione della messa pro populo.

Pio IX è categorico: l'ufficio di curato è caratterizzato in modo particolare dall'obbligo di applicare la messa per le anime in cura. Tale onere è veramente rappresentativo di come il Sacerdote sia costituito veramente pastore del popolo che gli è affidato. Il suo ministero particolare implica un dovere reale nei confronti del suo popolo.
 

 
Il Sacerdote è chiamato da Dio ad offrire il Divino Sacrificio, sacrificando se medesimo
 
Il Sacerdote della stirpe di Aronne, chiamato a prestare il suo servizio al Tempio, era sostanzialmente un macellaio: svolgeva un lavoro che consisteva nel sacrificare gli animali sgozzandoli sull’altare del Tempio, sezionale le parti che andavano bruciate subito e le parti che venivano offerte e poi consumate dal sacerdote stesso. Non era tenuto ad avere alcun trasporto emotivo, menchemmeno spirituale. Era un semplice lavoro ottenuto non per vocazione ma per famiglia di appartenenza.
 
Il Sacerdozio di Cristo è radicalmente diverso egli è chiamato senza stirpe di appartenenza a sacrificare e a sacrificarsi per il bene delle anime che ha in cura.
 
Sacrificando e sacrificandosi, il curato sparge copiosamente il sangue di Cristo sul suo popolo, lavandolo e purificandolo con l'effusione del sangue.
 
Ogni goccia che il Sacerdote risparmia al suo popolo, si va concretizzando in anime che non si salvano, in grazie che non vengono elargite, in peccati che trionfano.  
 
Eppure, quanto è attuale il monito di Pio IX oggi? Se dovessimo oggi chiedere ai sacerdoti di una grande città, ai parroci, quanti conservano ancora l'uso di applicare la messa per il proprio popolo?
 
Spesso questo non avviene, spesso anche nella messa domenicale e festiva si accumulano intenzioni private, spesso i preti giovani entrano nel mondo ecclesiale in parrocchie in cui non si celebra la messa pro populo, imparano così e da parroci smettono di celebrarla anche loro. Chi ritenendolo un retaggio del passato, chi direttamente preferendo prendere più offerte.
 
Scandaloso è confrontarsi con i preti delle generazioni passate dove i sacerdoti non percependo alcun rimborso mensile come il moderno otto per mille, potevano vivere e sostenersi solo con questo tipo di offerte.
 
Tale malcostume, indica come l'enciclica di Pio IX, nonostante i suoi 150 anni, sia ancora attualissima e importante.
 
Il Sacerdozio Cattolico da 40 anni è malato!
 
Oggi viene chiesto al Sacerdote di essere al “passo con i tempi” come se in passato non lo fosse stato. I preti in questi ultimi 40 anni hanno cercato in tutti i modi, di stare con e per il mondo.
 
Il  mondo ha chiesto ai preti di uscire dalla Sacrestia per andare incontro alla gente. Sono sorti negli anni della grande industrializzazione i preti operai, così durante la rivoluzione marxista i preti di lotta e di liberazione, così oggi dove imperversa l’apparire sono sorti preti televisivi, opinionisti, da poster, preti di teatro, da musical, tutti sorridenti abbronzati e assolutamente irriconoscibili perché l’abito “sa di chiuso e retrogrado allontana dalla gente”.
 
Con questo andazzo purtroppo immancabilmente arriva all’attenzione pubblica l’inevitabile e odioso scandalo pretesco.  Si aprono processi pubblici verso quegli stessi preti che fino a qualche istante prima erano considerati i nuovi paladini della cristianità.
 
Arrivano gli implacabili opinionisti che cercano di analizzare la società e la Chiesa d’oggi scaricando tutte le responsabilità sulla condizione infelice dei preti.
 
Arriva poi il solito Cardinale: un emerito che fa dire ad altri accanto a se, come un ventriloquo con un pupazzo, con un piede nella fossa, che anziché apparecchiarsi per la morte, tira fuori la solita perla: “il prete pecca, perché è solo: e bene che si sposi!”.
 
Come se il matrimonio sia la panacea di tutti i mali. Svilendo sia il sacramento dell’Ordine come quello del Matrimonio.
 
È incredibile come oggi si cercano di risolvere quei problemi che come al solito, non sono proprio problemi ma sintomi del problema.
 
Ma la crisi che investe il sacerdozio non è esterna al sacerdote, ma interna al sacerdote e all’idea di sacerdozio stesso, riformato dopo gli anni 70.
 
La modernità ha tolto la chiave di volta che regge tutti i Sacramenti costituiti dal Sangue, usciti dal costato di Cristo. Togliendo la CHIAVE DI VOLTA, essi crollano tutti su loro stessi. La chiave di volta è il SACRIFICIO e la MORTE, attraverso la quale occorre “passare” per essere introdotti nel mondo della Resurrezione.
 
