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NACQUE dall'agricoltore Giovanni e da Maria Mastromarino, massaia. Sin da ragazzo ebbe
inclinazione per la pittura, dimostrandolo col ricopiare vignette di libri e giornali.
All'età di 15 anni, si trasferì a Castellana per prendere lezioni di disegno da D. Francesco
Dell'Erba, bravo artista che aveva studiato in Napoli, al quale lo Sgobba era stato raccomandato
dal concittadino Mons. Morea. A 20 anni, si stabili in Roma, ove, non avendo frequentato alcuna
scuola media, non potè essere ammesso all'Istituto d'Arte, ma frequentò una scuola serale clericale
di Disegno. Durante la frequenza, ottenne sempre il primo premio nelle mostre scolastiche annuali.
Finito il corso di Disegno, si dedicò particolarmente alla pittura del ritratto.
Per ottenere lavoro, espose un ritratto muliebre in una delle vetrine della ben nota ditta Sarteur,
sul Corso: un negozio di lusso di oggetti d'arte per regalo. In seguito a ciò, si ebbe le prime
ordinazioni e potè farsi strada. Tranne pochissime eccezioni, lavorò sempre nel genere ritrattistico
e numerosi furono i suoi lavori, alcuni dei quali anche per conto di persone ragguardevoli, quali:
il Marchese D'Ajala di Tarante; il Marchese Nicolo Persichetti, Cavaliere di Cappa e Spada, nativo
di Aquila; l'attaché von Stängel dell'Ambasciata Germanica. Molti altri ritratti dipinse in Alberobello,
rappresentanti: D. Vito Cucci, il Sac. D. Vito Agrusti, il Dott. Vito Gigante, Ottavio Nardone,
Stella Pugliese in Nardone, Padre Accursio Cardone O.F.M., il Dott. Giuseppe Turi, - un piccolo capolavoro -,
il Sac. D. Domenico Fasano, Luigi Bernardi e altri. Ma, caso strano, egli, tanto ammiratore del sesso
gentile, non dipinse che molto raramente dei ritratti femminili.
In Roma visse sino al 1941, quando, per causa della II guerra mondiale, se ne allontanò, tornando
a vivere nella sua storica secolare masseria «La Cavallerizza», che, con il comprensorio di 50 tomoli
di terreni, gli era stata donata sin da giovine dal suo filantropico zio Marcantonio, morto senza figli,
al quale si deve la fondazione del villaggio Zingarello.
Questa cospicua eredità gli aveva permesso di condurre vita brillante di viveur nella capitale.
Ciò gli fu dannoso perché gli tolse lo stimolo per emergere nell'arte. E' vero che pregiati furono
sempre i suoi dipinti, ma quanto di più e di meglio egli avrebbe potuto fare con la sua ingenita
inclinazione alla pittura, se fosse stato punto dalle necessità della vita !
Ritrattista per gli altri, non si euro mai di farsi l'autoritratto. Forse per modestia o per indolenza.
Due sue tele di soggetto sacro trovansi nella Chiesa Madre di Alberobello: «La Madonna del Carmine
col Bambino fiancheggiata da S. Antonio e da S. Vito» (che richiede di essere restaurata);
e «L'ultima Cena»; à anche dipinto un bello ed ispirato S. Marco per la chiesa di Zingarello (1948).
Lo stile dello Sgobba è prettamente ottocentista romantico, caratterizzato da buon rilievo,
da disegno accurato, dalle tinte tenere, fresche, luminose e ben armonizzate fra loro.
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