Enzo Mansueto
Le date della mia vita

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31/12/1944
Sono nato a Francavilla Fontana (BR) in via S.Francesco d'Assisi, 59, alle undici del mattino. Mio zio Mimino raccontava che era venuto dalla masseria Tiberio col calesse per prendere mia madre e portarla in campagna dai nonni e trascorrere il fine anno. Mio papà probabilmente era di servizio in Marina a Taranto. Appena vide che ero arrivato io, ritorno in campagna volando, diceva. Al vederlo tornare da solo la nonna si preoccupò, ma capì che ero arrivato. Quel giorno era di domenica.
Probabilmente andarono al comune dopo le festività e decisero di indicare come mia data di nascita ufficiale 1/1/1945.
Certificato di nascita

24/02/1945
Battesimo nella Chiesa del Carmine, vicinissima alla casa dove sono nato. I padrini furono mio nonno paterno Lorenzo e mia nonna materna Maria Giuseppa Fasano.

10/11/1945
Mio padre chiede ed ottiene il trasferimento in congedo illimitato dalla Marina Militare, perché nel progredire di grado e mansione avrebbe dovuto trasferirsi in Sicilia. Allora decise di abbandonare la vita militare e restare con la sua famiglia.
Stato Militare 1     Stato Militare 2

24/02/1947
Richiesta di Situazione di Famiglia al Comune di Alberobello. Ci eravamo trasferiti da Francavilla Fontana. Siamo andati ad abitare in Via V. Emanuele, 20 (2° piano). E mio padre aveva già trovato un altro lavoro. Crescevo e iniziai verso i 4 anni a frequentare l'asilo di Via Margherita, 24 - attualmente C.so Trieste e Trento, 24.
Situazione familiare

21/07/1949
Muore mio nonno Angelantonio Agrusti. Da diversi mesi era venuto ad abitare con noi per motivi di salute. Ricordo che nei momenti di buona salute mi accompagnava all'asilo. Oppure mi veniva a prendere. E spesso mi portava al bar di Nannino (via V.Emanuele,62) e mi comprava il gelato: il moretto.

set.-ott. 1949
Quella casa, in via V. Emanuele, aveva già ricordi particolari. Mia madre, già in cinta di mio fratello Angelantonio, faceva fatica a salire e scendere quelle scale. Così ci trasferimmo nella nuova casa in Via Piave, 47, un po' più grande e a piano terra. Con giardino. Avevamo di fronte il forno. Tutto era più facile. Là ho conosciuto la famiglia Lippolis, che abitava il vicolo di fronte. Ed io andai all'asilo dalle suore di via Margherita (ora C.so Trieste e Trento, 80).

1949-1954
Gli anni vissuti in Via Piave portarono nuove amicizie. Sopra la nostra casa abitava la famiglia Pinto. Papà, maestro elementare, mamma, ostetrica. E poi nacquero Giorgio e Giselda. Con loro ho condiviso quegli anni di amicizia e di giochi. E rimarranno indelebili. E continuerà la nostra amicizia per sempre. Anche se la vita ci porterà a vivere lontano gli uni dagli altri.
Conobbi anche la famiglia Lippolis. Abitavano nel vicolo di fronte alla nostra casa. Filomena e Donato, due persone squisite. e i loro figli. Solo il più piccolo, Minguccio, qualche anno più piccolo di me. E con lui abbiamo condiviso quegli anni nei giochi del tempo. quelli che il nostro ingegno ci faceva costruire. Li vedevamo agli altri e ce li costruivano da soli.
Quali erano? Provo ad elencarli.
I carri con le mandorle
Si trattava di munirsi di un sacchettino di mandorle. Il patrimonio del gioco. Il campo da gioco era la strada. A quel tempo non c'era ancora traffico di nesssun genere. Si costruivano dei cosiddetti carri di mandorle. Si stabiliva un numero di carri a testa a seconda dei giocatori. Il carro era costituito da 4 mandorle, tre vicine tra loro, costituivano la base, e una sopra alle tre creava il carro. Si decideva la distanza tra i carri. Dipendeva la distanza dalla pietra che si usava per giocare. Cioè dovevano essere distanti fra di loro almeno quando il diametro della pietra. Ognuno aveva la sua pietra. E non potevano essere una più grande dell'altra. E si disegnava con una pietra particolare, tipo gesso, un circolo attorno ai cosiddetti carri. Quindi da una distanza convenuta e tirando a sorte si lanciava la pietra che noi stessa si costruiva. Bisognava far cadere i carri e si prendevano le mandorle dei carri caduti e usciti dal cerchio, e a fine turno chi era più vicino al cerchio tentava con un movimento un po' complicato da spiegare, ma semplice, di lanciare la pietra, da sotto il mento, per colpire i restanti carri per farli cadere o farli uscire dal cerchio. E via per un nuovo turno di gioco. Finché si decideva di smettere.
Il Maestro
Più o meno era come il gioco dei carri. Invece del cerchio si usava una grossa pietra quadrata o rettangolare non troppo sottile. Si faceva in modo che stesse in piedi. E sullo spessore superiore si poggiavano le monete in gioco. L'avevamo copiato dagli adulti. Solo che loro usavano soldi veri. Noi soldi di non valore. Allora era entrata in vigore da qualche anno la lira e le monete precedenti ce le siamo trovate per giocare, in quanto il loro valore era nullo. Questa pietra si chiamava maestro. Le solite pietre, che ognuno possedeva, si lanciavano da distanza convenuta e si faceva catedere il Maestro. Le monete che cadevano più vicino alla propria pietra erano del lanciatore. Le altre si riponevano sul maestro, rimettendolo in piedi. Le pietre di lancio erano sottili, ma non troppo. Si chiamavano L'stocc'. Il gioco finiva quando non c'erano più soldi sul Maestro, detto U mèst.
Alle molle
Si tratta di un gioco semplice e bizzaarro. Dovuto al fatto che riuscivamo a procurarci, in un modo che non ricordo, vecchie camere d'aria di bicicletta. Le tagliavamo, formando rondelle di 6-7 mm. e le concatenavamo fra loro annodandole con molta semplicità. Ne ricavavamo di una lunghezza prestabilita, a seconda della distanza da cui si operava. Si mettevano le solite monete sotto un muro, in piedi, e allontanandosi ad una distanza fissata, si tirava a sorte per chi dovesse tirare per primo. Si impugnava questo elastico da un estremo con la punta del dito indice di una mano e con l'altra mano si tendeva questo elastico creato. Sia lasciava andare, gestendo la direzione, e si cercava di mirare e far cadere le monete in bilico vicino al muro. Finite le monete, si ricominciava. Giochi di altri tempi, ma studiati per poter passare il tempo e divertirsi.
Ai tappi
Già a quei tempi riuscivamo a procurarci tappi di birra, metallici, non troppo svergolati. Possibilmente abbastanza lisci per poter scorrere. Usavamo i bordi dei nostri marciapiedi in pietra, fatti di una larghezza intorno ai 20-30 cm. Si segnavano il punto di partenza e il punto di arrivo. Si tirava a sorte chi doveva partire per primo. E si partiva. Si decideva normalmente di fare un tiro a testa. Non bisognava uscire dalla traccia di questi bordi. Da un lato si cadeva, dall'altro si andava fuori dal limite del bordo. Chi era dietro e incontrava il suo avversario, o i propri avversari (si poteva essere più di due), poteva decidere di mandare fuori il proprio avversario colpendolo, facendo in modo, però, che lui rimanesse sul percorso. Per questo motivo eravamo giunti a riempire qualche tappo di piombo fuso. Non ci crederete, ma eravamo riusciti a fare anche questo in qualche modo. Si decideva prima del gioco, che fermandosi, dopo aver lanciato il proprio tappo, si potesse sostituire con quello pesante, per evitare di essere estromessi e ricominciare il percorso daccapo. Chi arrivava per primo al traguardo vinceva. Si ponevano in gara alcuni premi, ciò che si aveva, oppure c'era la gloria di aver vinto.
Pensate che contentezza! Ed eravamo contenti. Che dire? Giochi meravigliosi. Che ci rendevano felici e spensierati. L'importante era stare in compagnia.