Il Matrimonio e l’Ordine Sacro sono sorgenti di grazia se sorti dalla morte
 
 Il Matrimonio è un atto grave, come il Sacerdozio. E' un atto grave perchè implica una responsabilità peculiare: una morte.
 
Il sacerdote muore al mondo e vive solo in Cristo e come rappresentazione di Cristo (la talare nera è simbolo della tomba, della coltre funebre che avvolge la persona interamente e lascia vedere solo il volto, semplice ricordo di quello che fu la persona prima di decidere di morire alla vita passata e di vivere come strumento di Cristo).
 
Parimenti lo sposo con quel cerchietto d’oro al dito, muore a se stesso vivendo poi solo in funzione del coniuge, come Cristo è morto per la Chiesa. Morire a se stessi è un trauma, non è una bella cosa, esattamente come tutto ciò che riguarda la vita.
 
L'acqua è simbolo del dolore e della morte (diluvio, mar rosso sopra agli egizi, ecc.) e il bambino viene introdotto nell'acqua per diventare Cristiano. Appena nato è subito messo di fronte alla morte: deve morire rispetto alla sua vita materiale, immanente, di peccato, per poter vivere nello spirito.
 
Significa anche che il primo approccio alla vita è con una immagine della morte: la morte è la costante di tutta la vita. Il bambino nasce piangendo, nel dolore, nel dolore vive e nel dolore muore. L'eucaristia è un sacramento in cui Cristo muore per noi. Senso del cristianesimo è la morte. Non si può vivere se non si muore, non si può avere la vita eterna se non si decide di sacrificare questa terrena.
 
Il matrimonio porta a termine una crescita di questi segni continui che la nostra religione ci propone sulla morte, la morte come passaggio obbligato per poter santificarsi e vivere. Morte al peccato con il battesimo, morte a se stessi con il matrimonio.
 
La morte è comunque un fatto traumatico, che viene reso accettabile da Cristo, che l’ha trasformata in DONO di Sé. Ed è la reciprocità del dono, che comporta la crescita di un NOI, al posto di io-tu iniziali [che, naturalmente, implica anche la crescita personale e crea un clima vitale e accogliente per i figli, accolti nell’abbraccio di una relazione resa viva e vitalizzante dal rapporto personale e sacramentale con Dio nella Chiesa].
 
Un cristianesimo senza il peso cupo della morte, passaggio obbligato per la Risurrezione, è un cristianesimo senza senso, senza sacrificio quindi monco.
 
Il sacrificio significa diventare sacri, per rendere sacro tutto quel che ci circonda; ma non possiamo farlo da soli: è in Cristo e per effetto della Sua Grazia Santificante che veniamo resi capaci di uscire da noi stessi per guarire dai nostri egoismi, dalle nostre voglie.
 
In realtà, uscendo da noi stessi, troviamo il nostro vero io, quello che il Padre genera in Cristo ogni giorno attraverso il nostro essere dono per gli altri: Eucaristia vivente.
 
E’ questo che intende Paolo con “offrite i vostri corpi come sacrificio santo, vivente, gradito a Dio”  (uccidendo, morendo, per diventare sacri noi stessi, dobbiamo uccidere noi stessi con le nostre voglie, le nostri capricci i nostri egoismi, ecc..) Il matrimonio è uno strumento con cui noi riusciamo in questo intento (anche la consacrazione religiosa arriva allo stesso fine) e tramite esso riusciamo a elevarci soprannaturalmente, una volta sacrificati.

Un matrimonio così come un sacerdozio che non sia sacrificale, in cui non ci sia il simbolo della morte, non è un matrimonio, non è un sacerdozio cristiano. Associare il cristianesimo solo alla gioia, il matrimonio solo alla festa, il sacerdote come un grandioso operatore sociale è assolutamente sbagliato.
 
La gioia c'è anche, se è la gioia susseguente al sacrificio, una gioia pura immensa l’unica che riesce a dare vero senso all’esistenza, è la gioia della Croce, che solo chi l’ha realmente sperimentata può capirla. Le altre “gioie” mondane portano alla disperazione e alla dannazione.
 
La resurrezione necessita della croce per poter esistere. Diversamente concepire l'esistenza, il sacerdozio e dunque anche il matrimonio, solo come aspetto gioioso, senza l'aspetto grave del sacrificio, significa immanentizzarlo.
 
La porta che permette il salto dalla immanenza alla trascendenza è appunto la morte, il Sacrificio. Come con la morte siamo trasportati al cospetto di Dio, così con le varie morti simboliche che noi compiamo nella nostra ascesa spirituale, noi saliamo dalla immanenza alla trascendenza.
 
Morire significa abbandonare il piano terreno per quello divino. Diversamente, se non si muore, se il seme non muore, non da frutto. E così anche i sacramenti, se non hanno in sé la morte, non producono frutto.
 
