(Lettera
Enciclica)
INTRODUZIONE
L'enciclica di Pio IX
è uno splendido esempio di dottrina, che nella sua brevità permette
di cogliere insegnamenti lapidari e informazioni preziose, riguardo alla
fede nell'eucaristia e riguardo al Sacerdozio Ministeriale.
Nell' Enciclica, datata 3 maggio 1858, il Pontefice esalta la missione e
la centralità dei Sacerdoti rispetto all’assemblea, chiamati ad
offrire, nell'incruento sacrificio della Messa, quella stessa
Vittima che ha riconciliato l'umanità con Dio Padre. Raccomanda ai
ministri della Chiesa di adempiere scrupolosamente al loro dovere, senza
badare a sacrifici, per la salvezza delle anime loro affidate.
Nell’anno dedicato ai sacerdoti vogliamo proporre la riscoperta di
un’enciclica solida e nello stesso sintetica circa il profondo valore
della Santa Messa.
Con questa ampia introduzione vogliamo con profondo senso di
responsabilità denunciare chi, in questi decenni, ancora continua
a confondere e disorientare le anime verso quel cuore palpitante
della nostra fede: la Santissima Eucaristia.
La nostra missione è sempre stata a servizio della Liturgia, ora ci
sentiamo di dover difendere questo tesoro.
Come umili e inappropriate sentinelle vedendo in questi anni tanta
confusione perdurare, nonostante tanta chiarezza dogmatica e dottrinale,
ci sentiamo, in questo anno dedicato ai sacerdoti, di rimettere
in luce grazie a questa Enciclica così attuale, il senso della Messa e
la missione del Sacerdote contro chi impunemente continua ad oscurare
questo luminosissimo mistero diffondendo abbondanti errori e
banali e banalizzanti personali interpretazioni, perché sappiamo bene
che il monito del profeta Ezechiele vale tanto per loro quanto per noi.
“Se tu, ammonirai il malvagio e questi non desisterà dalla sua
scelleratezza e dalla sua prava condotta, egli morirà per la sua
iniquità, ma tu avrai salvato te stesso. ... Se non lo avrai ammonito,
egli morirà per il suo peccato e non saranno ricordate le opere giuste
che egli ha compiuto, ma io esigerò da te il suo sangue” Cfr. Ez 3,
19.21.
***
il Sacrificio di Gesù
Il titolo rimanda immediatamente a quello che è il senso centrale di
tutta l'enciclica. L'amore di Cristo per la sua Chiesa è così grande,
che egli ha voluto essere sempre presente, sempre operante in mezzo ad
essa.
L'amore di colui che ha operato la redenzione dell'umanità, si manifesta
all'umanità stessa tramite una assistenza continua, una presenza che
dall'Ascensione non è venuta né verrà mai meno. Il mistero con cui è
realizzata questa miracolosa presenza è la Chiesa stessa.
Infatti il Signore Gesù ha voluto istituire la Chiesa Cattolica come
società in cui viene perpetuata la redenzione da lui operata, in cui
viene insegnata la sua parola di verità, in cui viene rinnovato
miracolosamente e misteriosamente l'unico Sacrificio del calvario, nel
quale si è compiuta l'azione sacerdotale di Gesù, che non ha mai fine.
Gesù è l'unico mediatore tra il Padre e l'umanità, l'unico che possa
salvare l'uomo dall'inferno. La Chiesa è l'istituzione da Lui voluta,
per radunare e salvare tutti gli uomini che accolgono la Sua Salvezza e
la Sua Grazia.
Nella Chiesa, la presenza di Cristo è manifestata principalmente
attraverso i sacramenti. Tra tutti, in modo particolare il Beato Pio IX
ci invita ad apprezzare (particolarmente) la Santissima Eucaristia e
l'Ordine Sacro: il Sacerdozio Cattolico
Ogni sacramento fuoriesce dal costato di Cristo, trae origine dal
Sacrificio, è finalizzato a rendere presente l'azione redentrice
operata dal suo Preziosissimo Sangue.
Così il Sacerdozio è finalizzato alla celebrazione dell'Eucaristia, con
cui si rende presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità, la Persona di
Nostro Signore, Gesù Cristo.
E' importante riflettere come anche nel Sacerdozio vi sia una forma di
presenza di Cristo. Infatti il Sacerdozio Ministeriale altro non è che
il modo con cui il Capo della Chiesa, Cristo, celebra i Sacri Misteri,
personalmente ed individualmente, ogni volta che un Ministro, ossia un
uomo chiamato a prestare le proprie membra all'azione divina del Capo,
celebra un Sacramento, è Cristo stesso, presente ed operante, che
celebra.
Come si è detto, la principale funzione per cui Cristo ha stabilito che
fosse esercitato il Sacerdozio Ministeriale nella sua Chiesa, è la
celebrazione del Sacrificio. Tale Sacrificio è il medesimo di
Melchisedek, re di Salem (Gerusalemme).
La
necessità del
Sacrificio di Gesù
Il Papa ci ricorda dunque come il Sacrificio compiuto da Cristo come
sommo Sacerdote, offrendo se stesso, è un Sacrificio gradito a Dio,
avente il potere di placarlo, di impetrarne le grazie e di soddisfarlo.
Proprio così.
Può sembrare paradossale ai nostri tempi, parlare di Sacrificio in
questi termini. Pensare che il Padre debba essere placato “tramite il
Sangue del Figlio”, potrebbe ripugnare ad alcune persone.
Ricordando Melchisedek, il Papa ci ricorda come il Salmo 109 si
riferisca a Cristo: Melchisedek è il Sacerdote del Dio Altissimo che
celebra il Sacrificio puro, gradito a Dio.
Cristo, Sacerdote come Melchisedek, celebra un Sacrificio totale,
puro, immacolato, gradito a Dio, di portata e perfezione tali da rendere
superflui e superati (quindi non necessari) tutti gli altri sacrifici.
Tuttavia occorre rendersi conto della durezza delle parole utilizzate.
Dio è placato dal Sacrificio del Figlio, esattamente a guisa degli
dei pagani, che erano placati dal sangue degli olocausti. Di fronte
a queste parole, diverse possono essere le reazioni.
Vogliamo proporre due esempi, uno del Arcivescovo di Friburgo,
Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca e l’altro del fondatore
del Cammino Neocatecumenale.
I
negazionisti del
Sacrificio di Cristo
Robert Zollitsch,
“Cristo non è morto per i peccati della gente come se Dio avesse
preparato un'offerta sacrificale, un capro espiatorio. Piuttosto, Gesù
ha offerto soltanto “solidarietà” con i poveri ed i sofferenti, questa è
la grande prospettiva: questa tremenda solidarietà.” Cfr.
Dichiarazione pubblica, 21 aprile 2009.
Kiko Arguello:
“Carmen vi ha spiegato come le idee sacrificali che Israele aveva
avuto ed aveva sublimato, si introdussero di nuovo nella eucaristia
cristiana. Forse che Dio ha bisogno del Sangue del Suo Figlio, del suo
Sacrificio per placarsi? Ma che razza di Dio abbiamo fatto? Siamo
arrivati a pensare che Dio placava la sua ira nel Sacrificio di suo
Figlio alla maniera degli dèi pagani. Per questo gli atei dicevano: che
tipo di Dio sarà quello che riversa la sua ira contro Suo Figlio sulla
croce?... e chi poteva rispondere?” Cfr. Orientamenti alle equipes
dei catechisti per la fase di conversione p. 333.
e anche:
“Ci permettiamo ricordare che sul Sacrificio della messa si
insegna che il concetto di Sacrificio è stato introdotto per compiacere
i pagani al tempo di Costantino. In realtà la messa è solo una
presenza-passaggio del Cristo che, ovviamente, dopo il passaggio, non
rimane più dentro il pane, ecc. Tuttavia, questo non ditelo agli altri
cristiani, perché non sarebbero ancora in grado di capirlo”.
Cfr. Annuncio di Quaresima 2008.
Reazioni che fanno capire, a tutti coloro che pensano che una enciclica
del 1858 possa essere datata o peggio, superata, quanto invece il suo
contenuto sia ancora attualissimo e problematico - nel senso di
fortemente interpellante lo spirito e la coscienza - per i molti che
sono usciti dall’alveo del Magistero perenne.
Solo
la gravità del
Peccato Originale può spiegare il Sacrificio di Cristo
Riflettere sull'essenza del Sacrificio significa riflettere sul
mistero più profondo della nostra fede. Il Sacrificio di Cristo, rimanda
al mistero di iniquità in cui l’uomo si è lasciato coinvolgere divenendo
nel contempo carnefice e vittima, che ne ha causato la caduta e la
rovina.
Banalizzare il Sacrificio, dubitare della sua necessità e della
potenza satisfatoria che porta con sé, significa sottovalutare la
gravità del peccato originale, minimizzare gli effetti di quel peccato
sulla natura e sul rapporto con Dio.
Banalizzare il Sacrificio significa banalizzare il peccato, che ha
spinto Dio a sacrificare suo Figlio, e in ultima analisi significa
banalizzare Dio stesso, l'onore che gli è dovuto e l'amore che ha e
che ha manifestato con l’Incarnazione del Verbo nei confronti dell'uomo.
