Probabilmente il 26 marzo 310, a Cirene in Libia, sotto Diocleziano, furono martirizzati per decapitazione (presumibilmente), quattro santi: Teodoro (vescovo), Ireneo (diacono), Serapione ed Ammone (lettori, cioè persone che avevano ricevuto uno di quelli che, allora e fino alla riforma di Paolo VI, erano chiamati «Ordini minori», e che, ora, sono compresi tra i cosiddetti «ministeri», cioè - semplificando - «tappe» verso l'Ordine, in quanto «servizi riconosciuti» a favore della comunità ecclesiale). In realtà nulla di più si sa del diacono Ireneo, se non dell'appartenenza a quel gruppo, ma l'insieme delle notizie pervenuteci - pur considerando quella parte agiografica non così documentabile, sulla quale non ci soffermiamo, anche se ricca di episodi fantastico-miracolistici, tipici dei racconti dell'epoca - ha alcune interessanti caratteristiche. Una di queste riguarderebbe lo strappo della lingua che fu fatto in carcere a Teodoro: la certificazione dell'evento, e della sua guaritone, avrebbe comportato il martirio delle testimoni cristiane là presenti (tre donne: Aroa, Ciprilla e Lucia) e la conversione e martirio di uno dei funzionari romani che soprassedevano alla carcerazione e videro accadere il miracolo (Lucio). Quindi, sia per i quarto martiri originari, sia per gli altri quattro conseguenti, si può positivamente parlare di una comune testimonianza di fede condivisa e non di un'esperienza ascetica individuale. Un'altra originalità merita una considerazione, col beneficio dell'inventario: Teodoro sarebbe stato denunciato ai Romani, come cristiano, direttamente da suo figlio, circostanza familiarmente molto triste, ma che comporterebbe la naturalità del fatto che un vescovo - allora - avrebbe potuto avere un figlio (non si ha notizia di una sua eventuale vedovanza). (sp)