Rendere l'eucaristia la “festa dello stare insieme” ha annullato l'efficacia di questo sacramento e di conseguenza ha annullando la figura del Sacerdote. È l’Assemblea che da senso alla Messa non è più il Sacerdote che si offre offrendo la Vittima: Cristo altare sacerdote e sacrificio, come ricorda la Lettera agli Ebrei!

 
Il Sig. Kiko Arguello propaganda molto bene questa visione distorta:

“Non c’è Eucaristia senza Assemblea. È un’Assemblea intera che celebra la festa e l’Eucaristia; perché l’Eucaristia è l’esultazione dell’Assemblea umana in comunione; perché il luogo preciso in cui si manifesta che Dio ha agito è in questa Chiesa creata, in questa comunione. È da questa Assemblea che sgorga l’Eucaristia” Cfr. Sig. Kiko Arguello in Orientamenti alle équipes di catechisti
per la fase di conversione, p. 317.
 
Rendere il matrimonio “la festa degli sposi”, ha causato divorzi e separazioni per ogni minima incombenza caratteriale.
 
Rendere il battesimo la festa “del bambino che è nato”, ha reso completamente indifferente la vita prima e dopo questo segno, per cui i battezzati non vengono poi educati alla fede come richiesto dalla Chiesa.
 
Eliminare la morte ha significato immanentizzare e quindi desacralizzare i sacramenti, banalizzandoli, rendendoli futili, in moltissimi casi direttamente nulli.
 

Sacerdote è vittima
 
Il sacerdote deve morire al mondo, accettare la croce, accogliere la morte distendersi senza fiatare sul legno della solitudine. Non c’è altra via di realizzazione di questa vocazione!
 
Perché il Sacerdote sia veramente degno del Sacrificio che compie, perché il suo Sacrificio sia veramente valido, gradito a Dio, e riversi sulla Chiesa tutte le grazie che esso può e deve meritare, è necessario anche un contributo che potrebbe arrivare fino all’effusione del suo sangue.
 
Il Sacerdote è chiamato ad identificarsi completamente con Cristo nel contempo Sacerdote e Vittima. Non solo tramite l'azione sacra, in cui Cristo agisce personalmente, al posto del ministro e tramite il ministro.
 
Il Sacerdote è chiamato a costituire una immagine viva di Cristo, una ostia vivente, rappresentazione nella santità individuale e nella massima attenzione alla gravità del suo compito Ministeriale, del Cristo. Tale santità, si esprime tanto nella realtà spirituale del prete, quanto in quella materiale e corporale.
 
L'imitazione di Cristo deve essere totalizzante, per poter offrire la vittima con “mani pure e cuore mondo”, espressione assai felice, che rende visivamente l'elemento della materia (mani) e dello spirito (cuore), nell'unità trascendente della persona, che nella sua integrità, lontana dal peccato, si deve immolare, allo stesso modo in cui Cristo si è immolato.

La liturgia, permette al Sacerdote di diventare una cosa sola con Cristo, anche attraverso la pratica rituale dei segni, dei simboli e tramite l'osservanza scrupolosa e amorevole delle rubriche.
 
Non è pedanteria, né mania formalista. Con la rubrica il Sacerdote riesce ad ottenere l'annullamento della propria individualità, modellando la propria postura, la propria fisicità, la propria interiorità, ad una catena ininterrotta di movimenti, posizioni, gesti e segni, che ha origine in Cristo stesso e viene perpetrata per continuarne la “memoria”.
 
L'uso del lino per il camice o per la tovaglia non è una richiesta leziosa. Esprime la necessità che l'identificazione sia totale, attraverso l'uso degli indumenti che l'eterno Sacerdote che si impersonifica indegnamente, rivestì.
 
Così, anche gli altri oggetti e gli altri ornamenti, non sono casuali. Purtroppo manca alla modernità una coscienza rituale simbolica, poiché la modernità pecca di mancanza di trascendenza.
 
 
La Liturgia da sacra è diventata utile
 
La modernità è totalmente immanente, e il simbolo cozza contro l'immanenza, essendo esso la porta che permette di saltare dal mondo immanente a quello trascendente.
 
Il male moderno è penetrato anche nella Chiesa, che ha operato e talvolta tollerato, semplificazioni e rivoluzioni liturgiche ai limiti del folle.
 
Riti svuotati di sacrale trascendenza, riportati ad un livello di piatta fruizione immediata, senza alcun rimando, senza alcuna elevazione. Gesti soppressi, movimenti aboliti, vesti vietate, simboli eliminati in virtù di una loro riscoperta “inutilità”.
 
Il concetto di “utile” è caro alla modernità, ma sconosciuto alla tradizione.
 