17/12/1949
Arriva mio fratello Angelantonio. Quella mattina ero andato all'asilo tranquillamente. Senonché dopo poco arriva mio cugino Ninuccio e mia zia Nina, mi prendono e col calesse andiamo in campagna dalla zia Maria, alla masseri Badessa, sulla via di Putignano. Per me non c'era gioia più grande. La campagna per me era il divertimento più bello. Non ricordo se ho trascorso là qualche giorno. Sta di fatto che, quando tornai a casa, trovai la sorpresa. Era nato mio fratello e non avrei potuto assistere a tutto questo. Fu bene accetto da tutti, ovviamente. Ed io me lo guardavo, incantato.
Angelantonio ed io. Giardino di Via Piave (estate '50).

Set. 1950
Frequentavo l'asilo. E le suore avrebbero suggerito ai miei di mandarmi a scuola, perché sapevo già da tempo leggere e scrivere. Così mio padre, che nel frattempo aveva partecipato al concorso di Vigile Urbano e assunto, prese coraggio e mi portò a scuola, ad anno da poco iniziato. A dicembre avrei compiuto sei anni. Ricordo che venimmo accolti dalla direttrice. Mi fece sedere mi mise davanti un quaderno aperto e mi disse: Scrivi la data di oggi. Lo feci senza tanti problemi e in maniera corretta e leggibile. E rivolto a mio padre disse: portiamolo in classe. E mi portarono nella classe della maestra Dechirico, moglie del comandante dei vigili urbani. Iniziò così la mia avventura scolastica.
Prima elementare

3/3/1953
Il tempo scorreva e la famiglia andava abbastanza bene. Mio papà, già vigile urbano, continuava nel suo lavoro. Nella tranquillità della famiglia arriva un'altra novità. Nasce Annamaria. Non fu una situazione facile per mia mamma. Nell'ultimo periodo di gravidanza ci furono delle complicazioni. Per fortuna la nascita mise fine ai problemi. E tutte e due stettero meglio. Per ringraziare il Signore si decise di battezzare subito mia sorella. Così ci trovammo nella sacrestia dei Santi Medici, io chierichetto, e mia zia Nina e mio cugino Ninuccio, padrini. Tutto proseguì bene. E rendemmo grazie al Signore nei mesi a venire. Mia madre stette meglio. E mia sorella cresceva alla grande.

marzo 1954
Mio padre partecipa ad un concorso indetto dal Comune di Alberobello per dipendenti comunali. Venivano assegnati tredici appartamenti costruiti in cima alla via Montegrappa, dette INA Casa. All'estrazione dei nominativi assistono i partecipanti all'assegnazione. Iniziano dal primo alloggio e abbinano progressivamente i nominativi estratti. Proseguendo nell'estrazione erano giunti al dodicesimo e il nominativo di mio padre non veniva estratto. Alla tredicesima estrazione con grande gioia di mio padre viene estratto il suo nome. Siamo padroni di una casa nuova, tutta nostra. Che gioia! Si doveva pagare un affitto mensile a riscatto, entro 25 anni. Fu così che in quel marzo facemmo trasloco. Con l'aiuto di mio cugino Lorenzo, meccanico apprendista, che guidava un camioncino del suo maestro meccanico, Ciccio Palasciano, portammo mobili e masserizie alla nuova casa. La felicità riempì la nuova casa e noi tutti.
La nostra nuova casa     Ricordo della nuova casa

maggio 1954
Arriva il giorno della Prima Comunione. Un piccolo-grande problema: che abito indossare per quella occasione. Avevamo appena cambiato casa e non c'erano soldi da spendere. Mia mamma preoccupata. Allora mi venne un'idea. Dissi a mia madre: Non preoccuparti. Faccio il chierichetto e faccio la Prima Comunione vestito da chierichetto. Così non si nota il vestito che indosso. E così fu. Eravamo un bel numero di amici della stessa età. E in ricordo riuscimmo a fare una foto sulla scalinata della Chiesa dei Santi Cosma e Damiano. Come si nota nella foto allegata, era presente don Vito Nitti, un sacerdote che non dimenticherò, perché voleva un gran bene a noi chierichetti.
Prima Comunione

18/12/1954
Tra luglio e agosto era arrivato in nuovo arciprete dei Santi Medici, don Peppino Contento. In questo giorno, durante una celebrazione presieduta da Mons. Gregorio Falconieri, fu ordinato sacerdote don Cosimo Ruppi. E con lui fu ordinato diacono don Giambattista Romanazzi. Il primo, mio compaesano e precettore nel mio cammino in seminario e, poi, sostenitore nel mio cammino diaconale. Il secondo, mio professore di latino e greco, durante la mia permanenza in seminario a Conversano (IV e V ginnasio). Ricordo in particolare che, in quella celebrazione di ordinazione, facevo il chierichetto; in più incaricato di sorreggere il libro al Vescovo. Era un librone enorme per la mia età. E lo reggevo con le due mani poggiandolo sulla fronte. Era più grande di me e lo reggevo un po' a fatica. Ma felice di fare quel servizio.
Ricordino Ordinazione

sett. 1954 - giu. 1955
Ero alla quinta elementare. Ultimo anno con esami. Di quinta e di ammissione alla scuola media. Un anno intenso, ma spensierato. Si studiava, si imparava, si condivideva con gli altri coetanei questo cammino. Un ricordo particolare di quell'anno fu un nuovo insegnante, che veniva da Bari. Maestro Pietro Naviglio. Era un maestro esemplare. Penso che tutti avessimo un buon rapporto con lui. Il ricordo nella foto di fine anno. Tra maggio e giugno ci fu poi da seguire le lezioni pomeridiane di preparazione agli esami di ammissione. Questo avveniva nella casa del Maestro Pierino Mangini, di cui conserviamo un ricordo indimenticabile. Tutti i pomeriggi, oltre allo studio delle lezioni di quinta, ci si recava presso la sua abitazione in C.so Vittorio Emanuele, per almeno tre ore per prepararsi in varie materie da aggiungere e conoscere, prima di approdare alla medie.
Maestro Naviglio     Retro     Maestro Mangini

sett. 1955 - giu. 1958
Inizia l'avventura della scuola media. Per i primi due anni si andava alla cosiddetta Casina Tria, posta in Via Colombo, 54. Un ricordo mio particolare è l'insegnate di matematica, Maria Miccolis, che mi prese a ben volere, piacendomi quella materia. La incontrerò diversi anni dopo, lei sindaco di Castellana Grotte ed io iscritto alla Facoltà di Matemetica. In terza media, invece, ci spostammo in via Piave, dove era stata costruita una nuova sede. In quell'anno avemmo un nuovo professore di matematica, Natale Buonsante, che mi prese a ben volere anche lui. Ricordo con chiarezza l'aula dove eravamo e la disposizione in classe. Provo ad elencare i nomi di tutti: Nicola Longo, Franco Dragone, Vitantonio Lillo, Luca Lo Re, Vito Piepoli, Mimma Mummolo, ? Ramunni, Dora Cito, Maristella Contento, Rosaria Del Monte, ? Domenici e Mimma Sportelli. Purtroppo, di questo periodo nessun ricordo fotografico.

