CARLO VILLANI, nel suo pregevole libro sugli «Scrittori e Artisti pugliesi», con felice sintesi qualifica il Tinelli: «letterato ed insegnante valorosissimo e patriota di antico stampo ». Egli, più giovane di sei anni del concittadino Morea, si distinse al pari di lui nel campo educativo e letterario. Certo, il Morea fu una mente più complessa, spiritualmente orientata in direzione diversa da quella del Tinelli, la quale, però, non fu meno elevata ed encomiabile, poiché, oltre a brillare nella scuola o nelle Lettere, rifulse per amor patrio combattivo, in geste ardimentose.
Il Tinelli nacque da famiglia borghese ligia al regime borbonico e di accentuati sentimenti cattolici. Suo padre Giovanni era Comandante della Guardia Urbana locale e sua madre Angela Colucci era sorella del Vicario Foraneo Don Giuseppe. Fu battezzato dallo zio paterno Padre Luigi, Guardiano dei Cappuccini di Noci, ex-definitore di provincia monastica, colui che fornì notizie su Alberobello allo storico nocese Pietro Gioia, nella compilazione delle reputate «Conferenze Storielle».
Nacque Luigi nella casa dei nonni materni, sulla Piazzetta Matteotti, n. 9. Dapprima fu educato dai genitori e dagli zii sacerdoti; poi si recò a Conversano, insieme col fratello Francesco, per frequentarvi il collegio vescovile, nel quale dimostrò una spiccata inclinazione per lo studio delle Lettere, e particolarmente per il Leopardi, il quale si armonizzava con la sua natura meditabonda.
Completato il collegio, si recò a Napoli, nel 1858, per frequentarvi l'università, dove ebbe per docenti il De Sanctis e il Settembrini. Intanto gli spiriti di libertà e d'indipendenza fermentavano nel popolo, specialmente in quello evoluto, e gli universitari pugliesi di sentimenti liberali - fra i quali Giuseppe Laudisi da Bitonto, in seguito Provveditore agii Studi - si associarono segretamente per tenersi compatti e per propagare le nuove idee politiche. Il Tinelli, in principio, ne fu restìo essendo stato imbevuto sin dall'infanzia dei principii tradizionali, poi - vistosi allontanato dai compagni e sentendosene umiliato -, abbracciò anch'egli la nuova fede politica, con grande dispiacere dei suoi famigliari.
I neofiti, fra i quali il Nostro, venivano tenuti d'occhio e perseguitati dalla polizia borbonica. Per spirito di reazione, egli diventò un fervente liberale e, dal 1860 al '63, fondò e diresse il foglio patriottico «L'Azione». Quando, il 7 settembre 1860 Garibaldi a capo delle Camicie Rosse entrò in Napoli, destando nella folla enorme entusiasmo, anche il Tinelli fu irresistibilmente attratto dal fascino dell'Eroe dei due Mondi e si dichiarò pronto a combattere con la penna e con la spada per l'indipendenza della Patria.
Infatti, nel '66, combattè contro gli Austriaci nel Trentino e, in una località fra Storo e Condino, pugnando con audacia, si spinse eccessivamente nelle linee nemiche e fu fatto prigioniero. Qualche mese dopo, riguadagnata la libertà, si trasferì a tappe nei pressi di Roma, per unirsi ad altri generosi garibaldini e tentare un audace colpo di mano contro le forze Pontificie, alleate dell'Austria. Difatti, il 27 ottobre 1867, settanta camicie rosse - fra le quali il Tinelli, - guidate da Giovanni ed Enrico Cairoli, sconfissero i papalini, tre volte superiori di numero, a Villa Glori, dove Enrico Cairoli trovò morte gloriosa spirando nelle braccia del fratello. Sul Pincio, un degno monumento eterna l'epica gesta ed i nomi dei settanta eroi.
A 28 anni, il Tinelli per i suoi meriti di combattente entrò nell'insegnamento, come professore di Lettere nel Ginnasio superiore di Biscegiie. Ivi, l'anno dopo, contrasse matrimonio con la signorina Graziella De Simone, la quale, nel '69, lo colmò di gioia col renderlo padre della bimba Angela, che rimase unica e sola ed, ahimè, anche orfana, poiché, nel '72, perde la sua giovane mamma. Si trovavano allora in Bitonto, dove si erano trasferiti l'anno prima per insegnarvi, il padre, in quel Ginnasio. Amaramente egli pianse la perdita inaspettata della diletta sposa, alla memoria della quale rimase fedele per il resto della sua vita.
Il Tinelli non pensava di rimanere per sempre nei Ginnasi e, volendo avanzare nella carriera, sostenne, nel '71, insieme col notissimo Giovanni Bovio ed altri aspiranti, il concorso per la cattedra di Letteratura Italiana nel Liceo Principe Umberto di Napoli, la quale venne conferita a tale Antonio Casotti. Il che dimostra che, anche nell'Ottocento, i concorsi riserbavano ai partecipanti delle incredibili sorprese !