Un paramento non ha una utilità. Un gesto non è utile o vantaggioso. Un manipolo non produce un guadagno in chi lo usa. La liturgia non può essere praticata nella sfera dell'utilitarismo materialista, a meno di non volerla snaturare completamente dal suo fine: rappresentare sulla terra ciò che è il mistero eterno del cielo, rendendolo presente e vivo, in modo miracoloso.

La liturgia utile rende la proclamazione della parola di Dio un corso di Bibbia. La liturgia utile rende lo scambio della pace un atto di crudele ipocrisia tra sconosciuti. La liturgia utile rende la gente più consapevole del proprio ruolo sociale, come disse Paolo VI che vedeva nella nuova Messa più che mai “una tranquilla ma impegnativa palestra di sociologia cristiana” Cfr. Udienza Generale di Paolo VI, Mercoledì, 26 novembre 1969.
 
Istruire, fare comunità, fare carità, infondere la pace tra tutti. Tante parole vuote ed inutili quando si toglie di mezzo il mistero che è soprattutto rappresentato nel Sacrificio che è spargimento di Sangue che toglie i peccati, e solo questo.
 
Il mistero non è materiale, sfugge alle leggi dell'utilitarismo. Il mondo moderno si riprenderà dalla sua crisi, quando si accorgerà che l'umanità ha solo un interesse che sia utile, anzi necessario: La salvezza che viene dal Sacrificio di Cristo.
 
L’immoralità, l’apostasia, il Male dilagano perché c’è il moltiplicarsi di Messe invalide
 
La Santa Messa celebrata da un Sacerdote cattolico che, nelle sue remote intenzioni nega che negli atti che compirà, si attualizzerà realmente il Sacrificio di Cristo, - con una nuova effusione di Sangue per il perdono dei peccati -  si può considerare valida?
 
È una domanda gravissima che va affrontata con umiltà e fermezza dottrinale!
 
Si è parlato nei secoli se la condotta peccaminosa di un Sacerdote potesse rendere invalida la Messa.
 
La risposta fu chiara e decisa: la condotta del prete non può rendere invalida la Messa, solo l’intenzione segreta di agire contro la volontà della Chiesa, solo questa intenzione del Sacerdote può rendere invalido il Sacrificio.
 
Il Concilio di Trento definì il 3 marzo 1547 contro Lutero che i sacramenti conferiscono la grazia ex opere operato (can. 8), per ciò che dipende da Dio (can. 7):
 
“Se alcuno dirà che i sacramenti della nuova legge non conferiscono la grazia per propria ed intima efficacia (ex opere operato) ma che per conseguire la grazia basta la fiducia nelle divine promesse, sia scomunicato.” Cfr. Sess. VII, ca. 8; Denz 851.
 
Ex opere operato significa letteralmente “operato dall'opera stessa”, o meglio, “realizzato per il semplice fatto di aver compiuto l'opera”. Si parla di questo nel concilio di Trento, a proposito dei sacramenti, che a differenza di altre azioni liturgiche della Chiesa, non necessitano la santità di condotta del ministro o di chi le riceve per essere efficaci, ma al contrario hanno effetto automatico.
 
Ad esempio l'uso di oggetti sacri, non  ha effetto “ex opere operato”, come se  si trattasse di talismani, ma al contrario “ex opere operantis”, ossia, attraverso mediante la condotta di colui che lo fa.
 
Il rosario benedetto, per intenderci, ti aiuta se lo usi pregandolo con devozione e fede, non per il solo fatto di possedere tale oggetto.
 
Invece l'eucaristia, non dipende da quelle che sono le private intenzioni del ministro o di colui che la riceve, per realizzarsi. E' la celebrazione del sacramento stesso, che in virtù del mistero liturgico, in cui il Sacerdote non agisce per sé, ma in persona Christi, che ha efficacia. Vuol dire che è Cristo che celebra ogni sacramento, con la sua intenzione e con la sua santità. E' vero che conta l'intenzione e la santità del ministro perchè il sacramento sia efficace, ma nel caso, il ministro è Cristo, per cui la sua intenzione e la sua santità sono perfette.
 
Molti eretici hanno negato la validità dei sacramenti celebrati da ministri non santi, come se un prete buono consacrasse, al contrario di un prete sporcaccione. In realtà, né l'uno né l'altro possono essere abbastanza buoni da compiere un Sacrificio divino, che richiederebbe perlomeno che il Sacerdote fosse Dio a sua volta. Per questo il Sacrificio è di Cristo e viene celebrato da Cristo, sempre.
 
Il ministro non conta, non conta la sua fede, non conta la sua devozione, non conta la sua moralità, poiché nella celebrazione il ministro viene meno, e Cristo prende possesso della persona umana, agendo al posto suo. Ma la cosa che conta è SOLO UNA: che abbia l’intenzione di fare quello che fa la Chiesa.
 
