Fa parte di un gruppo di dodici màrtiri, a Cesarea di Palestina, di cui è tradizionalmente capolista il presbitero san Panfilo. Oltre a loro due, cerano un altro diacono di nome Valente, quindi Porfido, Seleuco, Teodulo, Giuliano ed anche cinque cristiani d'origine egiziana: Elia, Geremia, Samuele, Isaia e Daniele (questi furono condannati per aver visitato e aiutato altri cristiani condannati alle miniere della Cilicia). Il martirio avvenne il 16 febbraio dell'anno 310. Nella sua Storia Ecclesiastica, Eusebio di Cesarea dedica ampio spazio a Panfilo e lo definisce «il grande lustro della Chiesa di Cesarea, il più mirabile dei nostri contemporanei». Di certo, al tempo dell'imperatore Galerio Massimiano (+ 311), il governatore di Cesarea Urbano sottopose a crudeli torture e fece decapitare dapprima i cinque egiziani e, dopo, il presbitero Panfilo, i diaconi Paolo e Valente (provenienti dalla città di Lamnia, erano stati tenuti in carcere per due anni) e gli altri (Porfirio era domestico di Panfilo; Seleuco o Seleucio di Cappadocia era soldato romano; Teodulo era servitore della casa del governatore e fu crocifisso; Giuliano, originario della Cappadocia, fu arso a fuoco lento). Le loro reliquie furono poi divise e quelle di Panfilo, Teodulo, Porfido e Paolo furono portate a Costantinopoli per la dedicazione della prima chiesa di Santa Sofia, ai tempi dell'imperatore Costante (320-350). (lb)