A tanto odio nei confronti del proprio creatore si arriva, semplicemente
sottovalutando l'essenza del Sacrificio.
Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC) citando per altro
Trento:
“Con la sua obbedienza fino alla morte, Gesù ha compiuto la
sostituzione del Servo sofferente che offre se stesso in espiazione,
mentre porta il peccato di molti, e li giustifica addossandosi la loro
iniquità. Gesù ha riparato per i nostri errori e dato soddisfazione al
Padre per i nostri peccati”. (n.615).
Occorre precisarlo: per comprendere ciò che è stato il Sacrificio di
Cristo, occorre avere ben chiara la reale entità del peccato.
Il peccato fu un vero danno, una catastrofe, una rivoluzione e
distruzione che la creazione ha riversato su se stessa, contro il suo
creatore, perché il peccato è “distacco” da Dio e dal Suo Progetto per
l’uomo. Tale danno è reale, tangibile, di proporzione devastante. Così
grave da meritare l'inferno per tutti gli uomini, per sempre. Così grave
da non meritare affatto l'amore di Dio.
Dio ha pertanto stabilito il Sacrificio del Figlio, per poter riparare
il danno causato dagli uomini. La relazione causale tra peccato e
redenzione, mostra senza equivoco che il Sacrificio è causato dal
peccato, come riparazione e riscatto da questo.
La proporzione del peccato è stata così grave, che è stato Dio stesso
a dover intervenire per rimediare, sfuggendo alle possibilità umane, di
riuscire a sopperire alle loro stesse responsabilità morali.
L'uomo non ha la capacità di ricreare nel bene ciò che ha corrotto con
il male, non ha la capacità di donare la grazia, là dove l'ha tolta, di
dare la vita là dove ha dato la morte. Le possibilità umane
ammutoliscono impotenti di fronte alla reale gravità del peccato da lui
stesso compiuto.
Se la responsabilità del peccato è di tutti gli uomini, tuttavia la
possibilità di rimediare è solo di Dio. Solo Dio è in grado infatti di
operare in modo perfetto, di sanare il male, di ridare la vita, di
conferire la grazia dove manca. Solo Dio, poteva salvare, e ha salvato
l’uomo divenendo uomo Egli stesso.
Solo un uomo perfetto senza peccato senza macchia poteva, con il suo
Sacrificio volontario e puro ristabilire e riparare il danno
ristabilendo la giustizia. Solo l’Uomo-Dio poteva riscattare non solo i
peccati commessi nel passato e nel presente, ma tutti i peccati degli
uomini fino alla fine del mondo.
Per questo, tramite l'incarnazione del Verbo il Padre ha mandato il
Figlio nel mondo affinché prendesse la natura umana, associandosi come
vero uomo a tutta l'umanità (questa è la vera solidarietà che Cristo ha
con l'uomo); come vero Dio ha avuto il potere di rendere la sua azione
riparatrice perfetta, ossia del tutto rispondente alla soddisfazione
dovuta al Padre creatore, dalle creature colpevoli; tramite l'unione
delle due nature nell'unica persona divina, ha reso possibile il
Sacrificio come azione teandrica, ossia divina (quanto alla perfezione
dell'atto) ed umana (quanto alla solidarietà con i responsabili del
danno).
Il
culto ebraico
del Sacrificio
Il Sacrificio del Figlio è avvolto dal Mistero che difficilmente sarà
svelato. Ma ancora più misterioso è il motivo per cui Dio Padre
sottometterà il Figlio al culto del Tempio ebraico rispetto al culto
pagano anch’esso sacrificale e come dirà il “Sommo Poeta” figura del
sacrifico perfetto.
Caratteristica del Sacrificio ebraico è l'innocenza della vittima
offerta, il modo cruento con cui esso si realizza, lo spargimento di
sangue, l'accoglienza della divinità verso cui si indirizza il
sacrificio attraverso il pasto sacro da parte del sacerdote che
era tenuto a cibarsi di parte del sacrificio.
Cristo si è offerto come vittima, poiché solo lui poteva essere gradito
al Padre. Solo Cristo infatti è veramente puro, privo di ogni difetto,
senza alcuna macchia di peccato, completamente innocente.
Non si sarebbe potuto trovare in tutta la creazione, nemmeno tra gli
angeli, una vittima migliore di Cristo. Per riparare il torto infinito,
è necessario, corrispondentemente, una vittima infinitamente nobile,
infinitamente pura, contro l'infinita sporcizia del peccato;
infinitamente innocente, contro l'infinita colpa.
Il male è sanato, immolando il suo opposto annullando il “non serviar”
satanico con l’“eccomi” del Figlio obbediente: “non la mia, ma la
tua volontà…” suo opposto.
Il peccato impedisce con il suo peso, che attira verso la materia
corrotta, che una azione possa salire a Dio.
Solo chi è senza peccato, può porre in essere un atto che si libri
alto verso Dio, come giustizia e ricollochi l’uomo al posto che gli era
stato dato con la Creazione originaria.
Non a caso nella mentalità giudaica, quando si parla di “sacrificio”,
si usa il verbo “far salire”: ne è un segno il gesto del sacerdote
quando “alza”, cioè “fa salire” al trono dell’Altissimo, il Calice e
l’Ostia.
Sulla violenza dell'azione sacrificale, ben si è espresso Giovanni Paolo
II, dicendo:
“Il portatore della libertà e della gioia del regno di Dio volle
essere la vittima decisiva dell'ingiustizia e del male di questo mondo.
Il dolore della Creazione è assunto dal Crocifisso, che offre la sua
vita in Sacrificio per tutti: sommo Sacerdote, che può condividere le
nostre fragilità; vittima pasquale, che ci redime dai nostri peccati;
Figlio obbediente, che incarna di fronte alla giustizia salvifica del
Padre l'anelito di liberazione e di redenzione di tutti gli uomini.”
Cfr. Docum. “La evangelizaciòn”, della III ass. gen. dell'episcopato
latino-americano, Puebla 13-2-1979.
Il potere Redentivo della Croce
La violenza del Sacrificio deve sempre, per la mentalità cultica
di Israele, essere proporzionata alla gravità del peccato.
La violenza del Sacrificio del Figlio è proporzionale alla violenza del
peccato.
Il dolore pagato dal Figlio, è lo stesso dolore che il peccato porta
con sé. L’uomo solo non poteva soffrire in modo perfetto perché un solo
uomo non avrebbe potuto sopportare tutto il carico di sofferenza che il
Padre esigeva per riscattare tutti gli uomini di tutti i tempi. Un uomo
non poteva ma Dio sì. Solo il Dio-uomo poteva e volontariamente l’ha
fatto. Il dolore che ha dovuto patire per noi doveva essere veramente
qualche cosa di orribile.
Cristo ha voluto liberamente morire, in modo che morisse con lui il
peccato tutti i peccati di tutti gli uomini, l'ingiustizia, l'orrore, il
male. Se non fosse morto, se la violenza cieca del male non avesse
inchiodato il mediatore unico tra cielo e terra alla croce, non ci
sarebbe stato il Sacrificio e non si sarebbe data la Redenzione.
Sacrificare vuol dire rendere sacro, fare diventare sacro. Con il
Sacrificio, si rende sacro ciò che si immola, lo si rende proprietà di
Dio, a lui gradita. Ecco l’uomo che da peccatore da maledetto dopo il
Sacrificio dell’Uomo-Dio ritornerà capace di Dio, anzi del tutto
simile a Dio stesso.
Essendo la Vittima del Sacrificio il Figlio di Dio stesso, egli
gradisce questa offerta perfetta, in modo perfetto. Essendo l'offerta
completamente soddisfacente, egli risulta completamente soddisfatto.
Poiché il Figlio ribalta con la sua perfezione in modo totale
l'imperfezione del male, il debito è perfettamente pagato. Poiché Egli
riassume perfettamente in sé tutto il peso di ogni male e di ogni
ingiustizia, ogni peccato è nel Suo Sacrificio redento e ripagato.
Poiché la perfezione di tale offerta è totale, essa si applica anche
ai peccati già commessi e a quelli ancora da commettere dagli uomini,
che meriterebbero da soli, ogni volta, l'abbandono dell'umanità a se
stessa da parte di Dio, il quale però, risulta essere placato per sempre
nel suo giusto sdegno, dall'amore infinito dato dal Sacrificio di
Cristo.
Dubitare del potere della Croce di placare Dio Padre, è un
grave insulto al potere infinito dell'amore sacrificale del Figlio.
Delle due, l'una: o si crede che al Padre non importi nulla del peccato
degli uomini, e dunque lo si ritiene un essere ingiusto, che ritiene il
vero e il bene, il falso e il male sullo stesso piano,
indifferentemente; o conseguentemente si crede che al Padre non sia
gradita l'offerta che il Figlio amatissimo e amantissimo gli rivolge in
modo perfetto, e dunque non si dimostra alcuna fede nella capacità del
Figlio di compiere opere perfette.
L'ira di
Dio: la
giustizia vuole che ognuno abbia ciò che si merita.
L'ira di Dio per il peccato dell'uomo è la realtà che non si può
negare, senza smettere di essere cristiani. L'ira di Dio per il
peccato dell'uomo non è un sentimento, una perturbazione del cuore, alla
maniera umana (Dio è imperturbabile, impassibile). E' la conseguenza
della sua giustizia infinita, di fronte alla ingiustizia del peccato.