Pertanto il concilio di Trento ha voluto ribadire contro i protestanti che affermavano la necessità (come i donatisti) che il ministro fosse puro per la validità dei sacramenti, che i sacramenti agiscono “ex opere operato”, poiché non dipendono dall'uomo, ma da Dio solo, che agisce come Sacerdote.

Questo vale per tutti i sacramenti, anche per il matrimonio. Tuttavia, è necessario distinguere e comprendere. E' vero che l'eucaristia è valida anche se il Sacerdote non crede.
 
Ne è dimostrazione ad esempio il miracolo eucaristico di Lanciano, dove un prete che non credeva alla transustanziazione, vide l'ostia tramutarsi in pezzo di carne e il vino in sangue, miracolosamente, dopo le parole della consacrazione, dette senza fede, ma valide.
 
La Chiesa per la validità di un sacramento, chiede che sussistano due requisiti, di forma e di materia.
 
La materia appartiene al segno sacramentale, ed è l'acqua pura per il battesimo, l'olio di oliva per la cresima e l'estrema unzione, l'accusa dei peccati vocale e il pentimento per l’assoluzione, l'imposizione delle mani per l'ordine, il pane di frumento e il vino d'uva naturali per l'eucaristia, lo scambio contrattuale della proprietà e della disponibilità del corpo di uno sull'altro (jus in corpore) per il matrimonio.

Quanto alla forma, sono le formule legittimamente approvate dalla Chiesa, contenute nei libri liturgici per ciascun sacramento. Per il matrimonio, è sufficiente che lo scambio della mutua disponibilità del diritto sul corpo del coniuge sia resa evidente con qualsiasi parola o gesto, e la Chiesa ha mutato molte volte la formula.

Ma soprattutto oltre a tutto questo, è richiesta da parte del ministro per la validità, che vi sia una intenzione remota di fare quello che fa la Chiesa quando celebra il sacramento.
 
L'intenzione si distingue tra remota e prossima, nel senso che se il ministro intende effettivamente consacrare (per esempio) il pane e il vino che ha di fronte, in quella circostanza liturgica, nel corpo e nel sangue di Cristo, la sua intenzione è prossima, cioè direttamente collegata al fine che si vuole conseguire.
 
E' invece remota se non è direttamente collegata, ma solo indirettamente collegata al fine che si vuole conseguire. Ossia ad esempio un Sacerdote, che vuole semplicemente fare ciò che la Chiesa fa, mentre si dicono le parole sui segni sacramentali, adeguandosi alla intenzione generale della Chiesa, ma senza averne una sua propria particolare.
 
E' il caso del prete che non sa se il sacramento è valido, ma celebra ugualmente volendo fare ciò che tutti fanno, e dunque questa intenzione generale della Chiesa, supplisce alla scarsità della sua intenzione individuale (supplet ecclesia) rendendo comunque valido il sacramento, in virtù dell'azione di Cristo.
 
Tutto ciò diventa chiaro se si legge la formula che i sacerdoti sarebbero tenuti a recitare  prima della Santa Messa.
 
“Intendo celebrare questa Eucaristia e consacrare il Corpo e il Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, secondo il rito di Santa Romana Chiesa, a lode di Dio Onnipotente e di tutta la sua corte celeste per il mio bene e quello di tutta la Santa Chiesa militante e per tutti coloro che si sono raccomandati alle mie preghiere, in modo generale e in modo particolare, come anche per il felice stato della Santa Chiesa Romana”. Trad. italiana, Cfr. PRÆPARATIO AD MISSAM, Missale Romanum, 1962 e 2001.
 
Occorre però quindi, almeno l'intenzione generica di fare un sacramento, secondo la fede comune della Chiesa, che per ignoranza o incapacità, non si condivide o si conosce.
 
Per questo motivo se dei sacerdoti professassero in cuor loro senza alcun dubbio le affermazioni sopra esposte dello Zollitsch e dell’ Arguello che dichiarano di non credere nel Sacrificio di Cristo, di non credere che la santa Messa sia un Sacrificio con una reale effusione di Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo per il perdono dei peccati, si potrebbe seriamente dubitare che le Messe possano rendere presente nostro Signore Gesù Cristo.
 
Anche perché costoro eventualmente sposando le sovrascritte dichiarazioni  non si adeguerebbero nemmeno all’ Intenzione di fare quello che fa la Chiesa, perché al contrario affermerebbero pugnacemente che la Chiesa è retrograda e ignorante, perché afferma ancora, a dir di loro, che l'Eucaristia è sacrificale mentre loro hanno capito, in base a presunti studi e approfondimenti, che sacrificale non lo è per niente.
 
Le dichiarazioni dello Zollitsch
 
Le dichiarazioni dello Zollitsch sono di una gravità sconcertante non solo perché professate spavaldamente ma anche perché professate da un Arcivescovo che è stato eletto democraticamente come Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca.
 