feb. 1956
In questo mese un ricordo particolare, indelebile. La sera del 2 frbbraio andammo a letto, che nevicava. Al mattino con nostra grande sorpresa notammo che la neve aveva raggiunto e coperto quasi del tutto le finestre. E le persiane, chiuse la sera, era impossibile aprirle. Eravamo tappati in casa. Io cercai di spalare un po' di neve dalla porta d'ingresso fino al cancello, perché mio padre doveva per forza uscire per recarsi all'ufficio, in quanto vigile urbano. E la sua presenza era indispensabile. Ricordo che non fu una cosa facile. Nevicò anche durante il giorno. Ed eravamo in pensiero per mio padre. Finalmente lo vedemmo arrivare. Non ricordo che ora fosse. Il risultato della nevicata fu che la neve durò per quasi venti giorni. Quindi non andammo a scuola. Ci divertimmo a costruire qualche pupazzo di neve. E con gli amici, vicini di casa, ci trovavamo per passare il tempo, giocando in casa e raccontandoci fatti e storie. Magari anche parlando di scuola e di studio.
La foto allegata non è di quell'anno, ma di qualche anno dopo.
Nevicata a Piazzale Agrusti

3/3/1958
Sopraggiunse la morte di mio nonno Lorenzo. Una persona amabilissima, tranquilla, lavoratore. Putroppo era andato in pensione solo da un paio d'anni. Aveva lavorato nelle Ferrovie del Sud-Est, come operaio, capo squadra e infine come casellante. Lo ricordo con molto affetto. Abitava con la nonna Maria in Via Cavour. Avevano un orto enorme, dove coltivavano di tutto. In particolare, ricordo l'insalata romana, che raccoglievo, lavavo e mangiavo. Che bonta! Nella foto allegata, una delle poche foto in cui è ricordato, è con la nonna Maria e con i primi due figli di zia Luisa, nella nuova casa, di fronte alla precedente. Un trullo ad angolo, che ora non esiste più. Nel 1954 era partita la figlia Stella per l'Argentina, per raggiungere il marito, partito l'anno prima, e sposato per procura. Nonno Lorenzo non la vedrà più. In seguito, la nonna, rimasta sola, verrà a vivere a casa nostra, per alcuni anni. Poi, zio Pasquale, marito di zia Luisa, partirà per la Germania, per miglior fortuna sul lavoro. La nonna andrà a vivere con loro per contribuire con la sua pensione al sostentamento della famiglia. Rimarrà con loro fino alla morte, avvenuta il 26/12/1966. In seguito, l'anno successivo la zia Luisa partirà con tutta la famiglia per la Germania, dove lo zio aveva un lavoro sicuro, e poteva sostenere la famiglia. Era l'autunno del 1967.
Nonno Lorenzo e nonna Maria

set. 1958 - giu. 1960
Dopo la licenza media i miei genitori mi proposero di entrare in seminario, visto il mio trascorso da chierichetto fino ad allora. Durante l'estate frequentai saltuariamente il seminario estivo, che era ad Alberobello, nei locali adiacenti alla chiesa di S.Antonio. Fui accettato dal Rettore, Mons. Pedone. Così la mia vita prese una direzione particolare. Non mi sembrò un grande sacrificio. Per saggiare la mia disponibilità mi recavo a servir messa nella cappellina del seminario. Una mattina durante la celebrazione, al momento dell'elevazione, dovevo suonare il campanello. Ma, improvvisamente, caddi svenuto, mentre ero in ginocchio. Il predellino dell'altare era in legno e devo aver fatto un po' di rumore. Avrò creato dello spavento a mons. e alle suore presenti. Poco dopo rinvenni senza problemi. E tornai a casa tranquillo. Fu il primo di episodi del genere, che mi capiteranno altre due o tre volte nella vita. Frequentai in seminario quarta e quinta ginnasio. Il profitto era buono. Fui promosso. Alla fine del biennio dovetti fare gli esami interni e quelli esterni, perché mi valesse il titolo di studio. Anche questa volta andò tutto bene.
Ricordo con affetto i miei compagni di cammino. Leonardo Rotondo, (don) Giovanni Martellotta, Pasquale De Bellis, Michele Cuscito, (padre)Vito Scagliuso, Giacomo Giannuzzi, Tonino Bianco. Indimenticabili.
Ricordo in particolare il prof. Luigi Gallo, che insegnava francese: era stato anche professore di mia madre, nel collegio femminile di S.Benedetto a Conversano. E ancora don Giambattista Romanazzi, professore di latino e greco.
A Conversano

set. 1960 - apr. 1961
Arrivò la partenza per il Seminario Regionale di Molfetta. Con tutti gli amici del Seminario di Conversano. Mi ritrovai in un ambiente più grande. Tra studenti di liceo e di Teologia eravamo circa 350. Quelli del liceo in un'ala e quelli della Teologia in un'altra. Tutto iniziò bene. Mi adattai subito.
Il primo episodio che ricordo à quello degli esercizi spirituali, a febbraio del 1961. Una settimana. Mi sembrò inizialmente tanto. Ma mi adattai e volò via con tante riflessioni. Particolare fu, probabilmente il secondo giorno di esercizi, l'avvenimento dell'eclissi solare. Era al mattino e durò parecchio. E ci permisero di osservarlo, congedendoci di parlarne fra di noi, in quanto durante tutti gli esercizi non si poteva assolutamente parlare con nessuno. Altro particolare: conobbi il seminarista della teologia che era addetto allo sviluppo delle foto di chiunque, gratis. Allora mi affiancai a lui per saperne di di più. E mi appassionai. Fu allora che lui mi propose di acquistare la sua macchina fotografica, perché lui aveva voglia di cambiarla. E così fu. Non ricordo come mi procurai il denaro, ma la acquistai. E tuttora esiste, ma da tempo inutilizzata.
Altro episodio fu quello che capitò in classe durante la lezione di Scienze. Un padre cappuccino ci faceva da insegnante. E d'improvviso mi puntò il dito, chiedendomi: Come ti chiami? Risposi: Mansueto. Si mise le mani nei capelli. Tutto perché mi muovevo nel banco con piccoli spostamenti, ma non parlavo con nessuno. Avrei dovuto stare fermo. In seguito mi prese a ben volere.
Un altro episodio ancora più particolare fu questo. C'era tra i divertimenti una specie di altalena rotonda. Si prendeva la ricorsa e ci si sollevava da terra. E così ci si divertiva. Un giorno mi andò male. Ritornando a terra, sbagliai a mettere i piedi e mi feci male. Mi portarono all'ospedale e mi ingessarono la gamba da sotto il ginocchio in giù. Niente di grave, per fortuna. Ma dopo due giorni vennero a dirmi: Hai una visita. Scesi nella sala incontri e con grande meraviglia vidi mio padre. Ebbene, durante la notte aveva sognato che mi ero fatto male. E dopo averlo detto a mia madre, espresse a lei il desiderio di venire a trovarmi. E così fece. Al vedermi in quello stato, quasi quasi non si meravigliò. Ci abbracciammo e mi raccontò tutto. Era davvero un padre meraviglioso.
A Molfetta