La giustizia vuole che ognuno abbia ciò che si merita. Se è vero che
Dio è infinitamente Misericordioso, non possiamo mettere da parte il
fatto che Egli è contemporaneamente infinitamente Giusto. Il peccato,
essendo odio e ribellione a Dio, opera come conseguenza il distacco da
Lui e, quindi merita la morte, la sofferenza e l'inferno.
Se non si credesse questo, si dubiterebbe della giustizia di Dio,
oppure si riterrebbe che il peccato non Lo offenda, presumendo di
salvarsi dunque senza merito, e peccando gravissimamente contro lo
Spirito Santo.
Dio non può negare se stesso, smettendo di essere giusto. Per amore
verso gli uomini, accetta di sacrificare suo Figlio, in modo che sia
questo e non l'umanità intera, a pagare il prezzo del male.
Dire che Dio è Giusto, tuttavia, non significa limitarne la ‘giustizia’
alla rimunerazione o al castigo: giusto significa soprattutto integro,
senza errore; ed è Dio che ci rende ‘giusti’ a Sua immagine attraverso
la Grazia Santificante – nella misura in cui ci rende ‘Conformi’
all’immagine del Figlio suo, quando gli presentiamo la nostra situazione
di peccato e di errore e chiediamo e accogliamo il Suo perdono: questa è
anche la ‘giustificazione’ che abbiamo per mezzo della “opere della
fede”.
Il peccato causa una lacerazione nella giustizia e nell’ordine della
creazione, impresso dal Creatore, su cui tutto si regge come legge
suprema, tale da rendere l'opera stessa di Dio oscurata, sfigurata nella
perfezione originaria quindi sostanzialmente malvagia.
Se la giustizia non fossa stata prontamente ristabilita dal Padre
attraverso il Sacrificio perfetto del Figlio, la creazione [che
quando è uscita dalle mani del Creatore “era cosa buona” e tale resta
nella sua “essenza” e motivo di Suo compiacimento (Genesi)], avrebbe
testimoniato l’ingiustizia e quindi l'esistenza di un Dio “malvagio”
indifferente verso la sua creazione - col peccato - resa malvagia.
Con un linguaggio antropomorfico certamente improprio, ma ci auguriamo
più chiaro, Dio non potendo tollerare la situazione per cui la sua
opera lo contraddica (poiché in Dio non c’è contraddizione), ha
ricomposto, mediante il sacrificio - che rende sacra, in Cristo,
l'intera creazione - la lacerazione che il peccato ha causato alla
giustizia, compromettendo e corrompendo tutto il creato.
Ecco come Dio si placa tramite il Sangue del suo Figlio. Non un atto
di estremo sadismo, ma al contrario, un atto di estremo amore
(risparmiandoci il peso di un tale pagamento) e di estrema giustizia
(dovendo il male arrecato, essere rimediato per ristabilire l'armonia
creata da Dio nella grazia, senza macchia di peccato).
Chi vede in Dio un sadico, nel Sangue versato qualcosa di turpe, non
è in grado di pensare a Dio come l'essere perfettissimo, in cui amore e
giustizia sono al colmo della perfezione, ma al contrario lo deve
ridurre a categorie umane, deve prostituirne la giustizia con il
buonismo, insinuando la bestemmia che vorrebbe fare anche di Dio un
giudice di “manica larga”, che perdona un po' tutti, senza criterio e fa
finta di non vedere per quieto vivere.
Il sangue rappresenta la vita, così come dirà il Levitino, “La vita di
una creatura risiede nel sangue” (Levitico 17,11). E la Vita Divina:
il Sangue che salva è stato dato all’uomo per renderlo da peccatore
meritevole del fuoco eterno dell’inferno, giusto senza peccato.
“Prendete e bevetene perché questo è il calice del mio Sangue, il Sangue
dell’Alleanza Nuova ed Eterna, che sarà versato per voi e per la
moltitudine degli uomini per il perdono [o meglio in espiazione]
dei peccati” .
Il peggiore insulto che si può fare a Dio (e anche il peggiore danno
che si può arrecare a se stessi, poiché si smette di praticare la
giustizia) è di crederlo un buonista, ossia un ingiusto. E' una
bestemmia grave, rivolta a Chi, infinitamente Misericordioso e
infinitamente Giusto, ha sacrificato senza esitare suo Figlio. E' una
grave forma di ingratitudine.
Accogliendo il Sacrificio perfetto, Dio è in grado di ristabilire
l’armonia, tramite la mediazione di Cristo, tra Dio e la sua creazione
la quale, liberata per effetto della redenzione dalla cappa opprimente
del peccato, è in grado di ricevere nuovamente la grazia, che le era
stata tolta dal male stesso.
Per questo oltre ad essere offerto in espiazione, per placare la
giusta collera di Dio e in soddisfazione del danno arrecato alla
creazione e all'onore del creatore, il Sacrificio ha anche valore
impetratorio: esso è offerto per ottenere da Dio le grazie
necessarie alla salvezza. La grazia è ottenuta dall'azione sacerdotale
di Cristo, pontefice tra il Cielo e la terra: Egli, così
come eleva a Dio la richiesta dell'umanità, distribuisce anche all'uomo
ogni Grazia, mediante i sacramenti e in special modo la Santa e Divina
Liturgia, che rinnova i frutti del Sacrificio ogni volta in cui
viene celebrata.
Il Culto Sacrificale
è iscritto naturalmente nel cuore dell’uomo
In che rapporto concepire gli antichi sacrifici, nei confronti di
quello perfetto, di Cristo? Tanto quelli svoltisi nell'ebraismo, quanto
quelli pagani, avevano il carattere di preparazione e di introduzione
figurale, simbolica, all'unico Sacrificio del calvario, che tutti
riassume, porta a compimento e supera.
Dice il Concilio di Firenze:
“La Chiesa crede fermamente, professa e insegna che le
prescrizioni legali dell'Antico Testamento, cioè della legge mosaica,
che si dividono in cerimonie, sacrifici sacri e sacramenti, proprio
perchè istituite per significare qualche cosa di futuro, benché adeguate
al culto divino di quell'epoca, dal momento che è venuto il nostro
signore Gesù Cristo, da esse prefigurato, sono cessate e sono cominciati
i sacramenti della nuova alleanza. Essa insegna che pecca mortalmente
chiunque ripone, anche dopo la passione, la propria speranza in quelle
prescrizioni legali e le osserva quasi fossero necessarie alla salvezza,
e la fede del Cristo non potesse salvare senza di esse [...] dopo
l'annuncio del vangelo non possono più essere osservate, pena la perdita
della salvezza eterna” Cfr. Concilio di Firenze, Bolla “Cantate
Domino”, 4-2-1442.
Confermato da Benedetto XVI che dice:
“In questo modo Gesù inserisce il suo novum radicale all'interno
dell'antica cena sacrificale ebraica. Quella cena per noi cristiani non
è più necessario ripeterla. Come giustamente dicono i Padri, figura
transit in veritatem: ciò che annunciava le realtà future ha ora
lasciato il posto alla verità stessa. L'antico rito si è compiuto ed è
stato superato definitivamente attraverso il dono d'amore del Figlio di
Dio incarnato. Il cibo della verità, Cristo immolato per noi, dat ...
figuris terminum” Cfr. Sacramentum Caritatis n°11.
Fa tremare i polsi leggere simili righe, riflettendo sul fatto che
oggi nei seminari, nelle parrocchie e in certi movimenti si copiano e si
praticano i rituali ebraici, credendo di “riscoprire” le radici della
fede Cristiana!
Gli antichi riti prefigurano l'unico Sacrificio di Cristo. Dio (non
li desidera ma) li consente affinché l'umanità possa adeguatamente
prepararsi, in modo via via più perfetto, a ricevere il Sacrificio
totale, accostandosi ad esso tramite le pratiche antiche e secolari.
Ogni religione che si definisca tale, ha un impianto rituale
sacrificale, in cui sono riconoscibili alcuni elementi.
La purezza della vittima, la necessità della violenza, molto spesso il
pasto rituale dell'animale “reso sacro” tramite l'immolazione, il
Sacerdote come tramite tra la divinità e l'uomo, il potere del sangue di
placare l'ira degli dei, il senso di espiazione delle colpe.
Le culture tradizionali sono arrivate alla formulazione di questa
forma di religione naturale, tramite la riflessione e l'uso della
ragione.
Hanno conosciuto Dio, che si è rivelato loro nelle opere che ha
compiuto, ed essi hanno tentato di rendergli culto, come meglio potevano
esprimerlo.
Era tuttavia un tentativo positivo di affermare l'esistenza di Dio e le
principali verità religiose, conoscibili tramite la tradizione
primordiale e la ragione.
Meraviglia che Dante, e il mondo medioevale avessero una vera
devozione nei confronti di Virgilio, che in più di una occasione, nelle
sue opere aveva scritto con toni ed immagini simboliche quasi cristiane.
In realtà gli antichi erano certi del fatto che anche i pagani
annunciavano, attendevano e traducevano nei loro miti, l'attesa di una
redenzione e la venuta del Messia. Agli ebrei Dio stesso chiese di
praticare in modo cruento (e sanguinario) i sacrifici, con l'intento di
preparare simbolicamente il Sacrificio di Gesù, attraverso la fede nella
salvezza venuta dal sangue versato.