L'anno successivo il Nostro conseguì, nell'Università di Napoli, l'abilitazione all'insegnamento dell'Italiano nei Licei e, con nomina ministeriale del '73, fu destinato al Liceo Palmieri di Lecce. Quivi, nove anni dopo, si ebbe, per le sue benemerenze, la carica di Preside. Nei quindici anni che risiedè in Lecce, si accattivò talmente l'affetto della popolazione, per i suoi meriti di eccellente educatore, di chiaro letterato, di cittadino irreprensibile, di stimato Presidente dell'Associazione Reduci delle Patrie Battaglie da lui fondata e di illuminato Direttore del «Gazzettino Letterario», da venir designato per diverse volte come candidato per le elezioni politiche di quel collegio elettorale, ma egli per modestia sempre ricusò. Era dai Leccesi talmente ben voluto, che, essendo stato dal Ministero trasferito al Liceo di Chieti e poi a quello di Maddaloni, essi esercitarono tali pressioni su Roma, da far revocare gli ordini di trasferimento. Fra i suoi innumerevoli discepoli di Terra d'Otranto ricordiamo soltanto i famosi avvocati Francesco Rubichi e Nicola Bavaro.
Durante la sua permanenza in Napoli, precisamente il 19 gennaio 1860, gli era morto il padre all'età di 49 anni, in Alberobello. Padre laborioso ed affettuoso che, per il comodo avvenire dei figli, si era premurato di far costruire un'ampia casa propria, in via Garibaldi, n. 67, nella quale si trasferì con la famiglia nel 1843. Ma dopo l'immatura morte del Comandante, ben altrimenti erano andate le cose domestiche. Un fratello del Nostro aveva abbandonato il sacro per il profano e si era condotta l'amante nella casa patema, con grande mortificazione di sua madre, con la quale egli viveva. Il patrimonio familiare fu da costui dilapidato e la casa messa in vendita. In quella occasione, il Preside tutto esacerbato venne in Alberobello (1880), per firmare lo strumento di vendita. Fu quella l'ultima volta che riab-bracciò sua madre, poiché quando, nel '82, ella morì, egli non venne, non sentendosi, per risentimento e dignità, doversi incontrare con colui che era stato la causa della rovina famigliare. Questi particolari vengono detti per difendere il Nostro da talune accuse di poco amor filiale.
Nel 1888, promosso Preside di prima classe, fu trasferito, con grande tristezza dei Leccesi, a Teramo, per presiedere quel Liceo-Convitto, dove, preceduto dalla sua alta fama, fu accolto col massimo ossequio e cordialità. Era all'apice della parabola della sua vita fisica e morale. Di statura normale; di robuste fattezze; di agili movenze, dal viso aperto e invitante; dalla fronte alta; dagli occhi rotondi neri e dolci; dai baffi e capelli scuri crespi; dal colorito roseo; dalla voce vibrante, ma suadente; il tutto irradiato dall'animo nobile, generoso, ardito, costituiva una simpatica ed autorevole persona. Riscuoteva onore ed amore da tutti.
Ma il dolore -, come egli stesso aveva commentato nel saggio critico su «La Ginestra» del Leopardi -, sempre in agguato per distruggere la gioia e la felicità umane, l'aggredì improvvisamente. Sua figlia, che egli aveva allevata con tante cure, tanto amore, era l'idolo del suo affetto e rappresentava la ragion di essere della sua vita, fu colta improvvisamente da un attacco di pazzia, sì violenta, da essere condotta dal povero padre nel manicomio di Portici, per esservi curata. Due giorni dopo il suo solitario e sconsolato ritorno a Teramo, il valoroso garibaldino, l'illustro Preside, il dotto letterato, il distinto gentiluomo, in preda a penosa cogitazione, fu stroncato da un colpo apoplettico, il 3 luglio 1890, a solo 51 anno - nel pieno vigore della virilità - quando avrebbe dato i frutti migliori dell'intelletto, del cuore, dell'esperienza e della saggezza.
Fu da tutti sentitamente rimpianto; si ebbe solenni estreme onoranze con la partecipazione delle autorità, notabilità e scolaresche cittadine; gli furono tributati ben dodici elogi funebri, in cui fu esaltata la sua insigne figura.
L'anno dopo, la gentile città di Lecce, memore e grata, lo onorò con una targa marmorea, apposta nell'aula magna del Liceo Palmieri, recante la seguente epigrafe: Luigi Tinelli - patriotta e letterato insigne - nacque in Alberobello il 30 luglio 1839 - morì a Teramo il 3 luglio 1890 - cittadino amò l'Italia e pugnò da forte - nel Trentino a Villa Glori - Professore e poi Preside in questo R. Istituto - dal 1873 al 1888 - educò la gioventù con cura mirabile - al culto delle Lettere e della Patria - i professori i discepoli gli amici dell'Estinto - a ricordo perenne di cittadine virtù - posero - 1° febbraio 1801.
Né meno devota gli fu Teramo, che lo onorò con lapide recante degne elevate parole, scoperta nel Liceo il 3 luglio 1893.