8/4/1961
Penso che la data sia giusta. Quel giorno cambiò la mia vita.
Dopo vari incontri con il Padre Spirituale, don Pierino Giotta, sacerdote buono e santo, presi la decisione di abbandonare il seminario. In qualche modo quella vita non era più per me. Daccordo con don Pierino, ascoltai il suo consiglio. E mi disse: Quello che devi fare, fallo subito. E così fu. Presi la mia roba più importante e salutai il rettore. E qualcun altro. E mi recai a prendere il pulmann, che mi avrebbe portato fino a Bari. E poi avrei preso il treno per Alberobello. Ebbene, su quel pulmann incontrai il caro amico Pasquale De Bellis. Chiesi: dove vai? A casa, fu la risposta. E lui: E tu? Risposi: Anch'io. E partimmo. Poi lungo il percorso cominciando a scioglierci un po', finché svuotammo il sacco. Tutti e due tornavamo a casa. Era finita quella vita. Ma ci portavamo dentro una bella esperienza.
Arrivai a casa con grande sorpresa per tutti. La prima domanda fù: Come mai sei a casa? Per un po' di vacanze, fu la risposta. Ma non durò a lungo. Dovetti confessare subito che non sarei ritornato in seminario. Non ci furono grandi rimostranze da parte dei miei genitori. La cosa fu presa con molta naturalezza.
Cominciarono, però, i problemi di pensare al da farsi. Iscriversi al Liceo. Quello di Martina Franca. Informarsi del come. Bisognava fare gli esami per essere ammesso alla seconda liceo. Allora iniziò il periodo di preparazione. Fino a giugno il tempo c'era, ma non troppo. Mi dedicai allo studio, andando in privato da diversi insegnanti. Ebbene, capitò che, prossimità degli esami, mi ammalai. E non potetti sostenere gli esami. Con certificato medico si dimostrò la situazione e fui rimandato a settembre per sostenere tutti gli esami. Continuò la preparazione. Finalmente feci gli esami, superandoli, e fui ammesso.

sett. 1961 - mag. 1963
Una nuova classe con nuovi amici e amiche.
Mi fu assegnato un posto accanto a un amico, che rimarrà nella mia vita per sempre. Giovanni Brancaccio. Giorno dopo giorno la nostra amicizia cresceva, come con tutti gli altri. Ma con lui fu diverso. Avevamo una insegnante di matematica e fisica di una certa età, non tanto ferrata nella materia. Erano le materie a me più congeniali. E nessuno dei colleghi maschi era ferrato. Allora conquistai in loro un posto particolare, perché c'era animo tra l'ambiente femminile e quello maschile. C'era una collega ferrata nelle materie letterarie, nipote di questa professoressa. E per chissà quale motivo eccelleva anche in quelle scientifiche. Alcune volte mi permisi di dissentire da alcune affermazioni di questa pur cara amica. E iniziò una certa linearità nel suo affermare.
Una volta, perfino ad una spiegazione della professoressa, mi permisi di dire che non avevo capito. Tutti mi guardarono con stupore. Il fatto era che la professoressa aveva detto quel che non era vero. Io mi limitai a dire che avevo capito dopo la nuova spiegazione identica alla prima. Ebbene, accadde che la volta successiva interrogò una ragazza e questa ripetè per filo e per segno quello che lei aveva detto nella spiegazione. Al chè disse che era sbagliato. Allora noi, maschietti, ci guardammo in faccia e ci capimmo. Fu un episodio che mi rese ancora più prezioso nel gruppo dei maschietti e di quelle che subivano.
Invece, un professore che ricorderò per sempre fu il prof. Fornaro, in seconda liceo. Insegnante di italiano. Ricordo con affetto e riverenza, quando entrando in classe diceva, 'Continuiamo con Dante', e iniziava a memoria recitando da dove avevamo lasciato. Noi dovevamo ancora aprire il libro e trovare il passo e lui aveva già recitato il passo successivo. E iniziava la spiegazione. Ed era bravissimo. Severo, ma comprensivo.

giu.-lug. 1963
Arrivarono gli esami di stato, la maturità classica. Per prepararci a dovere con il mio caro amico Vittorio Brancaccio, che venne a vivere a casa nostra e studiavamo giorno e notte. Lui aiutava me in italiano ed io aiutavo lui in matematica e fisica. Ebbene, affrontammo gli esami. E il risultato fu questo: lui promosso ed io rimandato a settembre. Accettammo la situazione. Feci gli esami a settembre e andò tutto bene. Con grande gioia e, spinto dai miei, mi scrissi alla facoltà di Matematica all'Università di Bari.

set. 1963 - set. 1967
Quattro lunghi anni, in cui gli impegni non bastarono a raggiungere risultati soddisfacenti. Dopo tanti tentativi riuscii, forse nel terzo anno, a superare un esame. Ero sfiduciato ed esausto. Anche i miei genitori non erano contenti dei miei risultati. Allora, non sapendo cosa fare e dove andare, mi venne in mente che a Torino c'erano dei miei cugini.
Perché questo pensiero? Ebbene, in questo percorso avevo conosciuto, nei viaggi sul treno, alcuni amici e amiche, anche della stessa facoltà. E anche per loro i risultati non erano diversi. Per capire come fosse la situazione, basta pensare che al primo anno eravamo iscritti a matematica in 70/80. Ebbene, dopo 4 anni, i laureati erano 3 o 4. Molti erano partiti per altri lidi. O avevano abbandonato. Tra queste conoscenze ce ne fu una che un giorno mi saltò all'occhio. Anna. Perché un giorno, non sapendo cosa fare, ce ne andammo con altre due o tre amiche, in giro per Bari. E ad un certo punto qualcuno disse: Andiamo a prendere un caffè al bar. Innocentemente dissi che non avevo soldi. Ed era vero. Allora Anna disse: Te lo offro io. Ebbene, forse non ci crederete, ma questo fece scattare in me una molla. Quella molla strana e curiosa, che si chiama Amore. Ci vedemmo spesso, ci incotrammo separatamente e ci confidammo le nostre pene. E il desiderio di evadere per altre mete. Allora saltò alla mente di entrambi che Torino era la meta ideale. In più lei aveva la sorella maggiore, che si era sposata da poco.
Prima comunione di Anna      Anna e sorella a Torino      Fidanzati a Torino

nov. 1967
Allora con molta forza e determinazione decidemmo di partire per Torino. Non ci pensammo più. Lei con la sua famiglia decisero ed io con la mia. Solo la madre di lei sapeva del nostro intento. Agli altri trasparì anche. Ebbene lei partì col treno. Io, anzi mio padre non aveva i soldi per pagare il treno. E avrei dovuto portare un bel bagaglio. Allora mio padre trovò un suo amico, trasportatore, che col camion sarebbe arrivato a Torino. Ebbene, partimmo la mattina di buon ora. E la prima meta furono i mercati generali di Bologna. E qui scaricammo insieme al figlio un carico di arance. Proseguimmo in direzione di Milano per trovare un carico per il viaggio, ma inutile. Arrivammo a Torino alle tre del mattino. Aspettammo, riposandoci nel camion. Eravamo arrivati alla pensione dove era alloggiato un mio cugino Mario, che lavorava alla Fiat. E un mio amico Mario, che lavorava in un'altra fabbrica. Condivisi con lui la stessa camera. E iniziò una nuova vita. La signora che ci ospitava voleva a tutti noi un gran bene. La signora Mascarini. Mi permetteva di lavare le mie robe. E stirare le mie camicie. Tutto per risparmiare.
Frequentando, studiando passò il primo anno. Anzi a dicembre diedi il primo esame, che avevo già preparato a Bari. E lo passai. Con 18, ma lo passai.