Ciò che i pagani riuscirono a fare con le sole loro forze
naturali, agli ebrei fu anche chiesto direttamente dalla Legge.
Ciò che conta è la giusta chiave di lettura di tutto ciò: non è la
Messa a “copiare” i sacrifici e la mentalità pagana, ma al contrario, i
pagani e gli antichi ebrei, avevano figuratamente anticipato con i loro
riti - solo simbolici - quello che si sarebbe realizzato con il Calvario
e la santa Messa.
“Con la Messa, il Redentore ha voluto che quel Sacrificio, dato
una volta per tutte, perfetto, sul calvario, accompagnasse la religione
in ogni tempo, in modo perpetuo e perenne” Cfr. Leone XIII,
Enciclica “Caritatis Studium”, 25-7-1898.
In particolare, attraverso la Divina Liturgia la Chiesa ha fatto in modo
di introdurre i fedeli al mistero di Cristo, arricchendo la primitiva
celebrazione che avvenne durante l'ultima cena pasquale della antica
alleanza, con quegli elementi simbolici e quei segni, in grado di dare
visivamente l'idea del trionfo della gloria di Dio sulla morte e sul
peccato, e che non erano presenti nella mestizia ancora in fieri del
cenacolo.
Di questo si parlerà meglio affrontando l'analisi dell'Enciclica
Mediator Dei, di Pio XII. Qui basterà notare come il Beato Pio IX
sottolinei come il fasto e la magnificenza degli apparati e la
complessità delle cerimonie di cui si è arricchita nel corso dei secoli
la liturgia, sono voluti da Cristo stesso, al fine di rappresentare lo
splendore del mistero celeste.
Questo, contrariamente a quel culto insano della “nobile semplicità”,
che vorrebbe che i riti ritornassero a riflettere la loro forma
“apostolica”, puramente agapica o addirittura, ebraica (ignorando tra
l’altro totalmente gli splendori delle liturgie ebraiche unicamente
sacrificali del Tempio di Gerusalemme, oramai per sempre distrutto),
contro ogni pronunciamento della Chiesa in merito.
L’intenzione del
Sacerdote è necessaria per la validità della Messa
Tramite la messa, nella Chiesa ad opera dei sacerdoti viene reso
sempre attuale, l'unico Sacrificio perfetto e gradito a Dio. La
grandezza di questo sacramento è tale da renderlo di gran lunga il più
importante e venerabile, mediante il quale è realizzata pienamente
l'opera di presenza continua di Cristo nel mondo. Tramite questo
sacramento, vengono sparse sulla Chiesa e sul mondo, le grazie che
Cristo ha meritato una volta per tutte sul calvario.
La partecipazione è quindi massimamente utile alla salvezza delle anime,
e per questo la Chiesa ha sempre invitato i fedeli, con l'istituzione
del precetto festivo, a recarsi alla celebrazione liturgica, per poter
usufruire di quel tesoro di grazie che continuamente viene offerto da
Cristo tramite i sacerdoti, che agiscono in persona Christi, in
ogni parte del mondo.
In particolare, il Beato Pio IX pone l’accento, per aumentarne la
consapevolezza, sul significato particolare che nel Sacerdozio, riveste
l'ufficio della cura d'anime, indispensabile per la salvezza del popolo
di Dio. Infatti, in particolar modo riguardo alla messa, i sacerdoti in
cura d'anime, come ad esempio i parroci nelle loro parrocchie, sono
tenuti a celebrare il Sacrificio, applicandolo per il popolo a loro
affidato (cfr. Can 534§1).
Pio IX espone un caso di specie, evidentemente frequente alla sua epoca,
per stimolare i sacerdoti e i vescovi a riflettere sul grande valore dei
doveri annessi alla cura delle anime.
Applicare una messa, significa chiedere a Dio, nell'intenzione del
celebrante, che le grazie legate alla celebrazione del Sacrificio e
scaturenti da esso, si riversino in modo particolare sul soggetto
indicato dal celebrante stesso.
L’intenzione è la disposizione o tendenza dell'animo verso un
determinato scopo, desiderio, volontà o proponimento.
Vi possono essere allora diverse specie di intenzione, a seconda che il
celebrante applichi la messa “pro populo”, ossia per le anime che
ha in cura, secondo le intenzioni del Papa o del vescovo, in casi
particolari o particolari festività, e nelle messe private, in cui il
celebrante stesso liberamente chiede a Cristo di destinare le grazie ad
un soggetto particolare, secondo la sua o altrui privata intenzione.
In genere è consuetudine che il prete percepisca una offerta, in
cambio della celebrazione di una messa “privata”, in uno dei giorni in
cui non è tenuto ad intenzioni diverse e stabilite dal diritto, con
l'applicazione della intenzione particolare indicata da colui che fa
l'offerta. Mentre il Sacerdote che celebra una messa pro populo,
per diritto non può e non deve applicare a questa messa altre intenzioni
(per cui è prevista offerta economica).
La messa pro populo quindi è una Messa che viene celebrata senza
che il Sacerdote percepisca alcun compenso.
Pio IX ricorda come Papa Urbano VIII avesse provveduto a eliminare il
precetto da alcune solennità, che a causa del mutare delle abitudini del
popolo di Dio, rischiavano di cadere in desuetudine. Si pensa infatti,
che tra il 1500 e il 1600, il precetto festivo fosse così accentuato,
che all'incirca un terzo dell'intero anno solare fosse dedicato alla
santificazione di feste, relative ottave, vigilie ecc.
Se si aggiunge poi in ogni Chiesa locale, l'enorme numero di solennità
proprie, di santi la cui festa era celebrata localmente (magari con
traslazione della festa della Chiesa universale, che veniva a cadere
subito dopo), ci si rende conto di come una riforma delle feste era
necessaria, per rendere possibile l'attività lavorativa.
Ciò, detto senza malizia, in concomitanza con l'affermarsi nell'Europa
del nord del protestantesimo, specialmente del calvinismo, che
conoscendo un solo riposo settimanale, e null'altro, risultava molto più
favorevole alla formazione di una economia moderna e capitalista.
Urbano VIII decise di eliminare l'obbligo per il popolo di astenersi dal
lavoro e di andare alla messa, in un discreto novero di festività.
Ma non eliminò, consapevole del beneficio che ne sarebbe derivato
alle anime, l'obbligo per i curati di applicare anche in quei giorni di
precetto soppresso, la messa pro populo.
Pio IX interviene lamentando come in parecchi casi, i parroci, al fine
di percepire un maggior numero di offerte, sostituissero la celebrazione
delle feste soppresse con altrettante messe private (all'epoca, in luogo
della messa feriale, era consuetudine celebrare la messa “quotidiana”
dei defunti, con i paramenti liturgici in nero). Così facendo,
indebitamente percepivano le offerte, e nello stesso tempo
disgraziatamente privavano le anime dei fedeli dei benefici spirituali
connessi alla applicazione della messa pro populo.
Pio IX è categorico: l'ufficio di curato è caratterizzato in modo
particolare dall'obbligo di applicare la messa per le anime in cura.
Tale onere è veramente rappresentativo di come il Sacerdote sia
costituito veramente pastore del popolo che gli è affidato. Il suo
ministero particolare implica un dovere reale nei confronti del suo
popolo.
Il
Sacerdote è
chiamato da Dio ad offrire il Divino Sacrificio, sacrificando se
medesimo
Il Sacerdote della stirpe di Aronne, chiamato a prestare il
suo servizio al Tempio, era sostanzialmente un macellaio:
svolgeva un lavoro che consisteva nel sacrificare gli animali
sgozzandoli sull’altare del Tempio, sezionale le parti che andavano
bruciate subito e le parti che venivano offerte e poi consumate dal
sacerdote stesso. Non era tenuto ad avere alcun trasporto emotivo,
menchemmeno spirituale. Era un semplice lavoro ottenuto non per
vocazione ma per famiglia di appartenenza.
Il Sacerdozio di Cristo è radicalmente diverso egli è chiamato
senza stirpe di appartenenza a sacrificare e a sacrificarsi per il bene
delle anime che ha in cura.
Sacrificando e sacrificandosi, il curato sparge copiosamente il
sangue di Cristo sul suo popolo, lavandolo e purificandolo con
l'effusione del sangue.
Ogni goccia che il Sacerdote risparmia al suo popolo, si va
concretizzando in anime che non si salvano, in grazie che non vengono
elargite, in peccati che trionfano.
Eppure, quanto è attuale il monito di Pio IX oggi? Se dovessimo oggi
chiedere ai sacerdoti di una grande città, ai parroci, quanti conservano
ancora l'uso di applicare la messa per il proprio popolo?
Spesso questo non avviene, spesso anche nella messa domenicale e
festiva si accumulano intenzioni private, spesso i preti giovani
entrano nel mondo ecclesiale in parrocchie in cui non si celebra la
messa pro populo, imparano così e da parroci smettono di
celebrarla anche loro. Chi ritenendolo un retaggio del passato, chi
direttamente preferendo prendere più offerte.
Scandaloso è confrontarsi con i preti delle generazioni passate dove
i sacerdoti non percependo alcun rimborso mensile come il moderno
otto per mille, potevano vivere e sostenersi solo con questo tipo di
offerte.