Certo è, che se si arriva ad una così “chiara” dichiarazione – sia pur seguita da un tardiva ritrattazione per mezzo di un articolo che ha tutta l’aria di essere un espediente formale – senza una sola voce fuori dal coro dell’Episcopato Tedesco, questo ci fa supporre che questo tipo di credo eucaristico  se non è professato almeno è tollerato. Ma questo credo è palesemente contrario al Credo Eucaristico professato dalla Chiesa Cattolica.
 
Le dichiarazioni di Arguello
 
Le dichiarazioni di Arguello sono anch’esse di una gravità sconcertante ma fatte da un fondatore di un movimento che non è né Vescovo, né sacerdote.  Ma non per questo sono meno gravi.
 
L’Arguello con alcuni sacerdoti e catechisti in questi 30 anni avrebbe “interpretato” o forse è meglio dire “riscoperto” un nuovo è più “autentico” modo di proporre l’eucaristia.
 
In realtà non ha fatto altro che introdurre quello che Pio XII condannò senza mezzi termini come “archeologismo liturgico” con l’aggiunta da parte dell’Arguello di elementi sincretistici ed altri completamente arbitrari. Così come un artista ha interpretato a suo modo, la realtà dipingendo e imponendo un suo modo di fare eucarestia.
 
Non intendiamo analizzare la sua interpretazione eucaristica (composta da un modo particolare, per esempio, di realizzare l’arredo dello spazio sacro e di imporre un tipo preciso di postura del corpo durante il rito, o di proporre un solo ed unico stile musica sacra, che sempre accompagna il rito, ecc), ci limiteremo solo a sottolineare il suo credo eucaristico costruito sul rifiuto categorico di considerare la sua eucaristia come incruento spargimento del Preziosissimo Sangue di Nostro Signore per il perdono dei peccati. E della sua ambigua professione di fede sulla presenza di Gesù nel Santissimo Sacramento al termine della Celebrazione Eucaristica.
 
Tutto ciò sarebbe comprovato almeno per quel che riguarda alcune prassi non scritte dei sacerdoti del Cammino, di eliminare dalla Messe celebrate la preghiera che il Sacerdote rivolge a Dio prima della preghiera dettaSulle Offerte”:
 
V/  Pregate fratelli  perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio Padre Onnipotente.
 
R/ Il Signore riceva dalle tue questo Sacrificio a Lode e gloria del tuo nome per il bene nostro e per tutta la tua Santa Chiesa”.  
 
O per quel che riguarda la presenza Reale, di spiegare in opportune catechesi che l’eucaristia non sarebbe altro che una “presenza-passaggio del Cristo che, ovviamente, dopo il passaggio, non rimane più dentro il pane”. Cfr. Annuncio di Pasqua 2008.
 
Quindi per le interpretazioni Kikiane non avrebbe – e in effetti nelle chiese disegnate da lui non lo ha – alcun senso un tabernacolo nella chiesa.
 
A nulla servono poi le repentine correzioni simboliche date per esempio quest’anno a tutte le Comunità Neocatecumenali come le lunghissime Adorazioni Eucaristiche proposte a tutte le numerose comunità sparse per il Mondo.
 
Per il clamore che le sue parole hanno generato in tutto il Mondo queste pie dimostrazioni non richieste da alcun evento ecclesiale, fanno nascere il sospetto che voglia coprire con un gesto eclatante un suo credo eucaristico professato nell’Annuncio di Pasqua 2008 pugnacemente proclamato perché ad oggi, mai smentito né  tantomeno, palesemente rinnegato.
 
 [Uno degli esempi più recenti: la chiesa realizzata sull’ispirazione artistica di Kiko a Roma intitolata a San Massimiliano Kolbe voluta dal Cardinal Ruini, realizzata dal Vescovo Mandara e benedetta e consacrata dal Card. Vallini il 26 aprile 2009, NON ha il tabernacolo! Il tabernacolo sarebbe presente solo nella cosiddetta cappellina feriale e il fedele per adorare il Santissimo Sacramento, deve uscire fisicamente dalla Chiesa, e dal sagrato,  entrare nella cappellina feriale].
 
Ma secondo sempre alcune presunte catechesi (perché Kiko ha riproposto per il suo Cammino un percorso “misterico” per i suoi seguaci, preti e laici, che è caratterizzato dall'obbligo di non profanare i segreti: le catechesi, che devono con il loro contenuto, rimanere coperte dall’arcano) l’eucaristia ha anche un’ ulteriore e forse pominente valenza.
 
La messa è Banchetto escatologico, così come è descritto in Luca:
“Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto. Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena»”. Cfr. Luca 14,16-24.
 
Cristo stesso per l’interpretazione pittorica (non certo teologica o liturgica) al servo buono e fedele al termine della vita passerà e li servirà.
 