nov. 1967 - mar. 1971
Poco più di tre anni, ma giungemmo alla fine. Con Anna decidemmo che lei iniziasse a lavorare ed io a studiare. Per aiutarci a vicenda. Il 9/3/1971 arrivò la laurea. Nel frattempo avevo fatto venire a Torino anche mio fratello e poi mia sorella per iscriversi: mio fratello al Politecnico, e mia sorella all'Università. Ingegneria e Scienze Informatiche.
Raggiunta la laurea si cercava di decidere cosa fare. Il militare incombeva, dopo vari rinvii. Avevo fatto la domanda da allievo ufficiale. Ma nessuna risposta. Allora decidemmo di sposarci. E poi avremmo visto cosa fare. D'accordo con i nostri genitori preparammo tutto per i matrimonio. La data fu fissata per il 24/4/1971. Tutti i preparativi erano quasi a posto, quando giunse inaspettata la cartolina di chiamata al militare. Era il venerdì santo. Un fulmine a ciel sereno. Dopo una settimana appena dovevo essere in caserma a Foligno. Luogo per me sconosciuto.
La fortuna ha voluto che, salutando un mio carissimo amico e raccontando dove ero diretto, mi dice: Ma a Foligno c'è un capitano di Alberobello. Mi faccio dire chi fosse. E conoscevo bene sua sorella. Corro a casa di questa, senza nemmeno ringraziare il mio amico. Le racconto tutto. E lei prende il telefono e chiama suo fratello.
Ebbene, il 19/4/1971 arrivo a Foligno, vado a casa di questo capitano, che mi accompagna in caserma. Iniziò il mio cammino da militare, come Allievo Ufficiale di Complemento di Artiglieria. Ma attorno alla mia avventura si mossero tutti quelli che mi conoscevano e sapevano del mio matrimonio. E fu così che dopo appena dieci giorni, il 30/4/1971 con una licenza di 3+2, parto da Foligno per recarmi ad Alberobello a sposarmi. La data era stata spostata al primo maggio.

1/5/1971
Arrivai ad Alberobello a notte inoltrata. Al mattino mi svegliai un po' frastornato. Mi preparai e con i miei mi recai a Conversano, luogo del matrimonio, nella Cattedrale di Conversano. Era la parrocchia di Anna, mia futura moglie.
Quel giorno era di sabato. E il primo sabato di maggio a Conversano ricorre la festa liturgica della Madonna della Fonte, patrona di Conversano e della Diocesi. E quel giorno il suo quadro era in trono durante il nostro matrimonio.
Inoltre, nei preparativi era stata richiesta la presenza di Mons. Ruppi, che avrebbe celebrato il nostro matrimonio. Ma un impegno impellente rese impossibile la sua presenza. E fu così che si trovò la disponibilità di don Giovanni Bianco, compagno di cammino in seminario a Conversano e Molfetta. La celebrazione fu sempre tra sguardi e sorrisi tra me, Anna e don Giovanni. Alla fine della celebrazione salutammo la Madonna, chiedendo la Sua benedizione. E uscimmo contenti e felici. Mio cugino Lorenzo mi aveva procurato una bella auto. Io guidavo con Anna a fianco e dietro i due sposini. E ci recammo, lasciando che gli altri andassero alla sala del ricevimento, sul mare. Era una splendida giornata. Di ritorno passammo da casa dei miei genitori per salutare la mia cara nonna, mamma di mia mamma. Fui l'ultimo nipote che vide sposarsi.
Quella giornata passò in allegria con i parenti, fratelli, sorelle, zii e genitori.
Con la nonna      Con i genitori Noi

mag. 1971 - lug. 1972
Rientrato a Foligno continuammo il corso. Ci fu un episodio che mi piace raccontare. Un giorno eravamo schierati nel cortile della caserma, pronti per la libera uscita. Suonava l'inno e poi iniziava la marcia per sfilare verso il portone di uscita, marciando. Si ferma la musica e si ode all'altoparlante: l'allievo ufficiale Mansueto Lorenzo si presenti al Vice Comandante. Guardato da tutti chissà come, mi avviai verso l'ingresso, dove c'erano le salette dei superiori. Chiesi del Vice Comandante e lo trovai. Mi rivolse queste parole: Lei è laureato in Matematica. Mio figlio deve risolvere questo problema. Prima o seconda media. Risolsi il problema, lo spiegai e poi andai in libera uscita. Quel colonnello era amico del capitano di Alberobello. Così sapeva tutto di me. Successe poi che a giugno mi mandò a chiamare di nuovo. Sua figlia, che frequentava il liceo, era stata rimandata in matematica e doveva riparare. Così durante l'estate ogni pomeriggio andavo alla loro casa e facevo lezione. Mi scansavo così le esercitazioni pomeridiane al sole cocente. Questa ragazza fu promossa. E fui invitato ad una cena a casa loro. Alla fine il colonnello voleva sdebitarsi con me. Ed io feci capire che non era il caso. Anzi, avendo saputo che da sergente non si poteva andare a Torino, altrimenti mi avrebbero poi mandato altrove da sottotenente, chiesi come fare per essere a Torino con mia moglie. Fu gentilissimo. Capì la mia situazione e mi disse: Adesso decidiamo noi dove inviarti da sergente. Ti manderemo a Cremona, il posto più vicino. Quando arrivi a Cremona fai domanda all'Ufficio Destinazione Ufficiali a Roma. Lì ci sarò io, vengo trasferito là. Che gioia! Tanti problemi risolti in un colpo solo.
Arrivai a Cremona e fui delegato alla mensa truppa, perché la mia specializzazione di Ufficiale al tiro non era ancora contemplata. Ero uno dei primi ad aver conseguito questo titolo, che prima non esisteva.
Allora preparai la domanda e la portai al Comando per farla spedire. Il Vice Comandante pro-tempore era un capitano maggiore. E mi disse che non era il caso di mandare quella lettera, in cui indicavo come motivo di trasferimento a Torino il fatto che ero sposato. Tergiversammo un po' e alla fine, non sapendo come rispondere, dissi: A Roma c'è già chi aspetta quella domanda.
E così tutto andò come doveva.
Arrivò il 4 dicembre, festa di S. Barbara, protettrice dell'Artiglieria. E la caserma era aperta in visita al pubblico. Quasi a fine giornata mi raggiunge un soldato e mi dice: il Vice Comandante ti cerca. Pensai a qualche problema capitato. Invece, trovatolo, mi dice: Lei è laureato in Matematica? Ebbene il figlio non aveva superato un esame ad ingegneria. Così aiutai questo ragazzo a superarlo. E andò bene. Fui invitato a cena e anche questo comandante mi voleva ricompensare. Dissi che non era il caso. Piuttosto, avendo saputo che, trasferito a Torino, sarei dovuto andare ad Acqui Terme, dove era dislocata la specialità Campagna, mi permisi di presentare la mia difficoltà. E mi rispose: Non c'è problema, il comandante di Torino è mio amico di corso all'Accademia. Così una sua lettera mi permise di rimanere a Torino.
Il mio percorso da militare è quasi un romanzo. Tutto finì nel luglio 1972, con un'ultima esercitazione tra le risaie del Piemonte. Il 15/7/1972 finalmente in congedo, a casa.
Da S.Ten.