Tale malcostume, indica come l'enciclica di Pio IX, nonostante i suoi
150 anni, sia ancora attualissima e importante.
Il Sacerdozio Cattolico
da 40 anni è malato!
Oggi viene chiesto al Sacerdote di essere al “passo con i tempi” come
se in passato non lo fosse stato. I preti in questi ultimi 40 anni hanno
cercato in tutti i modi, di stare con e per il mondo.
Il mondo ha chiesto ai preti di uscire dalla Sacrestia per andare
incontro alla gente. Sono sorti negli anni della grande
industrializzazione i preti operai, così durante la rivoluzione marxista
i preti di lotta e di liberazione, così oggi dove imperversa l’apparire
sono sorti preti televisivi, opinionisti, da poster, preti di teatro, da
musical, tutti sorridenti abbronzati e assolutamente irriconoscibili
perché l’abito “sa di chiuso e retrogrado allontana dalla gente”.
Con questo andazzo purtroppo immancabilmente arriva all’attenzione
pubblica l’inevitabile e odioso scandalo pretesco. Si aprono processi
pubblici verso quegli stessi preti che fino a qualche istante prima
erano considerati i nuovi paladini della cristianità.
Arrivano gli implacabili opinionisti che cercano di analizzare la
società e la Chiesa d’oggi scaricando tutte le responsabilità sulla
condizione infelice dei preti.
Arriva poi il solito Cardinale: un emerito che fa dire ad altri
accanto a se, come un ventriloquo con un pupazzo, con un piede nella
fossa, che anziché apparecchiarsi per la morte, tira fuori la
solita perla: “il prete pecca, perché è solo: e bene che si sposi!”.
Come se il matrimonio sia la panacea di tutti i mali. Svilendo
sia il sacramento dell’Ordine come quello del Matrimonio.
È incredibile come oggi si cercano di risolvere quei problemi che come
al solito, non sono proprio problemi ma sintomi del problema.
Ma la crisi che investe il sacerdozio non è esterna al sacerdote, ma
interna al sacerdote e all’idea di sacerdozio stesso, riformato dopo gli
anni 70.
La modernità ha tolto la chiave di volta che regge tutti i Sacramenti
costituiti dal Sangue, usciti dal costato di Cristo. Togliendo la CHIAVE
DI VOLTA, essi crollano tutti su loro stessi. La chiave di volta è il
SACRIFICIO e la MORTE, attraverso la quale occorre “passare” per essere
introdotti nel mondo della Resurrezione.
Il
Matrimonio e
l’Ordine Sacro sono sorgenti di grazia se sorti dalla morte
Il Matrimonio è un atto grave, come il Sacerdozio. E' un atto grave
perchè implica una responsabilità peculiare: una morte.
Il sacerdote muore al mondo e vive solo in Cristo e come
rappresentazione di Cristo (la talare nera è simbolo della tomba,
della coltre funebre che avvolge la persona interamente e lascia vedere
solo il volto, semplice ricordo di quello che fu la persona prima di
decidere di morire alla vita passata e di vivere come strumento di
Cristo).
Parimenti lo sposo con quel cerchietto d’oro al dito, muore a se
stesso vivendo poi solo in funzione del coniuge, come Cristo è morto
per la Chiesa. Morire a se stessi è un trauma, non è una bella cosa,
esattamente come tutto ciò che riguarda la vita.
L'acqua è simbolo del dolore e della morte (diluvio, mar rosso sopra
agli egizi, ecc.) e il bambino viene introdotto nell'acqua per diventare
Cristiano. Appena nato è subito messo di fronte alla morte: deve morire
rispetto alla sua vita materiale, immanente, di peccato, per poter
vivere nello spirito.
Significa anche che il primo approccio alla vita è con una immagine
della morte: la morte è la costante di tutta la vita. Il bambino
nasce piangendo, nel dolore, nel dolore vive e nel dolore muore.
L'eucaristia è un sacramento in cui Cristo muore per noi. Senso del
cristianesimo è la morte. Non si può vivere se non si muore, non si può
avere la vita eterna se non si decide di sacrificare questa terrena.
Il matrimonio porta a termine una crescita di questi segni continui
che la nostra religione ci propone sulla morte, la morte come passaggio
obbligato per poter santificarsi e vivere. Morte al peccato con il
battesimo, morte a se stessi con il matrimonio.
La morte è comunque un fatto traumatico, che viene reso accettabile da
Cristo, che l’ha trasformata in DONO di Sé. Ed è la reciprocità del
dono, che comporta la crescita di un NOI, al posto di io-tu iniziali
[che, naturalmente, implica anche la crescita personale e crea un clima
vitale e accogliente per i figli, accolti nell’abbraccio di una
relazione resa viva e vitalizzante dal rapporto personale e sacramentale
con Dio nella Chiesa].
Un cristianesimo senza il peso cupo della morte, passaggio obbligato
per la Risurrezione, è un cristianesimo senza senso, senza sacrificio
quindi monco.
Il sacrificio significa diventare sacri, per rendere sacro tutto quel
che ci circonda; ma non possiamo farlo da soli: è in Cristo e per
effetto della Sua Grazia Santificante che veniamo resi capaci di uscire
da noi stessi per guarire dai nostri egoismi, dalle nostre voglie.
In realtà, uscendo da noi stessi, troviamo il nostro vero io, quello che
il Padre genera in Cristo ogni giorno attraverso il nostro essere dono
per gli altri: Eucaristia vivente.
E’ questo che intende Paolo con “offrite i vostri corpi come
sacrificio santo, vivente, gradito a Dio” (uccidendo, morendo, per
diventare sacri noi stessi, dobbiamo uccidere noi stessi con le nostre
voglie, le nostri capricci i nostri egoismi, ecc..) Il matrimonio è uno
strumento con cui noi riusciamo in questo intento (anche la
consacrazione religiosa arriva allo stesso fine) e tramite esso
riusciamo a elevarci soprannaturalmente, una volta sacrificati.
Un matrimonio così come un sacerdozio che non sia sacrificale, in cui
non ci sia il simbolo della morte, non è un matrimonio, non è un
sacerdozio cristiano. Associare il cristianesimo solo alla gioia, il
matrimonio solo alla festa, il sacerdote come un grandioso operatore
sociale è assolutamente sbagliato.
La gioia c'è anche, se è la gioia susseguente al sacrificio, una
gioia pura immensa l’unica che riesce a dare vero senso all’esistenza, è
la gioia della Croce, che solo chi l’ha realmente sperimentata può
capirla. Le altre “gioie” mondane portano alla disperazione e alla
dannazione.
La resurrezione necessita della croce per poter esistere.
Diversamente concepire l'esistenza, il sacerdozio e dunque anche il
matrimonio, solo come aspetto gioioso, senza l'aspetto grave del
sacrificio, significa immanentizzarlo.
La porta che permette il salto dalla immanenza alla trascendenza è
appunto la morte, il Sacrificio. Come con la morte siamo trasportati
al cospetto di Dio, così con le varie morti simboliche che noi compiamo
nella nostra ascesa spirituale, noi saliamo dalla immanenza alla
trascendenza.
Morire significa abbandonare il piano terreno per quello divino.
Diversamente, se non si muore, se il seme non muore, non da frutto. E
così anche i sacramenti, se non hanno in sé la morte, non producono
frutto.
Rendere l'eucaristia la “festa dello stare insieme” ha annullato
l'efficacia di questo sacramento e di conseguenza ha annullando la
figura del Sacerdote. È l’Assemblea che da senso alla Messa non è più il
Sacerdote che si offre offrendo la Vittima: Cristo altare sacerdote e
sacrificio, come ricorda la Lettera agli Ebrei!
Il Sig. Kiko Arguello propaganda molto bene questa visione
distorta:
“Non c’è Eucaristia senza Assemblea. È un’Assemblea intera che celebra
la festa e l’Eucaristia; perché l’Eucaristia è l’esultazione
dell’Assemblea umana in comunione; perché il luogo preciso in cui si
manifesta che Dio ha agito è in questa Chiesa creata, in questa
comunione. È da questa Assemblea che sgorga l’Eucaristia” Cfr. Sig. Kiko
Arguello in Orientamenti alle équipes di catechisti per la fase
di conversione, p. 317.
Rendere il matrimonio “la festa degli sposi”, ha causato
divorzi e separazioni per ogni minima incombenza caratteriale.
Rendere il battesimo la festa “del bambino che è nato”, ha
reso completamente indifferente la vita prima e dopo questo segno, per
cui i battezzati non vengono poi educati alla fede come richiesto dalla
Chiesa.
Eliminare la morte ha significato immanentizzare e quindi
desacralizzare i sacramenti, banalizzandoli, rendendoli futili, in
moltissimi casi direttamente nulli.
Sacerdote è vittima
Il sacerdote deve morire al mondo, accettare la croce, accogliere la
morte distendersi senza fiatare sul legno della solitudine. Non c’è
altra via di realizzazione di questa vocazione!
Perché il Sacerdote sia veramente degno del Sacrificio che compie,
perché il suo Sacrificio sia veramente valido, gradito a Dio, e riversi
sulla Chiesa tutte le grazie che esso può e deve meritare, è necessario
anche un contributo che potrebbe arrivare fino all’effusione del suo
sangue.