BIBLIOGRAFIA.

1. - «L'Azione », foglio patriottico pubblicato in Napoli dal 1860 al '63.
2. - «La Ginestra di G. Leopardi». Saggio critico. Tip. Municipale V. Vecchi e Soci; Trani, 1871. Pp. 30.
3. - «Alessandro Manzoni». Discorso letto nella festa letteraria di Lecce, 17 marzo 1874. Tip. Editrice Salentina, Lecce, 1874. Pp. 28.
4. - «Ricordo di Scuola». Note letterarie. Tip. Campanella, Lecce, 1876. Pp. 32. Seconda ediz.: ibidem, 1887.
5. - «Il Gazzettino Letterario». Periodico diretto da Luigi Tinelli. Anno I; n. 1, 10 luglio 1878. Pp. 16 oltre la copertina. Si pubblicava il 10 e 26 di ogni mese. Abb.° annuo L. 6, un numero cent. 30, arretrato cent. 50. Fu pubblicato fino a tutto il 1880. Stab. Tip. Scipione Ammirato. Propr. Leonardo Cisaria, Lecce.
6. - «Alcune annotazioni all’Asino d'oro di Apulejo». Stab. Tip. Scipione Ammirato, Lecce, 1879. Pp. 26.

BIBLIOGRAFIA ATTINENTE.

Giuseppe Gigli: «Nei solenni Parentali di Luigi Tinelli». Discorso tenuto nel R. Liceo Palmieri, Lecce. Tip. L. Lazzaretti, Lecce, 1891. Pp. 16. L. 030.

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