FRANCO, figlio dei contadini Marino Palasciano e Giovanna Martellotta, à sentito la passione per l'arte pittorica così intensamente, da assoggettarsi volontariamente a duri sacrifizi, pur di riuscire nel suo ideale. Fin dalle scuole elementari sentiva un trasporto per la pittura, che lo induceva a fare schizzi, anzicché compiti, sui quaderni suoi e dei condiscepoli, su ogni foglietto bianco che gli venisse sotto mano. I genitori ed i condiscepoli lo sgridavano, lo percuotevano, rna egli sopportava tutto pazientemente, era sordo, non deviava dal «vizio d'imbrattar carta». Solo il maestro di Quinta, il Sac. D'Onghia, lo comprendeva e lo lasciava indisturbato.
Dopo le scuole elementari, i genitori volevano che egli imparasse il mestiere di falegname e frequentasse la bottega di mastro Gasparre, ma egli nicchiava ed alla pialla, al martello preferiva il carboncino ed il pennello. Babbo Marino, visto l'ostinatezza del figlio, se lo condusse seco in campagna per farne un contadino. Là Franco trasportava sull'omero corbe di terra, di sassi; imparava a zappare, rialzava pariete crollate, ma nelle ore di riposo non tralasciava di sgraffire schizzi sulla superficie di qualche pietra liscia.
Voleva irresistibilmente disegnare ed un di fuggì via dalla campagna, risoluto di non tornarvi più, e andò ad offrirsi come garzone al pittore De Biase. Ma la sera di quel giorno non si ritirò a casa, temendo il castigo dei genitori per aver trasgredito i loro comandi ; e passò la notte sotto il portico della chiesa parrocchiale. L'indomani, rintracciato da sua madre, gli fu assicurato che non sarebbe stato più contrariato nella sua volontà, purché fosse tornato a casa e fosse stato buono.
Successivamente passò nello studio del pittore Mascialino, ma ben presto lo lasciò, perché decise di andarsene a Milano, dove - come un compaesano di ritorno di li gli aveva assicurato - avrebbe potuto facilmente impiegarsi e nel contempo coltivare la pittura. Intanto non aveva 500 lire per pagarsi il biglietto ferroviario. Si rivolse, al padre, il quale gli rispose che quell'ammontare gli occorreva per far zappare il suo podere. «Te lo zapperò io» propose Franco e cosi in realtà fece, in 10 giorni di lavoro.
Nel 1940, fu richiamato militare per la II Guerra Mondiale ed ebbe la fortuna di rimanere a Milano, assegnato a quell'Auto Centro. Ivi potè sviluppare la sua vocazione artistica visitando pinacoteche, gallerie, mostre e frequentando il corso serale di Disegno dell'Accademia di Brera, nel quale consegui anche un premio d'incoraggiamento. Sempre da militare, passò a Rodi, in Egitto e di nuovo a Milano. Ovunque dipinse ritratti e paesaggi per i suoi superiori e per i borghesi.
Il Palasciano molto ha imparato dell'arte del dipingere durante le sue peregrinazioni, ma ancor di più gli resta da imparare ; il che, non dubitiamo, egli farà con rapidità e successo, essendo dotato di passione e di volontà. Attualmente sta preparando disegni e quadri - in gran parte di soggetti alberobellesi - per una mostra personale da fare prossimamente in Bari, nel Circolo della Vela. L'arte del Palasciano risente dei canoni ottocenteschi, non scompagnati, però, dagl'influssi stilistici contemporanei. Essa attraversa una fase di transizione, nella quale si va elaborando la decisa personalità dell'artista.

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