Il Sacerdote è chiamato ad identificarsi completamente con Cristo nel
contempo Sacerdote e Vittima. Non solo tramite l'azione sacra, in cui
Cristo agisce personalmente, al posto del ministro e tramite il
ministro.
Il Sacerdote è chiamato a costituire una immagine viva di Cristo, una
ostia vivente, rappresentazione nella santità individuale e nella
massima attenzione alla gravità del suo compito Ministeriale, del
Cristo. Tale santità, si esprime tanto nella realtà spirituale del
prete, quanto in quella materiale e corporale.
L'imitazione di Cristo deve essere totalizzante, per poter offrire la
vittima con “mani pure e cuore mondo”, espressione assai felice, che
rende visivamente l'elemento della materia (mani) e dello spirito
(cuore), nell'unità trascendente della persona, che nella sua integrità,
lontana dal peccato, si deve immolare, allo stesso modo in cui Cristo si
è immolato.
La liturgia, permette al Sacerdote di diventare una cosa sola con
Cristo, anche attraverso la pratica rituale dei segni, dei simboli e
tramite l'osservanza scrupolosa e amorevole delle rubriche.
Non è pedanteria, né mania formalista. Con la rubrica il Sacerdote
riesce ad ottenere l'annullamento della propria individualità,
modellando la propria postura, la propria fisicità, la propria
interiorità, ad una catena ininterrotta di movimenti, posizioni, gesti e
segni, che ha origine in Cristo stesso e viene perpetrata per
continuarne la “memoria”.
L'uso del lino per il camice o per la tovaglia non è una richiesta
leziosa. Esprime la necessità che l'identificazione sia totale,
attraverso l'uso degli indumenti che l'eterno Sacerdote che si
impersonifica indegnamente, rivestì.
Così, anche gli altri oggetti e gli altri ornamenti, non sono casuali.
Purtroppo manca alla modernità una coscienza rituale simbolica, poiché
la modernità pecca di mancanza di trascendenza.
La Liturgia da sacra
è diventata utile
La modernità è totalmente immanente, e il simbolo cozza contro
l'immanenza, essendo esso la porta che permette di saltare dal mondo
immanente a quello trascendente.
Il male moderno è penetrato anche nella Chiesa, che ha operato e
talvolta tollerato, semplificazioni e rivoluzioni liturgiche ai limiti
del folle.
Riti svuotati di sacrale trascendenza, riportati ad un livello di
piatta fruizione immediata, senza alcun rimando, senza alcuna
elevazione. Gesti soppressi, movimenti aboliti, vesti vietate, simboli
eliminati in virtù di una loro riscoperta “inutilità”.
Il concetto di “utile” è caro alla modernità, ma sconosciuto alla
tradizione.
Un paramento non ha una utilità. Un gesto non è utile o vantaggioso.
Un manipolo non produce un guadagno in chi lo usa. La liturgia non
può essere praticata nella sfera dell'utilitarismo materialista, a meno
di non volerla snaturare completamente dal suo fine: rappresentare sulla
terra ciò che è il mistero eterno del cielo, rendendolo presente e vivo,
in modo miracoloso.
La liturgia utile rende la proclamazione della parola di Dio un corso
di Bibbia. La liturgia utile rende lo scambio della pace un atto di
crudele ipocrisia tra sconosciuti. La liturgia utile rende la gente più
consapevole del proprio ruolo sociale, come disse Paolo VI che vedeva
nella nuova Messa più che mai “una tranquilla ma impegnativa palestra
di sociologia cristiana” Cfr. Udienza Generale di Paolo VI,
Mercoledì, 26 novembre 1969.
Istruire, fare comunità, fare carità, infondere la pace tra tutti.
Tante parole vuote ed inutili quando si toglie di mezzo il mistero che è
soprattutto rappresentato nel Sacrificio che è spargimento di Sangue che
toglie i peccati, e solo questo.
Il mistero non è materiale, sfugge alle leggi dell'utilitarismo. Il
mondo moderno si riprenderà dalla sua crisi, quando si accorgerà che
l'umanità ha solo un interesse che sia utile, anzi necessario: La
salvezza che viene dal Sacrificio di Cristo.
L’immoralità,
l’apostasia, il Male dilagano perché c’è il moltiplicarsi di Messe
invalide
La Santa Messa celebrata da un Sacerdote cattolico che, nelle sue
remote intenzioni nega che negli atti che compirà, si attualizzerà
realmente il Sacrificio di Cristo, - con una nuova effusione di Sangue
per il perdono dei peccati - si può considerare valida?
È una domanda gravissima che va affrontata con umiltà e fermezza
dottrinale!
Si è parlato nei secoli se la condotta peccaminosa di un Sacerdote
potesse rendere invalida la Messa.
La risposta fu chiara e decisa: la condotta del prete non può rendere
invalida la Messa, solo l’intenzione segreta di agire contro la volontà
della Chiesa, solo questa intenzione del Sacerdote può rendere invalido
il Sacrificio.
Il Concilio di Trento definì il 3 marzo 1547 contro Lutero che i
sacramenti conferiscono la grazia ex opere operato (can. 8), per
ciò che dipende da Dio (can. 7):
“Se alcuno dirà che i sacramenti della nuova legge non
conferiscono la grazia per propria ed intima efficacia (ex opere
operato) ma che per conseguire la grazia basta la fiducia nelle divine
promesse, sia scomunicato.” Cfr. Sess. VII, ca. 8; Denz 851.
Ex opere operato significa letteralmente “operato dall'opera stessa”, o
meglio, “realizzato per il semplice fatto di aver compiuto l'opera”. Si
parla di questo nel concilio di Trento, a proposito dei sacramenti, che
a differenza di altre azioni liturgiche della Chiesa, non necessitano la
santità di condotta del ministro o di chi le riceve per essere efficaci,
ma al contrario hanno effetto automatico.
Ad esempio l'uso di oggetti sacri, non ha effetto “ex opere operato”,
come se si trattasse di talismani, ma al contrario “ex opere operantis”,
ossia, attraverso mediante la condotta di colui che lo fa.
Il rosario benedetto, per intenderci, ti aiuta se lo usi pregandolo con
devozione e fede, non per il solo fatto di possedere tale oggetto.
Invece l'eucaristia, non dipende da quelle che sono le private
intenzioni del ministro o di colui che la riceve, per realizzarsi. E' la
celebrazione del sacramento stesso, che in virtù del mistero liturgico,
in cui il Sacerdote non agisce per sé, ma in persona Christi, che
ha efficacia. Vuol dire che è Cristo che celebra ogni sacramento, con la
sua intenzione e con la sua santità. E' vero che conta l'intenzione e la
santità del ministro perchè il sacramento sia efficace, ma nel caso, il
ministro è Cristo, per cui la sua intenzione e la sua santità sono
perfette.
Molti eretici hanno negato la validità dei sacramenti celebrati da
ministri non santi, come se un prete buono consacrasse, al contrario di
un prete sporcaccione. In realtà, né l'uno né l'altro possono essere
abbastanza buoni da compiere un Sacrificio divino, che richiederebbe
perlomeno che il Sacerdote fosse Dio a sua volta. Per questo il
Sacrificio è di Cristo e viene celebrato da Cristo, sempre.
Il ministro non conta, non conta la sua fede, non conta la sua
devozione, non conta la sua moralità, poiché nella celebrazione il
ministro viene meno, e Cristo prende possesso della persona umana,
agendo al posto suo. Ma la cosa che conta è SOLO UNA: che abbia
l’intenzione di fare quello che fa la Chiesa.
Pertanto il concilio di Trento ha voluto ribadire contro i protestanti
che affermavano la necessità (come i donatisti) che il ministro fosse
puro per la validità dei sacramenti, che i sacramenti agiscono “ex opere
operato”, poiché non dipendono dall'uomo, ma da Dio solo, che agisce
come Sacerdote.
Questo vale per tutti i sacramenti, anche per il matrimonio.
Tuttavia, è necessario distinguere e comprendere. E' vero che
l'eucaristia è valida anche se il Sacerdote non crede.
Ne è dimostrazione ad esempio il miracolo eucaristico di Lanciano,
dove un prete che non credeva alla transustanziazione, vide l'ostia
tramutarsi in pezzo di carne e il vino in sangue, miracolosamente, dopo
le parole della consacrazione, dette senza fede, ma valide.
La Chiesa per la validità di un sacramento, chiede che sussistano due
requisiti, di forma e di materia.
La materia appartiene al segno sacramentale, ed è l'acqua pura
per il battesimo, l'olio di oliva per la cresima e l'estrema
unzione, l'accusa dei peccati vocale e il pentimento per l’assoluzione,
l'imposizione delle mani per l'ordine, il pane di frumento e il
vino d'uva naturali per l'eucaristia, lo scambio contrattuale
della proprietà e della disponibilità del corpo di uno sull'altro (jus
in corpore) per il matrimonio.
Quanto alla forma, sono le formule legittimamente approvate
dalla Chiesa, contenute nei libri liturgici per ciascun sacramento. Per
il matrimonio, è sufficiente che lo scambio della mutua disponibilità
del diritto sul corpo del coniuge sia resa evidente con qualsiasi parola
o gesto, e la Chiesa ha mutato molte volte la formula.