Kiko celebra la pasqua ebraica
 
Dall’intervista rilasciata il 16 giugno 2008
 
“Noi l’abbiamo finora sempre fatta da seduti, e non per disprezzo – ha affermato - ma perché per noi è sempre stato molto importante comunicarsi anche con il Sangue. Nelle comunità portiamo avanti infatti una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa”.
 
[E qui, aprendo una lunga parentesi, l’iniziatore ha riassunto la sua catechesi sull’ultima cena, sul pane e sul vino:]
 
“Quando nelle cena della Pasqua ebraica si scopre il pane si parla di schiavitù, quando si parla della Terra promessa scoprono il calice, la quarta coppa. In mezzo a questi due momenti c’è una cena, quella nel corso della quale Gesù disse “Questo è il mio Corpo” (a significare la rottura della schiavitù dell’uomo all’egoismo e al demonio) e “Questo è il mio Sangue” (a significare la realizzazione di un nuovo esodo per tutta l’umanità)”.
 
Più tardi ha continuato Kiko,
 
I cristiani toglieranno la cena e metteranno insieme il pane e il vino. Ora, nel Cammino abbiamo molta gente lontana dalla Chiesa, non catechizzata, e nei segni del pane azzimo (la frazione del pane) e del vino noi diamo visibilità a quei significati”. “Abbiamo scelto di fare la comunione seduti
 
ha affermato Kiko avvicinandosi al cuore della questione
 
soprattutto per evitare che si versasse per terra il Sangue di Cristo. ... Il fedele seduto, questi ha il tempo di “accogliere il Calice con tutta calma e senza movimenti bruschi, di portarlo alla bocca, di comunicarsi con tranquillità e in modo solenne”. “Seduti come seduto era anche Gesù”,
 
ha specificato Carmen alla sua destra. Dal canto suo padre Mario Pezzi rilevava che la decisione originaria di comunicarsi seduti era stata presa di comune accordo con la Congregazione per il Culto Divino e con il cardinal Mayer, prefetto fra il 1984 e il 1988.
 
Il rito che viene identificato come Messa per le Comunità Neocatecumenali è incentrato sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a significare la Terra promessa. Prendono poi il Sangue di Cristo seduti per non versarlo e perché Gesù lo ha bevuto seduto.
 

Gesù non ha celebrato la pasqua ebraica
 
Ricordiamo che Gesù non ha celebrato la pasqua ebraica ma una “nuova Pasqua” slegata dalla tutta la simbologia e ritualità ebrea perché l’ha celebrata il giovedì e non il venerdì.
 
“Secondo Giovanni, Gesù morì sulla croce precisamente nel momento in cui, nel tempio, venivano immolati gli agnelli pasquali.
 
La sua morte e il sacrificio degli agnelli coincisero. Ciò significa, però, che Egli morì alla vigilia della Pasqua e quindi non poté personalmente celebrare la cena pasquale...
 
Siamo ora in grado di dire che quanto Giovanni ha riferito è storicamente preciso.
 
Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua nell’ora dell’immolazione degli agnelli. Egli però ha celebrato la Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di Qumran, quindi almeno un giorno prima – l’ha celebrata senza agnello, come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed era in attesa del nuovo tempio.
 
Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello – no, non senza agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il suo sangue. Così ha anticipato la sua morte in modo coerente con la sua parola: “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (Gv 10,18).
 
Nel momento in cui porgeva ai discepoli il suo corpo e il suo sangue, Egli dava reale compimento a questa affermazione.
 
Ha offerto Egli stesso la sua vita. Solo così l’antica Pasqua otteneva il suo vero senso.

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI, Basilica di San Giovanni in Laterano, Giovedì Santo, 5 aprile 2007.
 
Simbologia coercitiva associata all’Eucaristia?
 
E ancora per Kiko secondo altre sue “pittorico-poetiche” interpretazione il pane della sua eucaristia non sarebbe altro che il-pane-del-fare-la-volontà-del-Padre il pane sarebbe solo il cibo che rappresenta la sottomissione a Dio nel fare la sua volontà (obbedienza-sottomissione) [mentre prima avrebbe significato la schiavitù e l’uscita dall’Egitto], mentre il vino sarebbe il simbolo dell'alleanza [mentre prima avrebbe significato Terra promessa], per cui la comunione sotto le due specie, sarebbe indispensabile affinché l'alleanza data dalla mia obbedienza-sottomissione sia efficace.
 
L’obbedienza e la sottomissione senza mormorazione (peccato grave secondo l’uso Neocatecumenale) sono temi molto cari al Cammino. Il neocatecumenale non deve mormorare, deve obbedire al Cammino (dio), in quanto tale, rappresentato più dal catechista rappresentante della propria Comunità di appartenenza che dal sacerdote del Cammino, che gli è sottomesso al pari degli altri, senza discutere, perché, se mormorasse o disobbedisse si porrebbe come colui che accusa (il diavolo) e non come Cristo (a loro modo strumentalizzato) che “obbedirebbe” quasi senza capire.
 
