È l'unico diacono finora dichiarato «Dottore della Chiesa», cioè compreso tra la trentina di personalità riconosciute dalla Chiesa stessa, nel corso della storia, di particolare levatura per la profondità del loro pensiero e per la loro influenza culturale. Lo proclamò tale papa Benedetto XV, il 5 ottobre 1920, con l'enciclica Principi Apostolorum Petro, dicendo tra l'altro: «Splendido esempio di santità, di dottrina e di amor patrio, Sant'Efrem il Siro, [...] che Gregorio Nisseno paragonava opportunamente al fiume Eufrate, perché irrigata dalla sue acque, la moltitudine dei cristiani ha prodotto centuplicato il frutto della fede». È giunta a noi una sua vasta produzione di testi religiosi, redatti sia in forma poetica sia in prosa, tra la quale non è facile distinguere quanto sia effettivamente autentico e quanto, invece, provenga da ambienti a lui vicini. Le sue opere si rivolgevano prevalentemente al «popolo di Dio», piuttosto che alle gerarchie o agli intellettuali a scopo dottrinale, ed erano composte per suscitare devozione e senso della pietà, tanto che il santo è ricordato anche come «cetra (arpa) dello Spirito Santo». Sono scritti sempre altamente poetici, che si diffusero in tutta l'Asia Minore, per il loro stile semplice ed immediato, di facile utilizzo per l'attività catechistica e pastorale; alcuni di questi, una ventina, dedicati alla Vergine, ricordata anche come «più splendente del sole e conciliatrice del cielo e della terra». Nato a Nisibi, intorno al 306, una tradizione lo vuole educato alla fede cristiana dalla madre, mentre il padre - sacerdote pagano - non ne accettò il battesimo, ricevuto al compimento del suo diciottesimo anno, tanto da cacciarlo di casa. Svolse prevalentemente il suo ministero di diacono nella città natale e, dopo che questa fu invasa dai Persiani, ad Edessa, dove morì il 9 giugno 373. In entrambe le città si dedicò all'apostolato e all'insegnamento, fondando anche delle scuole. Si narra che riuscisse a conciliare l'ascesi personale e la vita monastica, vivendo con un gruppo di consacrati, con il pieno servizio alla più vasta comunità ecclesiale a cui apparteneva. In occasione della carestia che colpì Edessa nel 372, fu tra gli organizzatori dei soccorsi, svolgendo così fino in fondo il suo compito diaconale, a cui rimase sempre fedele, tanto che, si tramanda, arrivò a fingersi pazzo per «sfuggire» alla consacrazione episcopale che gli fu proposta a Nisibi, prima dell'esilio. Uno dei molti esempi di integro fervore cristiano provenienti da una terra martoriata, oggi come allora, fucina di santità. (sp)