Ma soprattutto oltre a tutto questo, è richiesta da parte del
ministro per la validità, che vi sia una intenzione remota di
fare quello che fa la Chiesa quando celebra il sacramento.
L'intenzione si distingue tra remota e prossima,
nel senso che se il ministro intende effettivamente consacrare (per
esempio) il pane e il vino che ha di fronte, in quella circostanza
liturgica, nel corpo e nel sangue di Cristo, la sua intenzione è
prossima, cioè direttamente collegata al fine che si vuole
conseguire.
E' invece remota se non è direttamente collegata, ma solo
indirettamente collegata al fine che si vuole conseguire. Ossia ad
esempio un Sacerdote, che vuole semplicemente fare ciò che la Chiesa fa,
mentre si dicono le parole sui segni sacramentali, adeguandosi alla
intenzione generale della Chiesa, ma senza averne una sua propria
particolare.
E' il caso del prete che non sa se il sacramento è valido, ma celebra
ugualmente volendo fare ciò che tutti fanno, e dunque questa intenzione
generale della Chiesa, supplisce alla scarsità della sua intenzione
individuale (supplet ecclesia) rendendo comunque valido il
sacramento, in virtù dell'azione di Cristo.
Tutto ciò diventa chiaro se si legge la formula che i sacerdoti
sarebbero tenuti a recitare prima della Santa Messa.
“Intendo celebrare questa Eucaristia e consacrare il Corpo e il
Sangue di nostro Signore Gesù Cristo, secondo il rito di Santa Romana
Chiesa, a lode di Dio Onnipotente e di tutta la sua corte celeste per il
mio bene e quello di tutta la Santa Chiesa militante e per tutti coloro
che si sono raccomandati alle mie preghiere, in modo generale e in modo
particolare, come anche per il felice stato della Santa Chiesa Romana”.
Trad. italiana, Cfr. PRÆPARATIO AD MISSAM, Missale Romanum, 1962
e 2001.
Occorre però quindi, almeno l'intenzione generica di fare un
sacramento, secondo la fede comune della Chiesa, che per ignoranza o
incapacità, non si condivide o si conosce.
Per questo motivo se dei sacerdoti professassero in cuor loro senza
alcun dubbio le affermazioni sopra esposte dello Zollitsch e
dell’ Arguello che dichiarano di non credere nel Sacrificio di
Cristo, di non credere che la santa Messa sia un Sacrificio con una
reale effusione di Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo per il perdono
dei peccati, si potrebbe seriamente dubitare che le Messe possano
rendere presente nostro Signore Gesù Cristo.
Anche perché costoro eventualmente sposando le sovrascritte
dichiarazioni non si adeguerebbero nemmeno all’ Intenzione di fare
quello che fa la Chiesa, perché al contrario affermerebbero
pugnacemente che la Chiesa è retrograda e ignorante, perché afferma
ancora, a dir di loro, che l'Eucaristia è sacrificale mentre loro hanno
capito, in base a presunti studi e approfondimenti, che sacrificale non
lo è per niente.
Le
dichiarazioni
dello Zollitsch
Le dichiarazioni dello Zollitsch sono di una gravità sconcertante non
solo perché professate spavaldamente ma anche perché professate da un
Arcivescovo che è stato eletto democraticamente come Presidente della
Conferenza Episcopale Tedesca.
Certo è, che se si arriva ad una così “chiara” dichiarazione – sia
pur seguita da un tardiva ritrattazione per mezzo di un articolo che ha
tutta l’aria di essere un espediente formale – senza una sola voce
fuori dal coro dell’Episcopato Tedesco, questo ci fa supporre che
questo tipo di credo eucaristico se non è professato almeno è
tollerato. Ma questo credo è palesemente contrario al Credo
Eucaristico professato dalla Chiesa Cattolica.
Le dichiarazioni di Arguello
Le dichiarazioni di Arguello sono anch’esse di una gravità
sconcertante ma fatte da un fondatore di un movimento che non è
né Vescovo, né sacerdote. Ma non per questo sono meno gravi.
L’Arguello con alcuni sacerdoti e catechisti in questi 30 anni avrebbe
“interpretato” o forse è meglio dire “riscoperto” un nuovo è più
“autentico” modo di proporre l’eucaristia.
In realtà non ha fatto altro che introdurre quello che Pio XII
condannò senza mezzi termini come “archeologismo liturgico” con
l’aggiunta da parte dell’Arguello di elementi sincretistici ed altri
completamente arbitrari. Così come un artista ha interpretato a
suo modo, la realtà dipingendo e imponendo un suo modo di
fare eucarestia.
Non intendiamo analizzare la sua interpretazione eucaristica
(composta da un modo particolare, per esempio, di realizzare l’arredo
dello spazio sacro e di imporre un tipo preciso di postura del corpo
durante il rito, o di proporre un solo ed unico stile musica sacra, che
sempre accompagna il rito, ecc), ci limiteremo solo a sottolineare il
suo credo eucaristico costruito sul rifiuto categorico di
considerare la sua eucaristia come incruento spargimento del
Preziosissimo Sangue di Nostro Signore per il perdono dei peccati. E
della sua ambigua professione di fede sulla presenza di Gesù nel
Santissimo Sacramento al termine della Celebrazione Eucaristica.
Tutto ciò sarebbe comprovato almeno per quel che riguarda alcune
prassi non scritte dei sacerdoti del Cammino, di eliminare dalla
Messe celebrate la preghiera che il Sacerdote rivolge a Dio prima della
preghiera detta “Sulle
Offerte”:
V/ Pregate fratelli perché il mio e vostro sacrificio sia
gradito a Dio Padre Onnipotente.
R/ Il Signore riceva dalle tue questo Sacrificio a Lode e
gloria del tuo nome per il bene nostro e per tutta la tua Santa Chiesa”.
O per quel che riguarda la presenza Reale, di spiegare in opportune
catechesi che l’eucaristia non sarebbe altro che una “presenza-passaggio
del Cristo che, ovviamente, dopo il passaggio, non rimane più dentro il
pane”. Cfr. Annuncio di Pasqua 2008.
Quindi per le interpretazioni Kikiane non avrebbe – e in effetti
nelle chiese disegnate da lui non lo ha – alcun senso un tabernacolo
nella chiesa.
A nulla servono poi le repentine correzioni simboliche date
per esempio quest’anno a tutte le Comunità Neocatecumenali come le
lunghissime Adorazioni Eucaristiche proposte a tutte le numerose
comunità sparse per il Mondo.
Per il clamore che le sue parole hanno generato in tutto il Mondo
queste pie dimostrazioni non richieste da alcun evento
ecclesiale, fanno nascere il sospetto che voglia coprire con un gesto
eclatante un suo credo eucaristico professato nell’Annuncio
di Pasqua 2008 pugnacemente proclamato perché ad oggi, mai smentito né
tantomeno, palesemente rinnegato.
[Uno degli esempi più recenti: la chiesa realizzata sull’ispirazione
artistica di Kiko a Roma intitolata a San Massimiliano Kolbe voluta dal
Cardinal Ruini, realizzata dal Vescovo Mandara e benedetta e consacrata
dal Card. Vallini il 26 aprile 2009, NON ha il tabernacolo! Il
tabernacolo sarebbe presente solo nella cosiddetta cappellina
feriale e il fedele per adorare il Santissimo Sacramento, deve
uscire fisicamente dalla Chiesa, e dal sagrato, entrare nella
cappellina feriale].
Ma secondo sempre alcune presunte catechesi (perché Kiko ha riproposto
per il suo Cammino un percorso “misterico” per i suoi seguaci, preti e
laici, che è caratterizzato dall'obbligo di non profanare i segreti:
le catechesi, che devono con il loro contenuto, rimanere coperte
dall’arcano) l’eucaristia ha anche un’ ulteriore e forse
pominente valenza.
La messa è Banchetto escatologico, così come è descritto in Luca:
“Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui
poveri, storpi, ciechi e zoppi. Il servo disse: Signore, è stato fatto
come hai ordinato, ma c'è ancora posto. Il padrone allora disse al
servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché
la mia casa si riempia. Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che
erano stati invitati assaggerà la mia cena»”. Cfr. Luca 14,16-24.
Cristo stesso per l’interpretazione pittorica (non certo teologica o
liturgica) al servo buono e fedele al termine della vita passerà e li
servirà.
Kiko
celebra la
pasqua ebraica
Dall’intervista rilasciata il 16 giugno 2008
“Noi l’abbiamo finora sempre fatta da seduti, e non per disprezzo
– ha affermato - ma perché per noi è sempre stato molto importante
comunicarsi anche con il Sangue. Nelle comunità portiamo avanti infatti
una catechesi basata sulla Pasqua ebrea, con il pane azzimo a
significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del vino a
significare la Terra promessa”.
[E qui, aprendo una lunga parentesi, l’iniziatore ha riassunto la sua
catechesi sull’ultima cena, sul pane e sul vino:]
“Quando nelle cena della Pasqua ebraica si scopre il pane si parla
di schiavitù, quando si parla della Terra promessa scoprono il calice,
la quarta coppa. In mezzo a questi due momenti c’è una cena, quella nel
corso della quale Gesù disse “Questo è il mio Corpo” (a significare la
rottura della schiavitù dell’uomo all’egoismo e al demonio) e “Questo è
il mio Sangue” (a significare la realizzazione di un nuovo esodo per
tutta l’umanità)”.