10/8/1972
Appena un mese dal congedo nasce Lorita. Era il giorno di S. Lorenzo, mio onomastico. Mia madre si chiamava Lorita. Nome esistente tra Alberobello e Noci, non altrove. Da un libro dello storico alberobellese Giuseppe Notarnicola scopro che deriva dall'arabo. Ed è il femminile di Lorenzo. Quale grande coincidenza. Così si festeggia onomastico e compleanno. La gioia fu tanta. Un po' impreparati, forse. Ma ci mettemmo tutta la buona volontà. E fummo felici.
Era iniziata una famiglia più completa. Eravamo felici, impegnati.
Bisognava darsi da fare per un lavoro. E feci domanda al Provveditorato per l'insegnamento. E, quando sembrava che non ci fosse sbocco alcuno, fui chiamato. Ogni giorno ero presente negli uffici del Provveditorato. E uscivano chiamando con una certa graduatoria. Ad un certo momento presentarono una cattedra purtroppo sfasata, con ore in una scuola, altre in un'altra e altre ore serali. E nessuno volle accettarla. Dissero: Qualcuno la vuole? Senza pensarci troppo l'accettai. E così iniziò anche il cammino dell'insegnamento. Ero sempre dalle parte dei ragazzi, ma pretendevo. Ricordo che andavo daccordo con tutti. O quasi.
Lorita

30/12/1973
Lorita cresceva e Anna è di nuovo incinta. Non ce ne siamo accorti. Ero al secondo anno di insegnamento. Insieme alla dottoressa si era calcolato che nascesse prima di Natale. Arrivò Natale, ma niente. Allora il giorno dopo ricovero in ospedale. Aspettammo e aspettammo. Il giorno 30 al mattino mi sento svegliare da una telefonata: è nato stamane alle cinque.
Mi preparo e corro in ospedale, lasciando Lorita con mia cognata Tina. Era un maschietto, anzi maschiaccio: pesava oltre cinque chili. La gioia fu tanta. Avevamo la coppia. Anche Anna era contenta, anche se un po' affaticata. E pensare che il giorno dopo era il mio compleanno.
Dopo pochi giorni eravamo a casa. Con un po' di lavoro in più, ma contenti. La vita ci aveva regalato Francesco. Dopo il nome di mia madre quello di mio padre, senza predilezioni particolari.
Francesco

nov. 1974
Scorre un altro anno. Inizia un nuovo anno scolastico. Durante i primi mesi del 1974, facendo lezioni private ad un giovane che intendeva prendersi la licenza media, conosco una società di software. Prendo contatti. E subito da entrambe le parti c'è simpatia. Era una società nata da appena un anno. Ed io con la mia specializzazione in informatica interessavo a loro. E a me piaceva incamminarmi per quel lavoro. La promessa era, anche, che avrei guadagnato di più. E non era poco. Così a novembre inoltrato abbandonai l'insegnamento e intrapresi questo lavoro, che ha segnato la mia vita. Era una società di liberi professionisti, che faceva da inermediario con i clienti, che di volta in volta si presentavano sul mercato. Si era agli inizi di questo tipo di lavoro. E questo è rimasto per sempre. Da consulente per sviluppo del software per le aziende committenti.
Inizialmente lavorai a Torino, a pochi passi da casa, presso una grande società assicuratrice. Poi si arriverà ad avere clienti fuori Torino e fuori regione. Si viaggiava, si era lontani da casa tutta la settimana. Si ritornava il venerdì sera.
La famiglia si abituò anch'essa a questo ritmo. E si andava avanti. I figli crescevano, andavano a scuola pian piano in maniera autonoma.
Nel 1978 capitò che l'alloggio, che affittavamo, fu messo in vendita. Allora provammo a fare un'offerta. Non fu accettata. Passarono molti mesi e non riuscivano a venderla. Così ci richiesero se intendevamo ancora acquistarlo. Allora facemmo l'offerta per il nostro alloggio e quello attiguo, per essere con più spazio. Fu accettata. Così ci ingrandimmo, aggiustando al meglio. E così si andò avanti. Eravamo soddisfatti. Gli anni passavano e i figli crescevano.

1981
Negli anni della nuova società le cose andavano bene, anzi benissimo. Si era piuttosto amici che collaboratori. E tutti rimarranno nella mia mente e nel mio cuore. uno per uno.
In questo anno, ricordo che andammo a fare una cena tutti. Come facevamo già da diversi anni. Quella sera, sapendo che il nostro amico Alberto avrebbe fatto una esebzione canora, come era solito, portai il mio registratore. E registrai la sua esibizione.
Si trattava di parafrasare alcune canzoni famose, dedicandole ad alcuni di noi, per sottolineare aspetti della nostra vita vissuti nello stare insieme.
Esperienza bellissima che ha lasciato un bel ricordo in tutti. Ora che scrivo (2020), ne è passato di tempo. E il ricordo è vivo, anche se alcuni non sono più fra noi, compreso Alberto.
E mi fa piacere proporre qui di seguito l'elenco di queste esecuzioni e a chi sono dedicate.
Grazie, amici tutti. Vi ho voluto bene. E ve ne voglio ancora, dovunque siate.
Giulio A.      Bruno B.      Giulio A. e Matteo B.      Roberto B. e Umberto L.      Giorgio D.      Giorgio D.      Enzo M.      Enzo M.      Pasquale P.      Pasquale P.      Pasquale P.      Giorgio P.      Giorgio P.      Angelo R.     

nov. 1987
Nel 1984 arrivò il matrimonio di mia sorella Annamaria. E si trasferì nelle Marche perché il marito lavorava ad Ancona, in marina. Mio fratello si era laureato in ingegneria e si trovava per lavoro a Milano. I miei genitori erano rimasti soli. E la loro età avanzava. Andavamo spesso a trovarli, a Natale, a Pasqua e alle ferie. Ma si notava un po' la loro nostalgia.
Allora con Anna prendemmo una decisione. Trovai lavoro a Brindisi e decidemmo di trasferirci ad Alberobello. Anche la nostalgia dei luoghi influì molto. E così fu. A febbraio del 1988 mi trasferii da solo, lasciando ai figli di terminare tranquillamente l'anno scolastico. E così fu.
Viaggiavo da Alberobello a Brindisi tutti i giorni. Arrivò il mese di giugno, quando i figli terminarono l'anno scolastico. Si preparò il trasloco e ritornammo ad Alberobello.
Non vi dico la contentezza dei miei genitori. Ma anche di quelli di Anna. Anche loro erano avanti negli anni e vivevano a Conversano. E così un'altra parte della nostra vita prendeva forma. Cambiava di nuovo. Dal Sud al Nord. Dal Nord al Sud.
E piace raccontare un fatto particolare. Mia mamma era una pittrice per passione. Aveva iniziato a 12 anni. E aveva continuato quando il tempo e le possibilità finanziarie glielo avevano permesso. Fino a questi anni aveva dipinto forse una ventina di quadri. In questo periodo, in cui aveva riacquistato tranquillità, in quanto poi successe che anche mio fratello e mia sorella rientrarono ad Alberobello, riprese a dipingere con molta lena. Fino al 1995, sette anni, anno in cui è mancata, ha dipinto una cinquantina di quadri. Che meraviglia! Quadri che abbiamo diviso fra noi tre: mia sorella Annamaria, mio fratello Angelantonio ed io. È un ricordo che conserviamo gelosamente. E che ci rende presente nostra madre e anche nostro padre.
Arrivò anche il matrimonio di Anna e Tonio: 9/8/1988. Fu una bella festa. Finalmente eravamo sistemati tutti. Ed eravamo tutti ad Alberobello. E questo contribuì a rendere più sereni i nostri genitori. E nostra madre in particolare.
Matrimonio Annaria e Franco     Matrimonio Anna e Tonio     Papà e mamma     I primi quadri