Cristo non sarebbe ricordato, nella loro idea di celebrazione, come Colui che ha profuso e profonde ancora, il suo reale e Preziosissimo Sangue per il perdono dei peccati, ma come Colui-che-fa-la-volontà-del-Padre senza se e senza ma, ed il neocatecumenale rende-grazie (eucharisto) con tutte le forze con “cembali e danze”.
 
Il Cammino Neocatecumenale quindi non celebrerebbe, ma “fa eucaristia”: rende-grazie.
 
Quindi la presenza reale di Gesù non ha importanza, ciò che conta è l’obbedienza e la sottomissione elevata a “originale sacramento” non di salvezza ma di perseveranza nel Cammino fino alla tanto sospirata Tappa Finale con la sua Elezione (III scrutinio e bagno nel Giordano). Una salvezza del tutto immanentizzata.
 
Una Messa INVALIDA?!
 
Ora, il fatto che neghino apertamente quello che fa (e proclama) la Chiesa,
 
[che in venti secoli di storia non ha, non solo mai detto che il pane azzimo è simbolo della schiavitù e dell’uscita dall’Egitto e il vino: la terra promessa, ma soprattutto ha condannato la teoria secondo la quale Cristo, non riattualizzerebbe il Sacrificio della Croce in ogni Santa Messa o che la sua Presenza Reale sarebbe assicurata solo durante le azioni sacre, ma terminate le stesse, Cristo non ci sarebbe più]
 
escluderebbe l'intenzione remota e dunque renderebbe il sacramento direttamente invalido, al di là della privata eresia.
 
L’intenzione di fare quello che fa la Chiesa quando celebra il sacramento è necessaria affinché il Sacerdote con la preghiera consacratoria detta correttamente, abbia tra le mani nostro Signore Gesù Cristo.
 
Ora quanto detto porterebbe ad una doverosa considerazione.
 
* Tutti i sacerdoti della Diocesi di Friburgo così come tutti i preti e fedeli tedeschi professano il credo eucaristico proclamato dallo Zollitsch?
 
* Tutti i sacerdoti e i fedeli laici appartenenti al Cammino Neocatecumenale condividono le idee del sig. Arguello?
 
* Tutti i sacerdoti sparsi per il mondo, si accostano a celebrare i divini misteri, non disprezzando, ma magari solo negando il Sacrificio Incruento di Gesù Cristo sull’altare?
 
Ci piace sperare che non sia sempre così!
 
Ma come fare a sopportare tutto questo male da una parte della Chiesa (che di fatto non è più in comunione con la Chiesa) che nega risolutamente il Sacrificio di Cristo? Come fare a tollerare questo tipo di credo eucaristico palesemente contro la Verità, la Giustizia, la Misericordia di Dio?
 
Come fare a rispettare chi (facendosi complice) permette che queste forze oscure, che vanno a vanificare il Sacrificio della Croce (riperpetuato nel Divin-Sacrificio), continuino a proliferare senza freno?
 
Ma Gesù ci conforta, sì, ci conforta di fronte a questo scandalo e con queste parole, rassicura e rafforza il nostro cuore inquieto.
 
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò.
 
Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”. Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano.
 
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo nel mio granaio”». 
 
«Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo.
 
La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
 
Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, ascolti!». Cfr. Mt 13,24-43.


Ci permettiamo di deporre, sotto lo sguardo e l'intercessione della Beata Vergine Maria, l'intero lavoro svolto per la Maggior Gloria di Dio. Alla Madre della Chiesa rifugio dei peccatori e Madre della Misericordia affidiamo opere ed intenzioni perché le orienti e le sostenga e perché l'uomo nella riscoperta della Verità possa incontrare la Salvezza.



“...Se, turbato dall'enormità dei peccati, confuso dall'indegnità della coscienza, impaurito dall'orrore del giudizio, tu cominci ad essere inghiottito nel baratro della tristezza, nell'abisso della disperazione ... guarda la stella, invoca Maria. Nei pericoli, nelle angustie, nelle incertezze, pensa a Maria, invoca Maria. Non si allontani dalla tua bocca, non si allontani dal tuo cuore”.

Qui immaculátam Vírginem Maríam, Fílii tui Genétricem, Matrem et Salútem pópuli Románi constituísti, ut, ipsa protegénte, fídei certámen certet intrépitus, in Apostolórum doctrína firmus consístant et inter mundi procéllas incédat secúrus, donec ad cæléstem civitátem lætus pervéniat. 
(dal Prefazio della Salus Populi Romani)



Lo Spirito e la Sposa dicono:
Vieni!’.
(Ap 22,17)

Maranathà
 
Vieni Signore Gesù!