Più tardi ha continuato Kiko,
“I cristiani toglieranno la cena e metteranno insieme il pane e il
vino. Ora, nel Cammino abbiamo molta gente lontana dalla Chiesa,
non catechizzata, e nei segni del pane azzimo (la frazione del pane) e
del vino noi diamo visibilità a quei significati”. “Abbiamo scelto di
fare la comunione seduti –
ha affermato Kiko avvicinandosi al cuore della questione
– soprattutto per evitare che si versasse per terra il Sangue di
Cristo. ... Il fedele seduto, questi ha il tempo di “accogliere
il Calice con tutta calma e senza movimenti bruschi, di portarlo alla
bocca, di comunicarsi con tranquillità e in modo solenne”. “Seduti come
seduto era anche Gesù”,
ha specificato Carmen alla sua destra. Dal canto suo padre Mario Pezzi
rilevava che la decisione originaria di comunicarsi seduti era stata
presa di comune accordo con la Congregazione per il Culto Divino e con
il cardinal Mayer, prefetto fra il 1984 e il 1988.
Il rito che viene identificato come Messa per le Comunità
Neocatecumenali è incentrato sulla Pasqua ebrea, con il pane
azzimo a significare la schiavitù e l’uscita dall’Egitto e la coppa del
vino a significare la Terra promessa. Prendono poi il Sangue di Cristo
seduti per non versarlo e perché Gesù lo ha bevuto seduto.
Gesù non
ha celebrato la
pasqua ebraica
Ricordiamo che Gesù non ha
celebrato la pasqua ebraica ma una “nuova Pasqua” slegata dalla
tutta la simbologia e ritualità ebrea perché l’ha celebrata il giovedì e
non il venerdì.
“Secondo Giovanni, Gesù morì sulla croce precisamente nel momento in
cui, nel tempio, venivano immolati gli agnelli pasquali.
La sua morte e il sacrificio degli agnelli coincisero. Ciò significa,
però, che Egli morì alla vigilia della Pasqua e quindi non poté
personalmente celebrare la cena pasquale...
Siamo ora in grado di dire che quanto Giovanni ha riferito è
storicamente preciso.
Gesù ha realmente sparso il suo sangue alla vigilia della Pasqua
nell’ora dell’immolazione degli agnelli. Egli però ha celebrato la
Pasqua con i suoi discepoli probabilmente secondo il calendario di
Qumran, quindi almeno un giorno prima – l’ha celebrata senza agnello,
come la comunità di Qumran, che non riconosceva il tempio di Erode ed
era in attesa del nuovo tempio.
Gesù dunque ha celebrato la Pasqua senza agnello – no, non senza
agnello: in luogo dell’agnello ha donato se stesso, il suo corpo e il
suo sangue. Così ha anticipato la sua morte in modo coerente con la sua
parola: “Nessuno mi toglie la vita, ma la offro da me stesso” (Gv
10,18).
Nel momento in cui porgeva ai discepoli il suo corpo e il suo sangue,
Egli dava reale compimento a questa affermazione.
Ha offerto Egli stesso la sua vita. Solo così l’antica Pasqua
otteneva il suo vero senso.
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI, Basilica di San Giovanni in
Laterano, Giovedì Santo, 5 aprile 2007.
Simbologia coercitiva
associata all’Eucaristia?
E ancora per Kiko secondo altre sue “pittorico-poetiche” interpretazione
il pane della sua
eucaristia non sarebbe altro che
il-pane-del-fare-la-volontà-del-Padre il pane sarebbe solo il cibo
che rappresenta la sottomissione a Dio nel fare la sua volontà
(obbedienza-sottomissione) [mentre prima avrebbe significato la
schiavitù e l’uscita dall’Egitto], mentre il
vino sarebbe il simbolo
dell'alleanza [mentre prima avrebbe significato Terra promessa], per cui
la comunione sotto le due specie, sarebbe indispensabile affinché
l'alleanza data dalla mia obbedienza-sottomissione sia efficace.
L’obbedienza e la sottomissione senza mormorazione
(peccato grave secondo l’uso Neocatecumenale) sono temi molto cari al
Cammino. Il neocatecumenale non deve mormorare, deve obbedire al
Cammino (dio), in quanto tale, rappresentato più dal catechista
rappresentante della propria Comunità di appartenenza che dal sacerdote
del Cammino, che gli è sottomesso al pari degli altri, senza discutere,
perché, se mormorasse o disobbedisse si porrebbe come colui che accusa
(il diavolo) e non come Cristo (a loro modo strumentalizzato) che
“obbedirebbe” quasi senza capire.
Cristo non sarebbe ricordato, nella loro idea di
celebrazione, come Colui che ha profuso e profonde ancora, il suo
reale e Preziosissimo Sangue per il perdono dei peccati, ma come
Colui-che-fa-la-volontà-del-Padre senza se e senza ma, ed il
neocatecumenale rende-grazie (eucharisto) con tutte le forze con
“cembali e danze”.
Il Cammino Neocatecumenale quindi non celebrerebbe, ma “fa
eucaristia”: rende-grazie.
Quindi la presenza reale di Gesù non ha importanza, ciò che conta è
l’obbedienza e la sottomissione elevata a “originale sacramento” non
di salvezza ma di perseveranza nel Cammino fino alla tanto
sospirata Tappa Finale con la sua Elezione (III scrutinio e bagno
nel Giordano). Una salvezza del tutto immanentizzata.
Una Messa INVALIDA?!
Ora, il fatto che neghino apertamente quello che fa (e proclama) la
Chiesa,
[che in venti secoli di storia non ha, non solo mai detto che il pane
azzimo è simbolo della schiavitù e dell’uscita dall’Egitto e il
vino: la terra promessa, ma soprattutto ha condannato la teoria
secondo la quale Cristo, non riattualizzerebbe il Sacrificio della Croce
in ogni Santa Messa o che la sua Presenza Reale sarebbe assicurata solo
durante le azioni sacre, ma terminate le stesse, Cristo non ci sarebbe
più]
escluderebbe l'intenzione remota e dunque renderebbe il sacramento
direttamente invalido, al di là della privata eresia.
L’intenzione di fare quello che fa la Chiesa quando celebra il
sacramento è necessaria affinché il Sacerdote con la preghiera
consacratoria detta correttamente, abbia tra le mani nostro Signore Gesù
Cristo.
Ora quanto detto porterebbe ad una doverosa considerazione.
* Tutti i sacerdoti della Diocesi di Friburgo così come tutti i
preti e fedeli tedeschi professano il credo eucaristico proclamato dallo
Zollitsch?
* Tutti i sacerdoti e i fedeli laici appartenenti al Cammino
Neocatecumenale condividono le idee del sig. Arguello?
* Tutti i sacerdoti sparsi per il mondo, si accostano a celebrare
i divini misteri, non disprezzando, ma magari solo negando il Sacrificio
Incruento di Gesù Cristo sull’altare?
Ci piace sperare che non sia sempre così!
Ma come fare a sopportare tutto questo male da una parte della Chiesa
(che di fatto non è più in comunione con la Chiesa) che nega
risolutamente il Sacrificio di Cristo? Come fare a tollerare questo tipo
di credo eucaristico palesemente contro la Verità, la Giustizia, la
Misericordia di Dio?
Come fare a rispettare chi (facendosi complice) permette che queste
forze oscure, che vanno a vanificare il Sacrificio della Croce (riperpetuato
nel Divin-Sacrificio), continuino a proliferare senza freno?
Ma Gesù ci conforta, sì, ci conforta di fronte a questo scandalo e
con queste parole, rassicura e rafforza il nostro cuore inquieto.
In quel tempo, Gesù espose alla folla un’altra parabola, dicendo: «Il
regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo
campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della
zizzania in mezzo al grano e se ne andò.
Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: “Signore, non
hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?”.
Ed egli rispose loro: “Un nemico ha fatto questo!”. E i servi gli
dissero: “Vuoi che andiamo a raccoglierla?”. “No, rispose, perché non
succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il
grano.
Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e
al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la
zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponètelo
nel mio granaio”».
«Colui che semina il buon seme è il Figlio dell’uomo. Il campo è il
mondo e il seme buono sono i figli del Regno. La zizzania sono i figli
del Maligno e il nemico che l’ha seminata è il diavolo.
La mietitura è la fine del mondo e i mietitori sono gli angeli. Come
dunque si raccoglie la zizzania e la si brucia nel fuoco, così avverrà
alla fine del mondo. Il Figlio dell’uomo manderà i suoi angeli, i quali
raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti quelli che
commettono iniquità e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà
pianto e stridore di denti.
Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro.
Chi ha orecchi, ascolti!». Cfr. Mt 13,24-43.
Ci permettiamo di deporre, sotto lo sguardo e l'intercessione della
Beata Vergine Maria, l'intero lavoro svolto per la Maggior Gloria di
Dio. Alla Madre della Chiesa rifugio dei peccatori e Madre della
Misericordia affidiamo opere ed intenzioni perché le orienti e le
sostenga e perché l'uomo nella riscoperta della Verità possa incontrare
la Salvezza.
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