set. 1988
Iniziavamo ad ambientarci alla nuova vita alberobellese, quando un giorno, don Giovanni Martellotta, nuovo arciprete arrivato ad Alberobello e mio compagno di seminario, mi chiese di prelevare il vescovo da Conversano per portarlo ad Alberobello, per una cerimonia religiosa. Stavo frequentando la parrocchia per trovare una mia collocazione. E nel viaggio il vescovo chiese mie informazioni. E volle sapere della mia vita. Quando ebbi raccontato quasi tutto, in breve, mi disse: Abbiamo iniziato un nuovo cammino in Diocesi, quello per il Diaconato Permanente. Che ne dici, se anche tu ti aggreghi agli altri?
Accettai questo suggerimento, anche perché aggiunse: Prova. E poi decidi se continuare.
Avevo sentito parlare del Diaconato Permanente nella Parrocchia a Torino e conosciuto qualche diacono. Ma non conoscevo altro. Incontrai questa comunità in cammino e in discernimento. Dopo qualche anno iniziò il cammino vero e proprio con gli studi. Era dicembre del 1991. Crescemmo insieme e ci aiutammo a crescere. Le famiglie si incontravano e si conoscevano sempre di più. Alla fine eravamo un gruppo affiatato e compatto. Ci stimavamo a vicenda, ci aiutavamo, ci frequentavamo spesso. Siamo amici ancora. Ci guidava un sacerdote, che era un padre spirituale per noi e amava il diaconato. Il cammino fu impegnativo e cercammo di rispondere a quella 'chiamata' nel migliore dei modi. Alla fine la decisione di essere accettati spettava al Vescovo. E così fu.

16/4/1994
Il cammino di preparazione e studi per il Diaconato arrivò al termine. Il Vescovo scelse alcuni dei partecipanti. Ne escluse altri. Si manifestava, comunque, in noi la volontà di Dio. Anch'io fui incluso fra gli ordinandi.
Eravamo il primo gruppo di diaconi della Diocesi di Conversano-Monopoli. E il Vescovo decise di ordinarci ognuno nella propria parrocchia, per dare alla comunità la possibilità di partecipare a questo nuovo evento nella Chiesa locale di Conversano-Monopoli.
Si decisero le date per ognuno di noi. Ed io fui l'ultimo del gruppo.
Mi preme raccontare un episodio. Era il venerdì santo. Era venuto a mancare il nostro assistente ecclesiatico, don Armando Dorsi, e mi recai al mattino a Monopoli per salutare la salma. Al pomeriggio avevamo la processione. Ed io mi offrii per portare la statua della Madonna. Durante la processione mi accorsi che mi lacrimavano gli occhi. Poi se ne accorse Anna. E decisi di abbandonare la processione e recarci dal medico di famiglia.
Ci disse che avevamo fatto bene. Avevo avuto un colpo di freddo alla guancia e mandibola sinistra. Mi diede le cure da fare. Ma ancor più non potevo assolutamente uscire di casa. Non partecipai alla veglia pasquale e alla Messa di Pasqua. Quasi quindici giorni chiuso in casa.
Per fortuna tutto andò bene. E così arrivò il giorno dell'ordinazione diaconale. Uscii per la prima volta quella sera. Parenti e amici erano in Chiesa ad accompagnarmi e a sostenermi. Fu una grande gioia per tutti cosparsa da tanta commozione. Mio papà era presente. Mia mamma era a casa, perché non stava tanto bene. Per fortuna Teletrullo trasmise il tutto per via televisiva, così molti potettero seguire da casa.
Ero Diacono del Signore, servo di tutti. Eravamo felici.
Diaconi      Diacono      Diacono

2/1/2000
Avevo iniziato nel 1991 a lavorare in parrocchia. Dopo la richiesta del parroco, don Giovanni, lasciai il mio lavoro nell'informatica e andai in parrocchia con la qualifica di sacrestano. Avevo chiesto che mi fosse garantito un minimo di stipendio. E così fu fatto. E così potevo seguire meglio il mio cammino al diaconato. Arrivò il 1999, quando cominciò la mia situazione a non essere più accettata in parrocchia. Non so perché. Capii che qualcosa non andava per il verso giusto.
Fu così che cercai lavoro di nuovo, il mio lavoro. E lo trovai a Monopoli, in una società di informatica. E il 2 gennaio del 2000 iniziai il nuovo secolo con un altro posto di lavoro. Fui bene accolto, anche perché ci lavorava già un mio carissimo amico, che avevo precedentemente allevato a Brindisi. Che gioia!
La mia vita fu di nuovo in movimento. Viaggiavo in macchina. Ormai ero abituato. E mi trovai con nuovi amici di lavoro. Anche giovani ragazzi con cui condividere il cammino.
Senonché nel frattempo Lorita e e Francesco si erano trasferiti a Torino, loro luogo di nascita. E noi eravamo un po' soli. Si aggiunse anche la nostalgia. E chiamai un carissimo amico di Torino con il quale avevamo lavorato assieme nella società di informatica. E disse che avrebbe parlato con altri amici comuni della società, se ci fosse stata la possibilità di reinserirmi. E così fu. Ad aprile del 2002 facemmo baracca e burattini e con Anna ripartimmo per Torino. Ci accolsero i figli nella casa in cui vivevano. E ricominciò una nuova vita.
Lorita si era fidanzata e aveva deciso di sposarsi. E il tutto era fissato per settembre del 2002. Così ci preparammo a questo evento con tanta passione e gioia. E arrivò quel giorno.

21/9/2002
Quel giorno arrivò. Ci eravamo preparati tutti a dovere. Finanche la bomboniera era stata preparata in casa. Era una bottiglietta di limoncello con etichetta costruita al computer. Riportava il Vesuvio e i trulli, che si erano incontrati. La cerimonia in chiesa al Sacro Cuore con tutti gli amici dei ragazzi e i nostri amici del tempo passato in quella parrocchia. Il celebrante mi volle come diacono per celebrare le nozze di Lorita e Carmelo.
La celebrazione fu nel pomeriggio e la festa durò fino a sera tardi.
Così andarono ad abitare nella loro nuova casa e noi con Francesco rimanemmo in quella finora occupata.
Un'altra famiglia era entrata nella nostra storia. E fu un dono bellissimo. Anche Francesco nel frattempo si era fidanzato. Nella stessa parrocchia aveva conosciuto una brava ragazza, Sara. E anche per loro si parlava di matrimonio. E la famiglia aumentava.
Lorita e Carmelo      Limoncello

18/10/2003
Anche quel giorno arrivò. Ci preparammo, anzi, si prepararono, Sara e Francesco, le loro nozze. Inviti ad amici e parenti. Cerimonia nella stessa parrocchia, dove erano creciuti nella fede. E tutti eravamo contenti. E l'espressione di quel giorno furono i sorrisi di tutti. Compresi parenti venuti dall'Inghilterra. Una festa internazionale. E il pranzo fu condiviso quel giorno con i familiari più intimi. Il giorno dopo con tutti gli amici in un parco. Per Sara e Francesco un ricordo indelebile
Noi li ricordiamo con tanto affetto. In questi ultimi due anni la nostra famiglia si è stabilizzata. E Torino è diventata la sede di tutti.
E' iniziata allora l'attesa di possibili eredi. Ci sembrò, allora, di aver atteso tanto. Ma confidavamo tutti nel buon Dio. E così avvenne.
Sara e Francesco      Sara e Francesco      Sara e Francesco      Sara e Francesco

20/10/2005
Quel giorno tanto atteso è arrivato. E' nata Caterina. La prima nipotina della nostra famiglia. Tranquilla, pacioccona. Ha allietato subito con la sua presenza. Contenti i genitori, contenti i nonni, contenti tutti, zii e parenti. E continuerà ad essere tranquilla e assennata. E darà molte soddisfazioni. Riempirà la vita di tutti, in particolare dei suoi genitori. Benvenuta, Caterina!
Caterina      Caterina      Caterina      Caterina      Caterina

31/7/2007
Ovviamente tornammo in attesa di un altro o un'altra discendente. E dopo nemmeno due anni arrivò Tommaso, secondogenito di Sara e Francesco. Una gioia grande: dopo la cara Caterina è arrivato il maschietto. E siccome Caterina era il nome della cara nonna paterna di Sara, decisero per il nome di Tommaso, nome del nonno materno di Francesco. Potete capire che bei ricordi!
Tutti fummo contenti, nel ricordo di questi due nonni. E la famiglia continuò ad aumentare. Che bellezza!
Tommaso      Tommaso      Tommaso      Tommaso      Tommaso

5/4/2008
Lorita e Carmelo erano partiti prima. Ma l'attesa era rimasta invano. Infatti avevano deciso di passare all'adozione. Quando tutto era quasi pronto per l'adozione, Lorita rimase incinta. La gioia fu grande, pur rinunciando all'adozione. E arrivò finalmente Iacopo. Atteso e desiderato. Il suo carattere si domostrerà all'altezza dell'attesa. Frizzante e inquieto. Ma anche assennato. Anche i nonni paterni furono contenti del loro primo nipote!
Iacopo      Iacopo      Iacopo      Iacopo      Iacopo

28/3/2009
Scorreva l'anno 2008 e si avvicinava la pensione. E con Anna si pensava di tornare alla nostra casa di Alberobello. La città ci stava ormai stretta. I rumori, il traffico, nella zona in cui abitavamo non era più sostenibile. Allora i nostri figli con rispettivi coniugi afferrarono al volo la nostra intenzione. E a nostra insaputa si misero alla ricerca di una località tranquilla. Non sappiamo ancora come condussero la ricerca. Sta di fatto che un giorno del 2008 ci invitarono ad una passeggiata.
Ci portarono direttamente a Frossasco. Nome e paese sconosciuto per noi. Visitiamo il paesino, la chiesa. E la loro proposta fu: E se veniamo a vivere in questo paese...?
Non sapevamo cosa rispondere. Sembrava un paese tranquillo. Dopo un po' di ripensamenti la decisione fu presa: va bene. Allora si partì alla ricerca delle case, sicuramente da acquistare. Da parte di Anna e mia si disse: Va bene. Vendiamo casa ad Alberobello e veniamo a vivere qui. Per sempre.
Tutti trovammo casa nel centro del paese. Dapprima i suoceri di Francesco, poi Francesco e Sara. E infine anche noi. Tutti nel centro cittadino. Dopo qualche anno arriverà anche Lorita. E iniziò una nuova vita, un nuovo cammino.
Frossasco      Frossasco      Frossasco      Frossasco      Frossasco      Frossasco      Frossasco      Frossasco

25/5/2010
Dopo pochi mesi a Frossasco Sara rimase incinta di nuovo. Gioia grande! E dopo i pragmatici nove mesi arrivò un altro gioiellino: Pietro. Il biondo. Non sappiamo come, ma alla nascita era biondissimo. Influenze inglesi, probabilmente. Frossasco ci aveva regalato un altro nipote. La gioia dei nonni era alle stelle. E quel giorno, andando in ospedale a salutarlo. E quando uscimmo, nel torrente antistante l'ospedale, c'era un bell'anatroccolo che festeggiava con noi!
Pietro      Pietro      Pietro      Pietro      Pietro con Iacopo

1/7/2010
È arrivata la pensione. Finalmente! Ieri 30 giugno ultimo giorno di lavoro. Saluti a tutti gli amici del lavoro. Rinfresco, auguri. Stamane a casa. Non potevo crederci. Dopo tanti anni, a 65 anni e sei mesi di età, in pensione. Non devo più correre in ufficio. Sono a casa e faccio quel che voglio. E dirò di più: quel mattino, verificando il conto in banca, ho già trovato accredidata la pensione. Più celerità di così! Grazie, vita. Sono in famiglia. E mi godo figli e nipoti.
Dopo il militare due anni di insegnamento nelle scuole medie a Torino. Quattordici anni in una società di informatica come libero professionista, sempre a Torino. Altri quattro anni nell'informatica in una società di Brindisi, come dipendente. Otto anni alla Parocchia Ss.Cosma e Damiano come aiuto al parroco. Dal gennaio del 2000 in un'altra società di informatica a Monopoli. Aprile 2002, ritornati a Torino con i figli, dipendente della stessa società di informatica. Ora in pensione, finalmente!

1/5/2011
Festeggiamento a Frossasco dei nostri 40 anni di matrimonio. Presenti parenti e amici. Festa in chiesa e nel campo parrocchiale. Con torta degustata da tutti i presenti. E la presenza del piccolo Pietro, che stava per compiere un anno. Molta allegria, tanta gioia. Specialmente per noi. Da un anno e mezzo a Frossasco. E circondati da tanta amicizia.
40° Anniversario      40° Anniversario      40° Anniversario      40° Anniversario      40° Anniversario

1/5/2016
Festeggiamento a Frossasco dei nostri 45 anni di matrimonio. Presenti ancora parenti e amici. Festa in chiesa e foto ricordo. Mancava solo Francesco, che a febbraio era partito per lavoro in Arabia Saudita. Inizierà per lui e la sua famiglia una nuova esperienza, per alcuni versi positiva e per altri un po' negativa. Come accade sempre nella vita.
Un bellissimo ricordo!
45° Anniversario

1/5/2021
È arrivato anche il 50° anniversario del nostro matrimonio. Che gioia! Quel giorno in parrocchia c'era anche la celebrazione della Cresima e Prima Comunione di un gruppo di ragazzi. Ed era presente il Vescovo. Quale migliore occasione?!!! Informato il vescovo, presenti sull'altare, alla fine della celebrazione benedizione da parte del Vescovo. Che bello! Eravamo al settimo cielo. Presenti figli e nipoti tutti! Mancava solo Sara, putroppo indisposta.
Alla fine della celebrazione abbiamo distribuito con Anna un ricordo particolare che lo Spirito ci aveva suggerito. Un cartoncino con la copertina formata dalle foto delle due Madonne delle nostre località di nascita. La Madonna della Fonte di Conversano e la Madonna della Fontana di Francavilla Fontana. L'assonanza dei nomi e dei significati ci è sembrata, in quella circostanza, significativa. Così ho composto questo ricordo particolare da donare a tutti gli amici di Frossasco e non, presenti e non.
Un bellissimo ricordo!
50° Anniversario      50° Anniversario      50° Anniversario      50° Anniversario      50° Anniversario      50° Anniversario

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